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Racconto n° 4123
Autore: Abel Wakaam Altri racconti di Abel Wakaam
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Autunno e Primavera
Penso al sapore del tuo collo mentre mi specchio nella vetrina buia dell'edicola davanti alla stazione e guardo le mie rughe sperando che ti possano piacere. Più di vent'anni separano il mio autunno dalla tua primavera e proprio non riesco ad immaginare il giovane profumo del tuo corpo in fiore. Mi sono chiesto mille volte il perché di quest'incontro, ben sapendo che non volevo trovare la risposta, non volevo ammettere ciò che in fondo è palese... un innocuo inganno, un tranello... una sfida alla macchina inarrestabile del tempo... un impossibile sfiorarsi di due stagioni così diverse tra loro.

E tu, così giovane e risoluta, così implacabile nella tua scelta... inesperta forse, ma coraggiosa, con quello spingere sulla mia roccia logora il flusso della tua marea. Perché mai avrei dovuto resisterti, perché non lasciarmi risucchiare dall'onda... io che da sempre vivo da corsaro, mai pago di assalti ai velieri dalle vele candide, ed alle belle fanciulle a cui rubare un bacio vero.

Non ti conosco ancora, nemmeno il tuo volto, solo quella tua descrizione scarna di cui mi sono fatto una vaga idea. E' così che ti ritrovo davanti, un attimo prima eri nascosta da una saracinesca nera come una notte senza luna... e poi, di colpo, un mare caldo tra le mie braccia in cui ti lasci cadere.

Come resistere... come resistere alla voglia di cancellare il mondo intorno con uno schiocco di dita... e restare solo noi, che sembriamo un padre ed una figlia che si ritrovano dopo un lungo viaggio, incerto, di ritorno da un'altra vita.

Via... via, dentro la macchina parcheggiata sul marciapiedi, uno sguardo e poi le tue mani che cercano la pelle sotto la mia camicia e le mie che non osano sciupare il tuo vestito nuovo... impalpabile sotto le mie dita. Mi travolgi, lo sento... e forse è quello che volevo, lasciarmi andare, lasciarmi prendere per timore di chiedere troppo o troppo poco, per paura di sbagliare, nel terrore di non comprendere i bisogni dei tuoi vent'anni.

Solo così poteva funzionare... e tu lo sapevi, tu... che come una gatta mi salti addosso senza darmi pace, mi stringi, mi usi ed io sento solo il rumore forte delle tue fusa. Sento che in questo istante la battaglia la sto perdendo, sento il fragore della mia voglia che si mostra e tu la cogli, sento il rumore della marea che supera gli scogli... sento che nulla ci può salvare da questo dolce naufragare, e già sfioro l'umido del tuo sesso sotto la tua corta gonna che si apre in uno spacco audace.

Via... via, andiamo via da qui, nascondiamoci agli occhi del mondo, non abbiamo il tempo di spiegare ad ognuno dei passanti che è solo un minuto che ti conosco, voglio solo sbarrare ogni finestra della nostra alcova, e abbiamo trenta chilometri da percorrere mentre con gli occhi ci si divora.... mentre con gli occhi ci si scruta, ci si guarda, si indaga nei dettagli per capire cosa c'è di vero, si cerca solo ciò che ci piace e che si vuol vedere... forse si nega questa differenza di stagioni... forse troppo grande... forse spero che tu rinsavisca e che non voglia un uomo come me da usare come amante.

Ma la macchina corre, la macchina vola... svanisce il traffico e restano solo i pensieri, la tua mano nella mia è sudata, severa... sfreccia la campagna fuori dai finestrini... ti sfioro una guancia e tu ti avvicini... mio dio ti avvicini!

Ed il silenzio ci prende appena siamo soli.

Resto immobile contro alla porta chiusa, appoggio le chiavi in silenzio sotto allo specchio che mi sta di fianco e tutto appare immobile, equidistante, un gioco dove ognuno sa quale pericolo ha davanti... un gioco di sguardi inespressivi e poi suadenti... e la gatta... la gatta torna tra le mie braccia con i suoi lamenti.

Ora si... questo è il luogo, è il momento, ci stiamo sbranando, ci stiamo svestendo, ormai è un incendio del tutto doloso e la mia lingua è già nel tuo pelo e ti fruga dentro, ti succhia la voglia che pulsa incessante... e poi risale lungo il tuo corpo armonioso, finché raggiunge la bocca assorta in un'espressione oscena... e sorride un istante avvertendo l'odore caldo del tuo sesso in piena.

E poi giù ancora... goloso, mentre aggrovigliati uno sull'altro, capovolti... mostriamo la nostra essenza senza più ritegno, mostriamo il desiderio, la voglia di prenderci e di godere. Ed io affondo le dita nella tua albicocca matura, la spremo, la apro e poi cerco il suo nocciolo duro... lo risucchio tra le labbra e con la lingua lo abbraccio, lo frusto, lo torturo. E tu mi sorprendi inghiottendo il mio sesso austero, ribatti colpo su colpo gli impulsi del desiderio, ricami il piacere con la tua saliva... lo stringi, lo baci e ti senti viva, forte, imbattibile, inarrestabile guerriera, una gatta con gli artigli che mentre mi prende si concede... che soffoca le grida dentro il mio seme... che strizza fuori i suoi umori e poi mi scoppia nelle vene.

Com'è bello ora il silenzio tra le lenzuola sudate... tra le tue braccia che mi stringono come una battaglia vinta, come un traguardo raggiunto dopo una rincorsa eterna, come una storia che non è d'amore, ma nemmeno è una guerra persa.

Abel Wakaam

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