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Racconto n° 2365
Autore: Marthita Altri racconti di Marthita
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Quello che tu vuoi
Ti ho cercato per le strade che sapevo. Non quelle che la notte illumina con coriandoli di finta allegria. Non quelle solitarie degli innamorati che vanno piano fino al silenzio di zone isolate come bolle d'aria. Nemmeno in quelle frenetiche di automobili seguite da scie di stelle filanti.
Dove sapevo, sono andata, simile ad una visione agli occhi increduli di chi ormai è abituato a tutto. A molto peggio. O molto meglio. Ma non a una come me.
Non è stato un caso. L'intuizione. Quel sentimento inspiegabile che tu scrolli dalla testa in una risata. Tu ridi. Tu ridi sempre di me. Gli altri dicono empatia. Oppure feeling. Oppure sesto senso. Tu ridi dicendo - quella di senso ne ha uno solo - . Così anche gli altri ridono di me.
Siamo parte, io e te, di qualcosa di unico, separato dal destino per potersi ritrovare. Ti ho cercato e ti ho trovato. Tu continui a cercare a vanvera. E lo sai. E non t'importa. Non t'interessa.
Rincorri tracce di profumi da poco prezzo. Camminate pretenziose. Abiti dozzinali. E lo squallore di viali che si perdono nella notte di un parco popolato di ombre. Ho indovinato. Telepatia, dice qualcuno. Tu ridi. Io no. Io so che non è così. So che così deve essere, per ritrovarci. Anche se non so come spiegartelo, come fartelo credere. Sarai obbligato a crederlo, un giorno. E l'unico mio timore è di non essere presente, quando tu comprenderai che avevo ragione. E magari dirai che è troppo tardi. E scrollerai le spalle, continuando la tua vita a vanvera.
Devono avermi scambiata per un fantasma, quelli dagli occhi vitrei, biascicando - ma guarda un po'... - e di nuovo coricandosi nell'erba fredda e bagnata. Sui prati si stendeva un vapore denso, torcendosi attorno a siepi e cespugli bassi. Più su, più in alto, sbucavano i rami contorti di alberi adunchi. Forme strane rotolavano al bordo dei sentieri, e la ghiaia scricchiolava di passi timidi, guardinghi. Visi vuoti si affacciavano dai tronchi lucidi e rugosi, scomparendo subito, concedendomi il ricordo di orbite scavate, senza fondo.
E tu eri là. In quello spiazzo tondo e largo, per contratti brevi e veloci. E la premura delle scelte, come ad un mercato. Poche luci, quelle giuste, per poter vedere, per distinguere. E gonne alzate a mostrare merce, magliette abbassate quanto basta, e bocche ampie a ridere. Con te. Per te.
E io che ci facevo lì? Mi hanno subito notata. Gli altri, quelli dallo sguardo attento. Quelli che non possono sbagliare. Verso di me solo facce serie. Preoccupate o infastidite. Io l'intrusa. Che cosa vuole questa? Ma chi è? Aleggiavano le prime domande. Bisbigli allarmati. E anche tu li hai sentiti, certo. Allora mi hai vista. Non credevi ai tuoi occhi, no, come potevi? Che ci facevo lì? Poi, all'improvviso, hai capito. O forse solo indovinato. E hai sorriso. E' sbocciato a poco a poco quel ghigno sprezzante che hai tu. Hai detto qualcosa agli altri, a quelli svegli. Anche loro hanno sorriso, alzando le spalle, volgendomi la schiena. Ero poco importante. Per loro, per te, per quelle che ridevano forte, lanciandomi occhiate divertite, diluite di compassione.
Ti sei avvicinato adagio, le mani in tasca, un po' seccato. Fermandoti a pochi passi, hai inclinato il capo da una parte, a dire - be', che vuoi? - Avrei voluto risponderti - io lo so che cosa voglio, voglio te - , ma non ho parlato. Ti fissavo. Eri bello anche nella notte, che ammorbidiva i tuoi lineamenti, sfumava l'espressione in qualcosa d'indefinito. Avrei voluto chiederti - e tu, tu lo sai che cosa vuoi? - Ma non l'ho chiesto. Me ne sono stata zitta, guardandoti. Riconoscendo in te quello che mi manca. L'esatta metà. Tu vuoi la vita che consuma le notti una dopo l'altra, finchè i giorni si sommano uno sull'altro. Non ho detto proprio niente.
Mi sono appoggiata a un albero, avvolgendomi nel buio come in uno scialle. Invitandoti col gesto delle mani aperte, sollevate a raccogliere nebbia. Ho visto accendersi i tuoi occhi e spegnersi il tuo sorriso. Mentre alzavo la gonna e scostavo gamba da gamba in un movimento fluido imparato poco prima, sai, da quelle che ridevano. E scendendo con le dita sui miei fianchi, agganciando un elastico sottile che abbassava poco pizzo inutile, ho mormorato tra me sillabe sciocche, innamorate.
Hai riso in un singulto soddisfatto, afferrandomi come una preda, infilandoti tra le mie gambe, nel mio corpo aperto solo per te.
E la nebbia si è fatta mulinello in gola, soffocando frasi che avrei voluto gridare, mentre una sola parola raschiava dalle tue labbra alle mie orecchie, sul mio collo teso sotto la tua bocca. E' l'unica che mi hai detto, forse l'unica che conosci per una donna. Per una donna che strozza mille parole d'amore per te. Intorno era ovatta a nascondere il nostro abbraccio, a sospenderci in un bozzolo, come in un incanto. Attutiva voci e suoni e lo splendore laido che abbaglia sguardi affamati. Il tuo ringhio rauco ha sgrovigliato il turbine nella mia testa, sprofondandomi nell'erba ghiaccia di una notte spiovuta. Non è rimasto che l'ansimare del tuo respiro e lo sgranare dei miei occhi di fronte a luci d'arcobaleno e risate lontane non abbastanza per non sentirle.
Le mie unghie nella terra molle. Artigli inadatti, incapaci a trattenerti. Le ho affondate sempre di più stringendo i pugni, guardandoti andare via senza aggiungere altro a quell'unica parola. Puttana.
Mi sono rialzata per allontanarmi in fretta, all'improvviso estranea anche a me stessa. Il cuore in gola, a battere la paura dell'oscurità e dei rumori di colpo troppo vicini, minacciosi.
Avrei ancora voluto dirti: tutto quello che tu vuoi è qui tra le mie gambe. Il resto sono io, una donna che corre con angoscia. Due manciate di terra nei pugni chiusi.







Marthita

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