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Racconto n° 3500
Autore: LaPassiflora Altri racconti di LaPassiflora
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In Embrione
Quando lei vide la sua carne aperta, ad uno sguardo di strada, comprese la dolcezza che le pesava addosso.
Il flagello sussisteva dentro di lei come una forza annidata, assumeva la forma di uno spavento e non le lasciava scelta.
Lei si incantava di quell'immodestia e la sorpresa la catturava, svelandole un'abitudine sconosciuta e pornografica.
Ma dov'è che questa musica separò lei da lei stessa? Oggi, lei si risponde così: quando sospesi la mia vita disintegrando cosa mi suggeriva la prudenza.
Perché lei l'ha sentita l'interruzione dolorosa, l'ha sentita mentre gemeva in mezzo alle grida infantili del sesso e tra l'odore palpabile degli sfinteri. Il contegno l'ha lacerata, benché non avesse colpa.
Dare corpo allo strazio l'ha portata alla vertigine, lei non ha potuto opporsi ed è caduta.
Caduta.
Il baratro della nudità l'ha incassata testimoniando la differenza di una verità gelatinosa: il suo perbenismo caustico e soffocante poteva essere leccato via.
E tutti i racconti che in seguito l'hanno assorbita, per mesi e mesi, hanno infatti continuato a porle la stessa domanda: dove vado se il tanfo ricopre le pieghe?
Dopo alcune resistenze, appunto, era accaduto: lei si era chinata attraverso la carne ed aveva chiesto di essere invasa. In una posizione talmente ridicola, che non fu l'essere incalzata da un pugno a svestire la sua ansia ma uno specchio che la rifletteva ad annullarle il mito della sua insulsa quotidianità.
Perché da dietro, nel comportamento casto, lei in quel momento capì quale intenerita idea di se stessa si celava: lei curva, con il culo per aria, e una specie di rabbia che spingeva fuori.
La vita le si era denudata; e per una forza a cui era legata si ritrovava ad essere corolla di carne, macerie per una ragione di maggiore interesse.
Lei si immerse e riemerse, ripetutamente, nel delirio, come la più semplice delle verità: far sbocciare il grido dell'essere ventre - e vita imprigionata.
Allora sì, lo vide, l'Amore le si avvicinò come un atto divino e l'ostia della consacrazione sprofondò nella paura interiore: la bellezza ascese. Baciò la sua terra più infima - il corpo, tutto dentro un orifizio.
La realtà non era che un buco e diede libero corso al godimento.
Uno strano fenomeno per lei - forte dei valori più comuni del paese, strano poiché si rivedeva come la prima volta: ebbrezza di carne aperta perché una mano masturbasse un uomo e lei calasse nell'oblio. Nel disgusto.
Che sensazione!
Così capì, di nuovo, aveva rovesciato la brutalità di un grido d'angoscia in stupefazione: dilettandosi, ad inoltrarsi dentro un sonno prolungato. Senza sconti.
Senza pudore.
Lei comprese il significato che da tempo l'attentava: voleva condurre l'innocenza in una radura spoglia e violentarla. Delittuosamente. Voleva inondarla e sodomizzarla.
Ucciderla.
Ma il maggiore stupore lo scoprì in seguito, quando la follia sferzante scricchiolò sulle sue difficoltà come una scadenza e la crudeltà di essere donna per essere usata le bussò alla porta.
E poiché lei amava – non amando nessun altro che se stessa – lei vedeva, ciò in cui sprofondava, circondare interamente i suoi sensi e diventarle brama.
Germe dell'anima.

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