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Racconto n° 3433
Autore: Abel Wakaam Altri racconti di Abel Wakaam
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Isla Grande
C'era burrasca nell'aria... mista all'odore della terra finalmente dissetata dalla pioggia sottile. Tuoni lontani, là dietro la collina e la nebbia eterea che scendeva verso valle sospinta dalle nuvole basse d'autunno. Quando rientrai nel cottage, un colpo di vento sollevò le tende a fiori della finestra socchiusa, la tua voce fioca sussurrò il mio nome nella penombra della stanza. - Sono qui... - risposi, seguendo la scia delle orme bagnate sul pavimento di legno, ed i tuoi occhi incontrarono i miei, lasciandosi sfuggire quell'espressione che ben conosciamo entrambi. I capelli fradici di pioggia... e lei che ti sedeva accanto mostrò un certo imbarazzo per la mia incauta presenza; non so come tu l'avessi adescata, ogni volta riuscivi a stupirmi con queste eccitanti sorprese. Rimasi a guardarvi in silenzio, la tua mano sul suo collo quasi a rassicurarla, poi le sussurrasti all'orecchio le magiche parole che certo lei si aspettava di sentire... e sorrise. Si chiamava Sonja, era la ragazza che lavorava al bar del villaggio, aveva la pelle color dell'ambra e la freschezza dei vent'anni. Diversa da te, più acerba nei tratti e meno armoniosa nelle curve, stretta nel suo vestito leggero, inzuppato di pioggia e desiderio.

Vi lasciai solo un istante per cambiarmi la camicia. Fuori un inferno d'acqua aggrediva il mondo sollevando le chiome delle palme da cocco fino ad accarezzare il cielo, eppure la tua voce suadente risuonava dentro i miei pensieri rendendo terribile l'attesa. Quando mi affacciai di nuovo sulla soglia della stanza, la stavi baciando con incredibile dolcezza, rosicchiandole le labbra con i tuoi denti candidi. Lei si lasciò trascinare nel gioco senza mai sospettare quanto fosse torbido e intrigante. E questa volta la mia presenza non la turbò più di tanto.

Seduto, dolcemente adagiato nella poltrona di vimini davanti alla tua alcova, spettatore inerte nell'incantevole penombra, goloso di dettagli e di sospiri. Non poté resisterti, ma questo già lo sapevo, e come un fuscello fu divelta dalla tua irruenza. Fremette... al tocco lieve delle tue dita, e alla tue labbra concesse i suoi piccoli seni, abbandonandosi alla frenesia del momento. Ma tu volevi entrarle dentro! Se tu fossi stata un uomo l'avresti presa all'improvviso con foga... ed io rimasi lì a guardare la tua lingua che indugiava tra le pieghe del suo sesso leccandone gli umori con ingordigia, lenta, in un'implacabile tortura.

Fu in quell'istante che mi chiamasti accanto a te con un gesto furtivo; Sonja era un giocattolo inerte tra le tue mani e, inquieta, accettò sommessamente ogni tuo ordine, ogni tua decisione. Socchiuse gli occhi, sì... mentre allargavi le sue tenere carni violandola con le dita, poi mi offristi i tuoi fianchi tondi e corposi, le cosce spalancate pronte ad accogliere il mio sesso nervoso.

Sprofondai in te, nel caldo della tua carne ansiosa, ed alla prima spinta incontrai i suoi occhi sognanti. Vidi riflessa nello specchio la tua lingua, fradicia dei suoi succhi, rovistare nel profondo... poi la sua voce roca echeggiò in un lungo, tremendo sospiro. Le negasti il piacere dell'orgasmo ad un passo della vetta più alta, poi le sussurrasti all'orecchio la tua proposta oscena. Prima che potesse azzardare qualunque risposta, le mimasti con le dita per un attimo ciò che avresti voluto... e triplicasti il prezzo dei suoi servigi all'improvviso.

Annuì... e continuò a guaire mentre le tue unghie allargavano da sotto i suoi piccoli glutei sodi affinché io potessi vedere dove sarei andato a morire. Impazzii nel gustare il rosa intriso di lacrime chiare tra il suo pelo nero, vidi saettare la tua lingua tra i suoi petali carnosi e poi, poco più in alto, ad inumidire il suo sfintere, pronto a schiudersi alla pressione del mio pollice.

Si aprì come d'incanto e subito abbracciò la punta del mio mio sesso grondante di voglie oscure. Mi spinsi nelle sue viscere, illuminato dall'ultimo lampo della sera. Poi subito il rombo del tuono coprì il suo lungo lamento aspirato. Inarcò la schiena abbronzata tentennando in bilico sulle ginocchia, poi le mie mani e le tue l'afferrarono per i fianchi trascinadola verso il patibolo. Si arrese... spezzata come un frutto maturo pronto a mostrare il nettare che nasconde... ed io giù fino in fondo immerso nel dolce della polpa, mentre tu, infingarda, ne coglievi il gusto acre che succhiavi fino in gola.

Non potei resistervi e mi persi negli ultimi sussulti cercando di trattenere il piacere nella mente...ma non ci fu scampo alla spinta irrefrenabile che risaliva dal fondo delle vene tese allo spasimo, né poté l'aria fresca della sera raffreddare il fuoco che bruciava nel mio ventre. Fosti tu a trascinare l'uno e l'altra fino all'orlo dell'abisso e poi... con un soffio lieve... ci lasciasti cadere con un urlo disumano.

La sentii stringermi come una preda avvolta nelle spire... mentre tu, irruente, tintinnavi il suo sesso ed il mio nell'ultima folle corsa... poi insieme, seguimmo il flusso caldo dell'oblio.

E fuori... andava lontana la burrasca, svanendo nella notte senza luce dell'Isla Grande, mentre noi, stretti in un abbraccio, attendevamo l'alba per un nuovo gioco.

Abel Wakaam

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