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Racconto n° 154
Autore: LiberaEva Altri racconti di LiberaEva
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Schiava d'amore
Maledetta è la notte che mi tinge di nero, che mi tinge mignotta senza uscire dal letto, accanto a questo uomo che dorme e che russa. E russa senza che discrezione le venisse in aiuto nel sogno, senza curarsi che accanto c'è una donna che freme, che oscilla, signora e padrona della propria astinenza, di questi pugni che premono e m'arrossano e calmano il ventre. Ma io non ho voglia di cedere ed intorpidire i miei istinti, non ho voglia d'essere appagata solo quando la sua voglia risponde, e misera mi cerco tra queste mutande, che m'impediscono d'essere libera e d'agognare, bramare, laddove le mie dita non credono d'essere maschio. E lui dorme e russa senza nessuna decenza, senza nemmeno sognare d'avermi magari con gli occhi d'un'altra, perfino chiamandomi con un nome diverso, mentre mi prende dove mai ha osato pensarlo. Lo so che non mi sogna, e peggio che non sogna nessuna, perché almeno mentre dorme lo sentirei vivo, lo sentirei indurirsi dove da tempo non prova piacere, dove da tempo non serve ad altro che quando va in bagno.
Maledetta è la notte che mi trasforma ogni volta, come se nei suoi buchi, di rifiuti e sporcizia, ci fosse quello che vado cercando, quello che di giorno mi fa ribrezzo e lo vomito convinta di schifo e disgusto. Ma a quest'ora la luna è già alta e mi invoca e m'implora di fasciarmi di trama di seta, ed andare incontro al mistero che mi riempia almeno d'ansia e paura, se proprio di null'altro io fossi all'altezza. Vorrei uscire ed andare incontro a quest'ombra che mi scurisce e mi dà luce, dentro questa notte che unica mi darebbe ragione, a scrollarmi di dosso ogni buon senso, che mi vuole ammuffita ogni giorno che passa, aggrovigliata dentro questo perbenismo laccato, e marcita da queste lenzuola che odorano di detersivo e digiuno. Avessi vent'anni di meno! Ne avrei all'incirca quanti ne ho detti e troppo pochi per immaginare di ritrovarmi in questo letto, sudata dal solo tormento di sprecare gli anni che porto, gli anni che nessun uomo assennato stanotte mi darebbe per intero.
Lo vedo che mi domanda sorpreso cosa diavolo faccio a quest'ora da sola, cosa diavolo cerco senza un uomo che mi copra le spalle, per difendermi da questa vento leggero che maschio s'insinua sotto la gonna. Non avrei parole da offrirgli, se solo pensasse che sono in cerca di un uomo o, meglio, di parte di esso che mi soddisfi solo in mezzo alle cosce. Potrei dirgli che è vero e finirebbe poesia, potrei ammettere che ha solo ragione, e diverrebbe una prosa. E una femmina è femmina quando mente di provare piacere, ma è ancora più femmina quando gode davvero senza creanza, senza quel ritegno che di giorno la rende impenetrabile! Ma una femmina è femmina quando la si fotte fin sopra i capelli, quando mente e ragione s'aprono come una figa a questo maschio che stasera non avrebbe trovato di meglio. Vorrei dirgli che non basta riempirmi di carne e sbattermi contro questo cofano di macchina, se continuo a pensare che, finito l'orgasmo, tutto ritorna al suo posto, che il mio sesso d'elastico si ricompone come signora che s'aggiusta i capelli.
Mi fotta più della misura del suo pene, più di quanto il mio corpo ne possa contenere, mi spezzi il respiro quando cerco di riprendere aria e vada poi oltre, fino a farmi pensare che davvero non valgo che nulla. Quanto questo tergicristallo che mi taglia la fronte, quanto le sue mutande che poco prima, sbadata, ho sporcato di rosso. Che mi faccia giurare che dopo non vedrò i miei figli, me lo faccia pensare davvero, me lo ripeta ossessivo, me lo ordini se la mia testa tentenna o il mio sesso si secca all'istante. Che mi faccia pensare davvero che domani sarò troia e mignotta senza pretendere altro, tanto meno che lui sia il mio uomo, o il mio magnaccia di turno. O che mi tenga legata, annodata dai fili di questa follia, per tutto il tempo che non gli affiori la voglia, o che mi faccia bramare guardando il suo sesso mentre si rifugia stordito nelle alcove di altre. E se solo per un attimo lo credessi davvero, che schiava di sesso mi riservasse il destino, ringrazierei quel pene che m'ha raschiato nell'intimo fino alle più remote ragioni delle mie membra profonde.
E se solo per un attimo lo credessi anche dopo l'orgasmo lo guarderei negli occhi per tutta la vita, finché luce mi permetterebbe di non guardare nient'altro. Ma come posso spiegargli tutto questo! Come potrei dire a questa bocca che mi dà saliva e calore, che mi faccia credere puttana d'amore e di sesso incontrato per caso tra le voglie di una notte qualunque. Non capirebbe che vorrei, proprio perché non lo sono, proprio perché questa notte svanirebbe all'alba dentro lenzuola che sanno di detersivo e digiuno. Come posso con forza gridargli che non me ne frega nulla della sua considerazione, che non sono qui per questo, perché l'uomo che ogni giorno mi dà valore ed importanza dorme e russa appena di fuori fa buio. Che mi prenda laddove mio marito non ha mai osato, mi scosti appena quel filo invisibile delle mie mutande e faccia almeno finta, se la sua voglia è scemata, di volermi oltre il suo sesso spremuto. Mi faccia credere con qualsiasi oggetto che le passa per mano di desiderarmi ancora e per il tempo che basta al mio sogno, lungo questo viale che nel frattempo s'è affollato di uomini e di sessi che dritti m'additano e mi pretendono. Oppure si faccia da parte, subito e in fretta, e lasci il suo posto ad uno di loro, perché stanotte è dura davvero e le mie dita, che indugiano dentro queste lenzuola, non sono fluide e non sanno di maschio.

LiberaEva

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