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Racconto n° 3468
Autore: Erato Altri racconti di Erato
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Lettera d'addio
- Sai... come vorrei
nell'alito dolciastro di un'ultima carezza
poterti riparare tra corolle di giacinti
T'avevo dato Me senza chiedere Te in cambio... -

Lorenza guardò l'orologio alla parete del grande studio. Un quarto a mezzanotte. Trattenne la testa tra le mani, le dita infilate tra l'oro dei capelli perfettamente in piega e i gomiti poggiati alla scrivania: ‘Troppo lavoro... non posso continuare così' pensò.
Un cono di luce illuminava la relazione sulla scrivania, curata nei minimi dettagli, finalmente ultimata; il resto dello studio rimaneva in penombra: alle pareti quadri d'autore e le fotografie di una brillante carriera, le due lauree di cui andava fiera e un ritratto a sanguigna, regalo di un amico pittore.
L'arredamento era raffinato, minimalista, ovunque l'impronta del suo estro: nel guizzo di un cristallo rosso di Murano, vulcanica presenza nella predominanza del nero e del cromo, declinati in mille oggetti e sul damasco vellutato dei cuscini sparsi ovunque. Il rigore delle forme mitigato dal richiamo antico nelle trame dei tessuti, nella preziosità dei tendaggi, nelle collezioni di calici e libri in ordine sparso nelle teche high tech.
Realizzò che aveva bisogno di fumare, guardò il pacchetto desolatamente vuoto, lo schiacciò tra le dita della sinistra mentre la destra aveva già aperto un cassetto alla ricerca di un nuovo pacchetto, di una sigaretta dimenticata lì per caso o di un po' di tabacco. Le dita annasparono convulse tra fogli di carta intestata, stilografiche, biglietti da visita, qualche cd, ma dell'oggetto della sua ricerca nessuna traccia. Ad un tratto le dita o forse il cuore inciamparono in uno scatto in filtro seppia: se ne stava in fondo a quel cassetto chissà da quanti anni, solcato da lunghe cicatrici biancastre, lì dove qualche gesto impietoso aveva tentato saggiamente di distruggerlo.
Accarezzò con gli occhi quella lei che non esisteva più, così diversa dalla donna manager che era adesso, e fu impossibile non guardare la persona che abbracciava, impossibile non cogliere l'incanto d'ambra dei suoi occhi allacciati al verde acceso dei suoi, impossibile non ricordare quell'ultima estate insieme...

Dieci anni prima.

Ultimi giorni di lavoro e poi sarebbe stata estate; finalmente estate, finalmente mare, non più a singhiozzo e nei fine settimana, ma ogni giorno fino a sera, mare e sole, buone letture, cene all'aperto e sesso, tanto sesso.
- Riesci a ricavare una settimana per noi due? – le aveva chiesto davanti ad un poco romantico tramezzino in sala mensa.
- Non credo... - le aveva spento ogni speranza con la sua stramaledetta, leale chiarezza.

Invece aveva stravolto l'universo mondo senza dirglielo e quella settimana l'aveva trovata eccome e adesso viaggiava al suo fianco verso il mare.
La casa era piccola, con i muri dipinti di bianco e la veranda rivolta a est. L'edera la ricopriva quasi totalmente lasciando che il sole baciasse le stanze solo all'alba e per tutta la mattina, concedendo riposo al pomeriggio, dove quello spazio diventava un'oasi di pace, rinfrescata dall'aria salmastra e dal grecale leggero portato dal mare.
Lù adorava passeggiare sulla battigia, Lorenza adorava guardarla mentre affondava le caviglie nella sabbia morbida, nell'abbraccio liquido dell'onda di risacca. Lù era isola, era quella terra che amava e che portava addosso come un marchio indelebile. Lei avrebbe voluto essere onda e trascinarla via per sempre dentro al mare che poteva contenerle entrambe, invece si limitava ad osservarla e ad amarla, ogni notte.
E ogni notte era diversa tra le sue braccia, eppure identica a quella prima volta in cui s'erano trovate in un reciproco bacio, improvviso e atteso, tra libri, relazioni tecniche, registri e verbali.
Lù le aveva sorriso, di quei sorrisi di sole che non si staccano dalle labbra su cui decidono di posarsi; l'aveva spinta dolcemente sulla scrivania, in mezzo al loro lavoro, con un gesto dell'avambraccio aveva spodestato i fogli sparsi dal loro talamo d'amore e le era rimasta così, tra le gambe, mentre con una mano sbottonava la sua camicia e liberava i capelli dall'immancabile fermaglio per regalarle ancora carezze, ancora diverse, ancora uniche.
Le aveva circondato il collo di baci e danzato un'orgia oscena di frasi tenute a freno mentre scendeva tra le cosce le dita impazienti e le spezzava il fiato in due entrandole dentro.
Non erano state diverse le notti al mare; Lorenza sentiva ancora l'odore forte della citronella accesa lungo il bordo perimetrale della casa e il sottile profumo degli incensi che s'insinuava nei tessuti leggeri che rivestivano il letto, quel letto spartano dove Lù si perdeva e confondeva tra le vesti bianche che amava indossare e le lenzuola candide. Lorenza guardava la sua donna bambina e le rinfacciava lo zolfo che sentiva pioverle in testa ad ogni amplesso, quando le legava i polsi nella stretta delle sue mani forti e lasciava la sua lingua libera di tracciarle addosso anche il suo nome, quando le mani scivolavano lungo le gambe e risalendo scoprivano dal leggero tessuto le cosce bianche... allora le era impossibile trattenersi dall'affondare i denti e lenire ogni morso con un bacio e morire così tra le sue gambe, bevendo ogni suo orgasmo.
- Mi ami, Lù? - le aveva chiesto un giorno, sul crinale di un agosto stanco.
- Certo che ti amo - le aveva prontamente risposto.
- Allora vieni via con me. Adesso. -
Era seguito un silenzio ingombrante, assolto solo dai baci che erano seguiti, e che non avrebbero mai sostituito una risposta.
Doveva finire lì quella conversazione invece s'era riproposta identica fino a quando la risposta non era arrivata e non era quella che Lorenza voleva.
Aveva raccattato il cuore ed era sparita per sempre.

Lorenza si risvegliò da quel dolore antico scuotendo la testa, due ciocche lunghe le carezzarono il viso e scivolarono sulle righe verticali del gessato; ricacciò indietro le lacrime per quell'addio che faticava ancora a comprendere, per quel silenzio in risposta alla sua richiesta di andare via da tutto, per la pretesa di un'esclusività che la sua Lù non aveva voluto darle.
Invece era andata via lei, via da quelle mani piccole, via dai suoi pensieri e dal suo cuore, aveva dato un taglio netto per sopravvivere.
Riaprì gli occhi sulla rassicurante perfezione del suo studio, ripensò a quanti anni di lavoro insieme... chissà dov'era adesso Lù, se aveva tenuto fede a se stessa.
- Se solo potessi leggermi ti scriverei una lettera, Lù... - si trovò a dire ad alta voce, quasi l'avesse davanti - una di quelle in cui si tirano le somme, e mi toglierei anche questi stramaledetti tacchi per scrivertela e me ne starei seduta di fronte al mare anche se è notte, e stranamente ti chiederei ancora: ‘vieni via con me, Lù, fanculo il mondo'.
Mentre continuava a tormentare la stilografica rigirandola tra le dita, si accorse che il pensiero di lei non l'aveva mai abbandonata; poi tacque accorgendosi di quanto sangue stesse perdendo dal cuore; sorrise e il sorriso divenne una risata forte che le fece reclinare indietro la testa
– No, non riusciresti mai a vivere senza il cuore impegnato... dimmi il suo nome, Lù – continuò il suo folle dialogo - perché è così che vorrei chiamarmi.
Si alzò dalla scrivania e ondeggiando sui suoi tacchi a spillo andò alla finestra; due lacrime ostinate sostavano sulle ciglia scontornando le immagini... Lorenza passò le dita affusolate su quel pensiero e ripose la fotografia nell'unico cassetto che non avrebbe riaperto mai più. Oltre i vetri dell'ufficio le luci notturne di una città viva scorrevano indifferenti mentre l'odore d'incenso arrivava forte da un pensiero lontano.

L'odore Tuo
che affiora
al solco nudo delle labbra
è un palpito di luna
che slama il battito
e addensa
in ogni ruga della pelle,
nella polvere del cuore,
il nome tuo ostinato.


Erato

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