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Racconto n° 1154
Autore: Dunklenacht Altri racconti di Dunklenacht
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La sirena degli abissi
L'avevano vista in pochi nell'Isola dei Pirati.

E credetemi, quella che vi sto per raccontare è una di quelle storie piene di passione triste, che il vento dei tropici narrava al gran bosco di banani, per poi tuffare la propria immensità nel blu dell'oceano.

Ne parlavano i bei ragazzi polinesiani, dai corpi erculei e nudi, e dalle lunghe collane ornate di gemme tropicali. Ne parlavano i grandi saggi, che portavano enormi maschere di legno, dipinte a colori vivaci. Ne parlavano i maghi, abbigliati con i loro paramenti decorati di conchiglie, quando ritornavano dal mare dopo aver parlato con lei, ed annunziavano le loro profezie al suono malinconico dei flauti.

La sirena degli abissi aveva avuto molti amanti.

Forse, aveva amato anche la schiuma bianca dei flutti, il suo fatato ribollire sugli scogli, i pescatori dalle braccia forti, che sfidavano la tempesta navigando sulle loro barche dagli scafi scavati nei tronchi...

Un tempo, i corsari erano sbarcati nell'isola.

Erano uomini coraggiosi che portavano larghi cappelli piumati, e lussuosi abiti di velluto, ornati di bottoni d'oro, avevano delle grandi bandoliere con fregi d'argento, alle quali tenevano appesa la spada, dall'elsa intarsiata da maestri gioiellieri d'altri tempi.

Ed ella li aveva chiamati per nome uno ad uno, aveva fatto conoscere loro la dolcezza delle sue labbra, il velluto della sua pelle, il piacere dei suoi abbracci.

Aveva anche chiesto loro di condurla via con sé, a bordo dei loro grandi galeoni, difesi ciascuno da mille bocche di fuoco.

Ma poi, i corsari se n'erano andati, lasciandole in dono un forziere colmo di gioielli rari, che ella aveva portato con sé negli abissi.

Dicevano che la sirena era stata creata dal Sultano del Mare, un essere blu dalle sembianze umane, che abitava in un castello nelle profondità azzurre dove a nessun uomo era dato di arrivare.

Allora, io ero un vecchio dalla barba bianca, e fumavo la pipa.

Il mio corpo era stato scolpito dalla durezza dell'oceano, aveva lottato mille volte contro gli squali e le tempeste e la vecchiaia ancora non era riuscita a piegarlo.

Abitavo in una capanna di paglia sulla spiaggia, e quel giorno, al calar del tramonto, mi trovavo là dove la schiuma del mare carezzava morendo la sabbia bianca.

Fu allora che la vidi.

L'acqua era diventata verde smeraldo e il sole al crepuscolo la inondava di mille riflessi di fuoco.

La sirena emerse lentamente dai suoi abissi, aveva il corpo di una donna, dai seni grandi e rosei, ma gli occhi suoi avevano non so che di magico, parevano stelle create dai mari del Sud.

La sua bocca era corallo, i suoi biondi capelli erano intrecciati con alghe preziose che nessuno aveva visto mai.

Ella era donna soltanto per metà del suo corpo, dalla vita in giù aveva le sembianze di un pesce, dalle squame d'argento, sì, d'argento, che in quel mentre brillavano tanto forte, da rubare ogni mio sguardo.

Tentai di parlarle, ma ella si posò il dito sulle belle labbra, raccomandando il silenzio.

Venne vicino a me sulla spiaggia, si sdraiò nuda sul bagnasciuga, dopo avermi regalato una ghirlanda fatta con fiori di mare, di quelle che donava ai fortunati turisti cui consentiva di ammirare le sue venuste parvenze.

Sbatteva felice la pinna della sua coda sull'acqua, aveva socchiuso gli occhi ornati da lunghe ciglia nere, mentre con la mano bianca si toccava.

Di tanto in tanto, mandava un sospiro, che assomigliava a quello dei marosi nel momento in cui morivano sugli scogli.

Le sue dita lunghe correvano su e giù, lungo la sua femminilità, sul suo sesso nudo e argenteo, io la guardavo, e lei, di tanto in tanto, mi tirava dei baci.

La sirena si toccò a lungo davanti a me, era come se entrambi fossimo racchiusi in una grande sfera blu, che conteneva noi due, la spiaggia e l'oceano, che era divenuto rosso, come il fuoco dell'orgasmo che in quegli istanti faceva fremere il corpo della mia bella.

Ed ella venne, dopo avermi fatto sognare dei suoi sospiri, dolci come il nettare dei fiori tropicali.

Alla fine, prima di lasciarmi, volle regalarmi un bacio sulla bocca e mi promise che sarebbe ritornata.

Poi si tuffò di nuovo nell'acqua, dall'alto di uno scoglio, ad un tratto riemerse, quasi improvvisamente, come in una visione.

Teneva tra le labbra l'estremità di una grande conchiglia di mare, che faceva suonare, servendosene come di una tromba.

Era il canto dell'addio.

I suoi capelli si erano accesi di riflessi turchini, la sua coda d'argento emergeva dall'acqua e mandava mille scintille rossastre, in testa portava una corona fatta con perle di mare, che in quell'attimo parevano di zaffiro.

La falce di luna ed il cielo stellato stavano sopra di lei...

- Non andartene! – le gridai, con la mia voce di buon vecchio. –Torna da me!-

Ma ella non rispose.

Non ricordo bene cosa accadde, so soltanto che mi svegliai il mattino dopo, al canto dei gabbiani, su quella spiaggia dalla sabbia bianca, così bianca...

L'amore travolgente della sirena mi aveva rapito.

La rivedevo ovunque, avevo l'impressione che fosse davanti a me anche mentre scrutavo il vasto orizzonte per discernere qualche bastimento lontano, che mandava nel cielo il fumo nero delle sue macchine a vapore. Udivo anche le voci remote dei marinai, che parlavano di sogni e di serpenti di mare.

Quando mi riapparve, fu vicino alla grande piantagione di banani, era di pomeriggio e si era alzato il vento, quel vento caldo e pieno di mistero che sapeva raccontare storie di pirati e di tempeste.

Lei era in mare e giocava a rincorrere un delfino.

Gli stava dietro e a tratti guizzavano fuori dall'acqua, per poi rituffarsi. La bella giocava a prendergli la coda con le sue mani bianche... E quando ci riusciva, poi, lo liberava.

Il sole scintillava magicamente sui flutti, faceva caldo. Al villaggio, i giovani guerrieri praticavano i loro antichi riti propiziatori, giungeva sino a me il suono degli strumenti musicali fatti di legno, il chiasso delle danze, mi sembrava di vederli... Tutti riuniti in cerchio, dinanzi alle capanne di paglia, o di bambù, con in testa i loro copricapo decorati di stelle marine, o di madreperla.

Avrei tanto voluto giocare con lei, con la mia bella sirena.

Stringere forte le sue mani dalle dita lunghe e affusolate, per poi vagare con le labbra sulla sua schiena liscia e nuda, raggiungere così la sua femminilità, argentea e glabra, la lingua scarlatta che arrivava al suo piacere...

Lei che abbandonava la bella testa all'indietro, i lunghi capelli decorati con alghe rare che le ricadevano sulle spalle, gli occhi socchiusi, la bella bocca rossa semiaperta, per gettare un sospiro, un grido...

Mi dicevo che sarebbe ritornata, che me l'aveva promesso.

Avrei voluto seguirla, tuffarmi con lei nell'oceano, fino ad arrivare al castello del Sultano del Mare, quel sovrano blu che sedeva su di un trono fatto di perle e corallo, e portava una corona di topazi e zaffiri. Abitava in un castello di ametiste, e lo servivano mille ancelle vestite con abiti d'oro puro.

La sirena volle degnarmi di nuovo dei suoi baci.

Emerse di nuovo all'ora del crepuscolo, portava sul capo un cappello con piume scarlatte, donatole dai corsari suoi amanti.

Lo volle donare ai flutti, e mentre ancora ammiravo i suoi meravigliosi orecchini fatti di conchiglia venne a me, tendendomi le braccia, desiderosa di esprimere la sua passione.

La sabbia era così morbida e candida... Mi adagiai sulla sua schiena, e presi a sfiorare con le mani irsute la sua femminilità. Lei, che stava sotto di me, aveva abbassato le ciglia, mentre toccavo le sue braccia carnose e il suo petto, che si alzava e s'abbassava per il suo respirare affannoso.
A tratti, la schiuma delle onde che s'infrangevano sul bagnasciuga ci toccava.

La sirena teneva la bocca semiaperta, dalle labbra di corallo spuntavano i denti bianchi e aguzzi, sospirava affannosamente, sospinta dai miei baci.

Erano i baci di un vecchio, dal corpo ancora muscoloso, maturato da anni di lavoro in mare e di burrasche.

A tratti, la bella sbatteva freneticamente la bella coda d'argento, forse già stremata dal dolce supplizio che le andavo infliggendo.

- Non smettere... Ti prego, non smettere – diceva, con la sua voce che sapeva di mare e di mistero.

E volli toccare con le labbra anche l'estremità inferiore del suo corpo, la mia barba bianca e irsuta si strofinò contro quelle scaglie dure e leggere, quella coda d'oro bianco, che assomigliava a quella di un delfino, e s'agitava sempre.

Allorché mi soffermai sulla sua femminilità, che era così insolita e sapeva dei frutti dell'oceano, le feci sentire appena la sensazione dei miei denti sulla pelle, e lei gridò forte, perché quasi le feci male.

- Ahh! – gridò. – Adesso prendimi, prendimi!

La voltai e strinsi forte i suoi seni tra le mie mani. I capezzoli erano ricoperti da piccole stelle marine, ed erano roventi come il fuoco. La penetrai e lei gridò di nuovo.

Mi stringeva a sé e agitava la coda come se nuotasse, e a tratti da quelle labbra rosse uscivano i versi della sirena, che assomigliavano al muggito dei marosi sugli scogli quando il mare è in tempesta, alle grida paurose del gabbiano, al suono fatato e magico racchiuso nelle conchiglie, che serbano come uno scrigno la voce dei flutti.

La bella mi teneva una mano tra i capelli, per accarezzarmi, mentre la sua bella chioma era tuffata nell'acqua, e nuotava come alghe nella spuma scintillante, là dove si rompevano le onde.

Mentre ci avventuravamo nell'orgasmo, sembrava piangesse, ma di piacere, e attorcigliava la sua coda argentea intorno a me.

Il vento della sera agitava forte le fronde dei banani, una nube di pappagalli rossi e gialli si alzava dal folto della piantagione, e volava lungo la spiaggia.

La sirena degli abissi era morta nel piacere, le dolci labbra ancor cercavano il marinaio...

Gli occhi socchiusi, la coda tuffata nell'acqua, i capelli che nuotavano nella spuma, come alghe, le sue dita dalle unghie dorate che stringevano un ricordo... Era addormentata in un sogno. Durante la notte, l'avrebbe consolata la luna bianca. Poi, all'alba, si sarebbe risvegliata sulla sabbia, felice e languida, come tra le braccia del suo uomo.

Dunklenacht

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