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Racconto n° 4226
Autore: Heathcliff Altri racconti di Heathcliff
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Ultima notte a Tijuana
Figa a mucchi. Bionde Barbie californiane con poca stoffa sulla pelle e molto alcol nel sangue, e quella voglia di osare e di godere che la vacanza ti mette addosso. Ecco cos'ero venuto a cercare a Tijuana, e cosa trovai quasi ogni notte della mia permanenza. Il mio amico Giorgio me l'aveva descritta come un torbido paradiso per viziosi gaudenti come il sottoscritto, e la visita non deluse le mie aspettative. Tornai in Italia con una bella collezione di aneddoti piccanti da raccontare agli amici più intimi davanti a una bottiglia di vino, anche se quello che vi racconto ora non ho mai bevuto abbastanza da confidarlo a nessuno di loro.
Successe proprio l'ultima sera della mia vacanza, e fra i postumi della sbornia, il viaggio in aereo e gli effetti del jet leg, si scompaginò nella mia memoria come un puzzle disfatto che solo adesso mi prendo la briga di ricomporre.
L'amico di cui ero ospite, Giorgio, dopo avermi mostrato serata dopo serata il meglio che la città poteva offrire, mi lasciò solo proprio all'ultima, per un inderogabile impegno di lavoro che lo costrinse a recarsi fuori città. Così mi ritrovai a vagabondare per conto mio, curioso di esplorare come un bimbo che per la prima volta si avventura da solo oltre il cortile. Stupidamente, snobbai la Tijuana dei turisti per andare in cerca del vero Messico, e come Giorgio mi aveva messo in guardia in un batter d'occhio mi ritrovai nei guai. Stavo camminando nella zona a ridosso del confine con gli Stati Uniti quando incappai nel classico brutto incontro: tre messicani comparvero da dietro l'angolo e mi sbarrarono la strada, e tutti e tre avevano un coltello in mano. Non vorrei passare per vigliacco, ma non sono abituato a fronteggiare quel tipo di situazioni, anche perchè per fortuna dalle mie parti non sono la regola. Sono un tipo atletico e molto sportivo, e passo il tempo libero fra corsa, nuoto e bici, ma di fronte a tre ceffi armati tutto quel che posso fare è mantenere la calma necessaria ad allungargli il portafoglio.
- Fossi in voi glielo ridarei subito - disse qualcuno alle mie spalle in spagnolo. Una voce giovane ma molto profonda, dal tono calmo e quasi amichevole. Io non osai voltarmi per non perdere d'occhio le lame dei tre messicani.
- Fossi in te non mi impiccerei in quel che non ti riguarda - rispose uno dei tre.
A quelle parole, l'azione si fece così rapida che non riuscii nemmeno a rendermi conto esattamente di quel che successe. La voce alle mie spalle si materializzò nel mio campo visivo come un susseguirsi di pugni e di calci mentre io istintivamente mi appiattivo spalle al muro, guardando attonito i tre messicani cadere come birilli, finchè il mio soccorritore non mi afferrò per un braccio e mi trascinò con sè di corsa lungo uno dei vicoli.
- Ho io il tuo portafoglio - disse in inglese mentre correva così veloce che faticavo a stargli dietro nonostante fossi ben allenato. Sbucammo in uno spiazzo con alcune auto parcheggiate, e mi spinse senza complimenti verso un grosso pick up nero dall'aspetto minaccioso. - Salta su - disse azionando la chiusura centralizzata. Non ero molto convinto, ma il tizio non mi lasciò scelta: salì al posto di guida, si sporse dalla mia parte e mi afferrò brutalmente per una spalla come se volesse sollevarmi di peso, e dovetti accontentarlo e sistemarmi di fianco a lui.
- Voglio essere sicuro di non avere più quei pezzi di merda fra i coglioni, poi ti porto dove vuoi - disse mettendo in moto.
Lo squadrai, chiedendomi se potevo fidarmi abbastanza da dargli il mio indirizzo o se era meglio farmi lasciare in un posto affollato per poi rientrare in taxi. A guardarlo in faccia ispirava fiducia: americano, sui venticinque anni, capelli scuri dal taglio militare e lineamenti regolari, gli occhi incassati sotto un'arcata profonda e le labbra ben disegnate – un bel pezzo di cowboy a stelle e striscie, ipernutrito a bistecche e torta di mele. Indossava jeans scoloriti e una t-shirt dei Led Zeppelin che doveva essere più vecchia di lui, di un nero stinto, la stampa sbiadita e l'orlo sbrindellato. Quel che faceva paura, però, erano le braccia che sbucavano dalle maniche strappate: muscoli ipertrofici e pompati come solo i culturisti più accaniti riescono ad ottenere, quei muscoli, per intenderci, che ogni volta che li vedi ti chiedi dove finisca il merito di una genetica favorevole e di un allenamento costante e dove inizi quello degli anabolizzanti illeciti. A ben guardare, poi, le braccia spiccavano solo perchè erano nude, ma tutto il corpo aveva la medesima stazza: il torace tendeva la stoffa della maglietta rendendola così aderente che dietro il disegno dei Led Zeppelin si intravedevano gli addominali scolpiti sotto, e i jeans stretti avevano uno strappo su entrambi i lati poco sopra il ginocchio per fare spazio ai quadricipiti ipersviluppati.
A giudicare da come aveva messo ko i tre messicani non coltivava i muscoli solo per bellezza ma li sapeva anche usare; tuttavia la sua aria rassicurante da american big boy mi spingeva a fidarmi di lui.
- Perchè ti sei fermato ad aiutarmi? - gli chiesi mentre ancora sfrecciavamo senza meta per le strade di Tijuana.
- Sono un marine - rispose lui col tono di chi è convinto che quello spieghi tutto. Poi mi scoccò un'occhiata di intesa. - E quando c'è l'occasione di tirar due pugni non me la lascio scappare -
Abbozzai un sorriso che voleva esser d'intesa, e intanto mi ripromisi di stare attento a non fornirgli a mia volta quell'occasione.
- Ecco il tuo portafoglio - disse allungandomelo. - Se mi dici dove alloggi ti riporto al tuo hotel -
- Si capisce così tanto che sono un turista? -
Lui annuì ridendo. - Solo un turista poteva essere così stupido da andare da quelle parti della città. Ma da dove vieni? Francia, Italia o Spagna? -
- Italia. Questa è la mia ultima sera di vacanza qui a Tijuana e volevo vedere cose un po' diverse... -
- Bè, ci sei riuscito, no? Ma ti è andata bene che passavo da quelle parti. Allora, dove vuoi che ti accompagni? -
Gli diedi l'indirizzo della casa di Giorgio. Avrei preferito concludere le mie vacanze messicane in compagnia di una delle Barbie che avevo conosciuto piuttosto che di quella specie di Big Jim sotto steroidi, ma quando arrivammo sotto casa mi sentii in dovere di invitarlo a bere qualcosa per riconoscenza, e lui non si fece certo pregare.
Ci sistemammo in cucina, e snocciolai l'inventario delle bevande disponibili. Il marine si scolò come prima cosa mezzo litro di coca cola per dissetarsi, poi prese a mischiare la coca con lo scotch che avevo tirato fuori, e dopo due o tre cocktail passò al whisky schietto. Quando finimmo la bottiglia ne aprii una di tequila, e finita anche quella eravamo abbastanza ubriachi da dare fondo alle scorte alcoliche di Giorgio alternando senza scrupoli un'infima vodka al limone con un cognac di vent'anni che era il vanto del suo mobile bar.
Per la prima mezz'ora, diciamo almeno fino al terzo cocktail, il marine dosò le parole come se le dovesse pagare, costringendomi a sostenere una conversazione che assomigliava più che altro a un monologo. Ma poi fu subito evidente che l'alcol aveva il potere magico di fargli scorrere le parole di bocca, e più beveva più aveva voglia di raccontarsi.
Mi disse di chiamarsi Randy, ma che ormai era solo suo padre a chiamarlo in quel modo, perchè si era guadagnato il soprannome di Ace nel suo primo mese di addestramento e quello era il nome che gli era rimasto addosso. Che si era arruolato a diciott'anni, per andarsene da una casa dove non faceva che litigare col fratello maggiore e subire le pressioni di un padre tirannico, dal quale sua madre era scappata quando lui era ancora bambino. Che aveva prestato servizio già due volte in Iraq, e la guerra non gli era sembrata poi così male rispetto a casa sua. Disse proprio così, stringendosi nelle spalle come se si sentisse in dovere di scusarsi per il cinismo che dimostrava, ma senza incertezze. Aggiunse che non avrebbe avuto paura di tornare al fronte, e che anzi stava pensando di chiedere il trasferimento a un'unità operativa sul suolo iracheno.
Bicchiere dopo bicchiere, Ace mi confidò che tornare in azione lo avrebbe aiutato a dimenticare una certa Christine che gli aveva spezzato il cuore, ma che per contro non si decideva a inoltrare la richiesta di trasferimento perchè continuava a sperare che prima o poi lei avrebbe potuto tornare a cercarlo. Non mi diedi la pena di disilluderlo solo per non averlo sulla coscienza nel caso fosse tornato in Iraq e fosse finito ammazzato. Ma da quel che mi raccontò delle sue disavventure amorose mi sembrava molto improbabile che potessero ancora avere un lieto fine, e la colpa era tutta imputabile a lui e ai suoi tentennamenti.
In parte per dovere di riconoscenza, in parte per autentica curiosità, mi feci raccontare tutto: da quando lei l'aveva notato mentre lui faceva a braccio di ferro in un bar, al modo schietto e quasi aggressivo in cui lei gli si era offerta, al loro primo incontro frettoloso sull'auto di lei, una splendida Ford Mustang nera nuovo modello, e a tutto il tiraemolla che ne era seguito, fino a quando lui era scappato dal suo letto prima che lei si svegliasse dopo la notte di sesso più incredibile della sua vita, e per tutto ringraziamento si era rifiutato perfino di parlarle quando lei l'aveva cercato il giorno dopo alla base.
Onestamente, facevo un po' fatica a capire il motivo della sua resistenza a godersi quell'esperienza senza troppi scrupoli, visto che lei, questa Chris, mi veniva descritta come una donna che sprizzava sesso da tutti i pori, se mai in maniera un po' troppo evidente. Più vecchia e più sicura di lui, lei aveva cercato fin da subito di condurre il gioco, senza inibizioni, ma anche senza capire quanto le donne troppo audaci possano spaventare con le loro pretese anche uomini giovani come lui.
- Chris riusciva a farmi sentire indifeso come un cucciolo, e io non potevo sopportarlo. Non ero più sicuro di niente, non sapevo neanche io quel che volevo davvero, sapevo solo che il prezzo di stare con lei era troppo alto. Lei mi faceva sentire come un marine non dovrebbe mai sentirsi, capisci? - Non ero sicuro di capire del tutto, ma annuii con aria comprensiva, e lui riprese subito.
- Però mi eccitava più di qualsiasi altra donna, e a letto con lei ho capito cosa vuol dire godere davvero. Le ho detto di no cento volte, ma dentro di me sapevo che se solo mi toccava non sarei riuscito a resistere. Oh cazzo, ti dico che me lo faceva diventare duro solo per il modo in cui mi guardava, e non c'era neanche bisogno che mi sfiorasse. E quando finalmente abbiamo scopato...beh, per me è stato come se fosse la prima volta, e non credevo neanche di poter provare tutto il piacere che mi ha dato. -
Gli risposi che io un'amante che mi avesse fatto quell'effetto me la sarei tenuta stretta invece di respingerla, e che non capivo fino in fondo perchè non avesse più voluto incontrarla se poi ora la rimpiangeva così tanto.
Il marine prese un sorso dal bicchiere che aveva davanti, ci piantò dentro gli occhi e disse: - Il fatto è che
non si chiamava Christine -
Lì per lì non mi sembrò una gran notizia, e feci poco caso al seguito.
- Si chiama Christopher... -
Non mi uscì nulla di più intelligente che ripetere - Christopher? - come un pappagallo ben ammaestrato.
- Già. Insomma è un uomo, come me e te -
Il mio cervello appannato dalla mistura di alcolici che avevamo ingerito si sforzò di elaborare il dato.
- Cioè è un transessuale? -
Ace scosse la testa. - E' più uomo di te e di me messi insieme, senza offesa, amico. -
- Oh...Ora non offenderti tu, ma a vederti così proprio non l'avrei detto che... - La sedia si fece d'improvviso scomoda, e mi interruppi per cambiare posizione. Continuavo a fissare con aria perplessa quel pezzo di soldato che avevo di fronte, e mi sforzavo di immaginarlo nudo a letto con un altro uomo, ma mi riusciva difficile quanto risolvere a mente un'equazione di terzo grado. Lui aveva appoggiato i gomiti sul tavolo e puntellato gli zigomi sui palmi delle mani, e continuava a parlare guardandomi di sotto in su. - E' che adesso mi manca tutto da morire, tutto quello che mi faceva... -
- E cosa ti faceva? - Ero perfettamente conscio di fare una domanda stupida, ma la mia incredulità aveva bisogno di una conferma.
Il marine inchiodò gli occhi al piano del tavolo. - Mi prendeva e mi scopava come la sua troia -
Oh Gesù. Lo squadrai di nuovo con uno sguardo involontariamente dubbioso: non ce lo vedevo proprio preso e scopato come una troia, e mi scappò detto prima che frenassi la lingua.
- Beh...non mi ci vedevo neanche io, finchè lui non mi ha fatto capire che quello che mi piaceva davvero era prendere del cazzo. -
Trasalii sulla sedia per la brutale franchezza di quell'ammissione. Il marine, invece, non so se per via della tequila o dell'astinenza, non sembrava per niente imbarazzato. Sollevò gli occhi dal bicchiere che aveva davanti, mi fissò socchiudendoli un poco, e continuò.
- Il brutto è che adesso che ho provato a prenderlo nel culo non riesco più a farne a meno... -
Altro mio oh, e altro spostamento del peso da una natica all'altra. Restavo convinto che il suo problema non mi riguardasse, anche se la luce torbida dei suoi occhi verdastri avrebbe dovuto farmi intuire che lui non la pensava uguale.
- E' che adesso non faccio che pensare a quello... - La sua voce era cambiata. Sempre fradicia di alcol, ma più profonda, più suadente, più roca, la voce che ti viene quando inizi a sentire qualcosa tendersi nei pantaloni. - Al cazzo di Chris, e al cazzo in generale. - Il suo sguardo mi aderì all'inguine, inequivocabile. Si inumidì le labbra, deglutì visibilmente. - Avrei sempre voglia di farmi inculare...anche adesso - La voce ora gli vibrava.
Io non sapevo cosa dire. L'imbarazzo mi annodava la lingua. Il caldo della stanza mi sembrava soffocante, e maledivo Giorgio e il suo rifiuto dell'aria condizionata mentre sentivo la fronte imperlarmisi di sudore. Mi alzai e aprii il frigo in cerca di qualcosa di dissetante e fresco dopo tutto il liquore che avevamo bevuto. Portai in tavola del succo di frutta e ne riempii altri due bicchieri.
- Buona idea: fa un caldo fottuto qua - disse Ace, e si levò la t-shirt consunta dei Led Zeppelin. Aveva un torace superbo, con pettorali incredibilmente sviluppati e addominali che parevano scolpiti nel marmo. Non eccessivamente asciutto come un culturista in gara, ma abbastanza da esibire fasci muscolari perfettamente distinti e vene ben visibili fin sull'addome. Non potei fare a meno di guardarlo ammirato.
- Toccami. Senti i miei muscoli - mi esortò.
In piedi di fronte a lui, allungai timidamente un dito sullo scudo dei suoi addominali.
- Non così - Mi prese la mano e se l'appoggiò sullo stomaco intarsiato di muscoli. La pelle era liscia e setosa, senza l'ombra di un pelo. Calda, e appena umida di un velo di sudore. Passai lievemente i polpastrelli sui solchi netti del suo addome contratto. - Beh, complimenti. Devi allenarti parecchio. - Gli dissi con un sorriso. Lui annuì e mi prese anche l'altra mano portandosela sul torace.
- Senti qua. - Irrigidì i pettorali, che scattarono su duri e tesi. - Palpali con tutt'e due le mani - mi chiese in un sussurro vibrante di aspettativa. Sapevo che sarebbe stato meglio evitare, ma non trovai il coraggio. Appoggiai le mani a coppa sulle sporgenza tondeggianti dei suoi pettorali. - Sono così grossi che ti ci potresti fare una sega spagnola qua in mezzo - disse lui con un'aria compiaciuta e quasi di sfida, come se mi volesse invitare a provare.
Abbozzai un sorriso greve di disagio, e accennai a togliere le mani, ma lui me le inchiodò sul suo petto con le proprie. - Toccami. Palpami le tette. Stringimi i capezzoli. - Io esitai. Lui mi inchiodò con gli occhi come con le mani. - Ti prego. Solo una palpata, cosa ti costa? -
Io non sapevo come sottrarmi. In fondo una palpata non era niente. Niente di sessuale. Come toccargli un braccio per sentire quanto era duro il bicipite. Palpai. Anche rilassati i suoi muscoli erano densi e sodi come pochi, di una consistenza che invitava ad affondare le dita. Anzichè contrarli ora si abbandonò sullo schienale della sedia con un sospiro, la testa buttata all'indietro, il pomo d'adamo che scivolava su e giù quando deglutiva. - I capezzoli...toccameli. - Ubbidii di nuovo, e li sfregai delicatmente. Piccoli boccioli maschili mi si risvegliarono fra le dita. Il marine mandò un gemito e si tese inarcando la schiena. Mi pregò di non smettere. Non smisi, infatti. Ero ubriaco e curioso di quei capezzolini di uomo che sporgevano dai pettorali rigonfi, piccoli e quasi insignificanti in apparenza, ma turgidi e sensibili come non mi sarei aspettato. Ammetto che non mi dispiaceva dedicarmici, e nemmeno accorgermi che Ace si stava eccitando. Ma continuavo a pensare che da un momento all'altro mi sarei fermato, mi sarei scusato e tutto sarebbe finito lì, quando Ace prese il bicchiere pieno di succo di frutta e se lo versò addosso, sul suo petto e sulle mie mani che lo stuzzicavano.
- Ma che fai? -
Per tutta risposta mi prese una mano bagnata di succo, se la portò alla bocca e cominciò a leccare. Mandò un piccolo mugolio mentre mi succhiava via il succo da un dito dopo l'altro, e non era difficile immaginare cosa stesse pensando quando fece scivolare la lingua tutto intorno al mio pollice, per poi infilarselo in bocca e succhiarlo appassionatamente. Io mi sentii come se il calore della sua bocca mi scivolasse giù in mezzo alle gambe. Mi fluì nelle vene dilatate dall'alcol, e mi si addensò nell'inguine. Qualcosa mi si sciolse nello stomaco, uno smarrimento leggero come un frullo d'ali, e qualcos'altro più in basso prese a tendersi mio malgrado mentre il marine mi sbocchinava il pollice emettendo piccoli gemiti golosi.
Sentii il cazzo ingrossarsi inesorabilmente in un'erezione. Nonostante chi stava provando a sedurmi non avesse niente di femminile, e fosse lontano anni luce da tutto quel che avevo fino ad allora considerato sessualmente attraente, il mio corpo reagiva ai gesti, gli sguardi e i sospiri della seduzione senza far caso al sesso di chi li ostentava, e la mia coscienza imbevuta di liquori non era in grado di mettervi un freno. Mi piaceva quel che lui mi stava facendo, e questo bastava: che fosse un marine dalla mascella squadrata e dalle braccia grosse più del doppio delle mie al mio cazzo non faceva specie, finchè continuava a spompinarmi il dito mugolando e a guardarmi in quel modo da troia, con la voglia di un cazzo che gli traboccava dagli occhi.
Così, con l'altra mano raccolsi con l'indice e il medio i rivoli di succo di cui si era impiastricciato il petto, inisistendo sui capezzolini duri fino a sentirlo gemere di eccitazione, poi gli tolsi di bocca il pollice e al suo posto infilai senza una parola le due dita fra le sue labbra socchiuse. Mentre lui succhiava quelle, io senza pensare mi chinai a prendere in bocca uno dei suoi capezzoli, lo ripulii e lo titillai con la punta della lingua, con la stessa insistenza e tenacia con cui lui mi si era attaccato alle dita. Sentii le sue mani sul pacco gonfio, e seppi subito che non ero più in tempo a tirarmi indietro. Mi lasciai sbottonare i jeans con l'aspettativa che mi gonfiava il cazzo, mi raddrizzai, e guardai il mio sesso sporgere dagli slip abbassati, puntare dritto verso la sua faccia, e infilarsi senza esitazione nella sua bocca semiaperta. Il marine me la richiuse addosso, con un risucchio che mi fece sfuggire un gemito. Poi avvertii la sua lingua solleticare tutto intorno l'orlo inferiore della cappella, più volte, e stuzzicarmi la fessura. Con la destra stringeva e masturbava l'asta, lentamente, e con la sinistra mi avvolgeva i coglioni. Con le ginocchia deboli dal piacere, gli misi le mani sulla testa e gliela spinsi delicatamente incontro al cazzo. Lui mugolò, ma invece di sottrarsi aprì ancora di più e se lo lasciò infilare più dentro. Riusciva a tenerselo in bocca quasi tutto, e ci si attaccò succhiando come un ossesso. - Bravo frocetto, succhia bene - gli dissi in italiano cominciando a muovere il bacino avanti e indietro. Non che ci fosse bisogno di dirglielo. Il marine mi sbocchinava con una dedizione maggiore di molte donne che mi avevano fatto lo stesso servizio, e aveva dalla sua una bocca più capiente e una conoscenza diretta dell'anatomia maschile. Stimolava con cura tutti i miei punti più sensibili, causandomi un brivido di piacere dopo l'altro, e il mio cazzo gli palpitava in bocca sempre più duro e più gonfio.
Mi misi comodo, il culo appoggiato al bordo del tavolo e le gambe larghe, e lui si alzò dalla sedia per inginocchiarmisi di fronte. La nuova posizione mi eccitava ancora di più. Il fatto di vedermi inginocchiato davanti un uomo così forte forse lusingava il mio ego, e il connubio fra la sua straripante mascolinità fisica e i suoi modi da puttana mi intrigava come non avrei mai pensato. Gli spingevo in bocca la mia verga dura con un breve rantolo di godimento ad ogni colpo, e intanto con le mani intrecciate sulla sua nuca gli tenevo la testa in posizione. Lui mi accoglieva dentro fino in fondo, più docile e più disponibile di una donna, e io che sentivo il piacere crescere ad ogni spinta iniziavo già a pregustare di innaffiargli la gola, quando lui smise di colpo e passò a riempirmi l'uccello di leccatine fameliche.
- Adesso scopami, ti prego - mormorò sfiorando di baci la mia cappella turgida. Nel frattempo si era aperto la patta e smanettava con impegno un'erezione bella grossa, ma io ormai ero troppo eccitato per farmi smorzare da questi dettagli. Anzi, aveva un bel cazzo, messo in risalto dal fatto che aveva rasato i peli pubici tutto intorno, e in un certo modo la prova tangibile della sua eccitazione stimolava la mia. Continuò per qualche minuto ad alternare sapientemente succhiate e lappate sulla mia cappella pulsante, facendo crescere il mio desiderio fin quasi al limite. Quando tornò a ripetere - Fottimi, Marco, aprimi il culo - fissandomi di sotto in su con gli occhi carichi di desiderio, io ero talmente voglioso di un buco caldo in cui affondare che mi sarei scopato anche un gorilla.
Ma la visione che mi presentò Ace quando rimase nudo e si piegò a novanta gradi sul tavolo della cucina era molto più allettante. La sua schiena larga e poderosa si assottigliava in un vitino stretto dal quale sporgevano due natiche tonde e piene, senza traccia di peli, invitanti quanto un culo di femmina. Il cazzo mi palpitò di impazienza quando lui se le divaricò con una mano, e prese a stuzzicarsi l'ano con l'indice dell'altra. Presi dell'olio dalla dispensa, e me ne spalmai sul cazzo una dose abbondante. Poi ne versai un filo nel solco fra i suoi glutei, anche quello liscio e depilato, e il marine ne approfittò subito per infilarsi dentro il dito con cui titillava il buchetto. Il cazzo mi si fece duro come un bastone mentre osservavo come stregato le sue dita impegnate ad allargare lo sfintere per una penetrazione più sostanziosa, e non ebbi la pazienza di aspettare per molto. Dopo meno di un minuto di quello spettacolo, mi posizionai dietro di lui, gli presi la mano costringendolo a levare le dita e feci per spingergli dentro il cazzo. Lui mi chiese di fermarmi, ma solo per cambiare posizione. Si sdraiò di schiena col culo sul bordo del tavolo, e spalancò le gambe tenendosi le ginocchia al petto con le mani. - Scopami così, come se fossi una donna - Il suo buchetto occhieggiò fra le natiche divaricate come una piccola fica increspata e stretta.
Mi avvicinai, e guidai con la mano il cazzo dentro la sua fessura. Dilatata e oliata, non fece quasi resistenza quando mi spinsi in lui con un sospiro di piacere. Dentro, era così stretto e bollente che mi tolse il respiro. Non volevo fargli male, ed aspettai un poco a spingere ancora, ma fu lui stesso a buttare i fianchi all'indietro incontro al cazzo che lo infilzava, e a pregarmi di fotterlo duro e senza riguardi.
A quel punto lasciai da parte gli scrupoli, e presi ad affondare nel suo culo col ritmo che mi imponeva l'istinto: colpi lenti ma energici, che mi facevano vibrare il piacere nei lombi e strappavano a Ace un rantolo dopo l'altro. Il marine mi appoggiò i polpacci sulle spalle e si ripiegò su se stesso come un coltello a serramanico, il culo sollevato e accessibile giusto all'altezza dei miei fianchi, il collo inarcato all'indietro e la bocca socchiusa nei gemiti. Di tanto in tanto sussurrava parole sconce che non sempre riuscivo a tradurre, ma non era difficile capire che ora tutto quel voleva era un cazzo ben duro che gli riempisse le budella e lo facesse sentire più puttana che soldato.
Venne la prima volta dopo poco che gli stantuffavo il culo, coprendosi di schizzi fino al mento. Gli avevo preso i polsi e gli schiacciavo sul tavolo le braccia sollevate ai lati della testa, anche se non credo certo che avrei avuto la forza di bloccarlo davvero, e il suo cazzo vibrava e pulsava a ritmo coi miei colpi, spingendo fuori una gran quantità di fluido che gocciava dalla cappella gonfia lungo l'asta rigida e nodosa. Per la prima volta in vita mia sentii il desiderio di stringere nel pugno il cazzo di un altro uomo, di sentirlo sotto le dita duro, caldo, liscio e scivoloso come doveva essere, e l'odore delle sue secrezioni anzichè disgustarmi accresceva la percezione della virilità di entrambi. Sentivo il suo bacino farsi disperatamente incontro al mio ogni volta cha affondavo in lui, e il suo culo contrarsi all'unisono col palpitare del cazzo in una stretta avida che intensificava anche il mio piacere, ma non mi aspettavo che potesse venire così, senza neppure doversi toccare. Lo vidi sbarrare gli occhi al soffitto e aprire la bocca in un grido soffocato, mentre il suo corpo si inarcava sotto il mio con una forza incontrollata e le natiche si sbattevano sul mio cazzo così violentemente da farmi male, poi il suo uccello pulsò ripetutamente schizzando cinque-sei getti di sborra, mentre lui si agitava convulso e il grido si rompeva in un susseguirsi di grugniti e di gemiti.
Lasciai la presa sui suoi polsi e mi fermai dentro di lui, per dargli il tempo di riprendere fiato, anche se il mio primo impulso sarebbe stato quello di spingermi in lui furiosamente fino a venire a mia volta. Non avevo mai assistito in diretta all'orgasmo di un altro uomo, nè tantomeno ne avevo mai provocato uno, e non avrei mai potuto immaginare l'eccitazione che mi diede invece quella cascata di schizzi di sperma sui suoi pettorali ipersviluppati.
Ma Ace voleva tutto tranne che una tregua. - Non fermarti. Oh sìììì, continua a fottermi...continua, cazzo. - ansimò appena fu in grado di parlare di nuovo, e tutto in lui sembrava dimostrarmi che non ne aveva ancora abbastanza.
Io fui ben felice di ricominciare a spingere. Il suo culo, dopo essersi stretto come una deliziosa morsa intorno al mio uccello mentre lui schizzava, ora era percepibilmente più rilassato, ma anche più vorace. Sembrava aprirsi, farsi più fondo, attirarmi nella profondità delle viscere, mentre il marine apriva più che poteva le cosce robuste e mi si faceva incontro,e sollevando la testa e le spalle mi si aggrappava con le mani alle natiche come se volesse impedirmi di uscire. Il suo linguaggio si era fatto sboccato come quello di una puttana da bordello, e nonostante la voce che le pronunciava fosse virile e profonda tutte quelle invocazioni oscene a fotterlo e riempirlo di cazzo e di sborra mi facevano lo stesso effetto che se fossero uscite da una bocca di donna. Nello stesso modo, quando prese a stimolarsi un capezzolo fino a farlo sporgere turgido dalla collinetta del suo pettorale, io obbedii all'improvviso impulso di prendere fra le dita l'altro e girarlo e strofinarlo ora con delicatezza e ora con più decisione, mentre il marine guaiva e si dibatteva di piacere affondando i denti nelle labbra serrate.
Notai che il suo cazzo non aveva perso niente del suo vigore, ma sembrava ancora rigido e gonfio di desiderio nonostante fosse ricoperto di sperma; a quella vista non riuscii più a resistere alla tentazione di toccarlo e lo afferrai curioso, gustando la sensazione inedita di quell'erezione e quello sperma che non erano i miei. Non so neanche io cosa scattò dentro di me quando strinsi il suo cazzo fra le dita, ma raddoppiò il piacere per entrambi, come se quel cazzo che presi a masturbare fosse mio quanto quello che gli spingevo nel culo a colpi sempre più serrati.
- Mmmh...oh, continua così, cazzo, fammi venire... - mugolò il marine tenendosi con le mani al bordo del tavolo per resistere alle mie spinte. Mi ancorai alla sua spalla con la sinistra, mentre con la destra continuavo a segarlo, o meglio lasciavo che il suo cazzo mi fottesse il pugno a ritmo con le spinte del bacino che a loro volta riflettevano i colpi dei miei lombi.
- Fammi godere...fottimi, scopami come una troia - annaspò in un gemito strozzato, e io a quelle parole sentii nel flusso caldo che mi invase l'inguine che non avrei potuto trattenermi un secondo di più dopo che l'avessi visto sborrare ancora. Il mio corpo si sintonizzò col suo d'istinto, e i miei fianchi presero a spingere col ritmo e con la forza che lui mi chiedeva, le palle a sbattere sulle sue natiche sollevate e il cazzo ad affondare in lui come se avesse voluto inchiodarlo al tavolo. Gli martellavo l'ano dilatato senza soste, con un ritmo che mi avrebbe presto portato all'orgasmo se tutto l'alcol che mi scorreva nel sangue non avesse un poco inibito le mie reazioni. Ogni volta che rallentavo, col cazzo in fiamme e il respiro affannato, per permettermi di durare ancora in quella lunga cavalcata, lui smaniava pregandomi di continuare. Avevo smesso di segarlo, e gli avevo afferrato i fianchi con entrambe le mani per potermi spingere in lui più che potevo. Lui si toccava a tratti, una lisciatina al cazzo nel pugno chiuso che ne spremeva fuori grosse gocce traslucide e filanti, e si massaggiava il glande gonfio e scivoloso di quel fluido, ma senza fretta, come se volesse prolungare più che poteva il godimento che gli dava essere preso in quel modo.
Ma io ormai faticavo a trattenermi. Le sue suppliche da puttana mi costringevano a fotterlo a ritmo serrato, e il piacere mi saliva nell'inguine irrefrenabile come un geyser pronto ad schizzare. - Sborra - gli dissi quando sentii che non ne potevo più. - Sborrati addosso, marine, voglio che godi col mio cazzo nel culo... -
Bastò quella frase, e lui grugnì forte e mi si afferrò al collo trascinandomi giù sul suo petto, inarcandosi sotto di me come un toro che sgroppa. Lo sentii stringere un grido fra i denti : - Sborro, oh cazzo, cazzo... - e poi il suo sperma mi spruzzò il torace. Io venni nello stesso momento, come se non aspettassi altro. Mi aggrappai ai suoi fianchi asciutti di bodybuilder quando sentii il suo culo mungermi nella stretta del suo orgasmo e sciogliermi nel calore del mio, gli piantai le dita nei muscoli duri dei glutei e il cazzo nelle budella tenere e bollenti, e gli riversai a fiotti la mia lussuria nelle viscere in un spasmo di piacere dopo l'altro.
Fu così che mi trovò Giorgio. Abbandonato sui pettorali ipertrofici di un sergente dei marines, col respiro ancoro corto dal piacere, e il cazzo ancora duro incastrato fra le sue chiappe. Rientrato a casa prima del previsto, Giorgio si gelò sulla soglia della sua cucina, perchè nonostante la posizione femminea in cui si trovava, Ace non avrebbe potuto esser scambiato per una donna neppure per un istante.
- Marco! Ma con tutta la figa che ti ho fatto conoscere in questi giorni... sei impazzito o c'è qualcosa di te che non mi hai mai detto? -
- Giorgio, aspetta...ora ti spiego - Mi sollevai, pensando che se non fossi stato ubriaco fradicio sarei morto dall'imbarazzo. Il resto della serata lo passai a convincere Giorgio che non era necessario essere omosessuali per approfittare di certe situazioni, ma non credo che avrei avuto successo se il marine non si fosse messo d'impegno personalmente...

Heathcliff

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