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Racconto n° 529
Autore: La belle dame sans mercie Altri racconti di La belle dame sans mercie
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Arc en ciel
Arc en ciel era il bordello più seducente di Parigi.
Violetto, indaco, blu, verde, giallo, arancione, rosso: sette carrozze nuove di zecca e una locomotrice di lucido oro zecchino.
I binari nitidi d'acciaio aspettavano, con sensualità animale, d'essere attraversati da quella eccitante, divertita, umanità, strabordante denaro.
Proprio una grande idea quella di Madame Radiguet, liscia e piacente, una quarantina ben portata, l'investimento migliore per l'eredità noiosa di un marito noioso che l'aveva relegata per diciotto dei suoi anni migliori tra soffocanti agi e lussi.
Aveva deciso, si diceva, di farlo fruttare al meglio quel capitale e s'era messa in affari con un gentiluomo italiano: non solo in affari, a dirla tutta.
Ma, per Madame - come d'uso la chiamavano le sette ragazze - ne valeva la pena.
Arc en ciel, in meno d'un lustro, era diventato l'indirizzo sicuro nella capitale francese di un mucchio di facoltosi: discreto, efficiente, il vero centro operativo della borsa di Parigi, il luogo in cui, le soffiate e i pettegolezzi, unica regola e efficienza del mercato azionario, trovavano la prima valvola di sfogo.
Un bordello nel bordello: broker, agenti di cambio, operatori di borsa, pronti a prostituirsi per un tiro di coca, una coppa di champagne, una sveltina.
In cambio di poche frasi si poteva usufruire del paradiso artificiale che questo impero dei sensi offriva, il conto dei loquaci clienti veniva pagato da un generoso e anonimo benefattore. Non c'era persona importante in qualsivoglia parte del mondo che non fosse passata, passasse o sarebbe passata di là.
Il socio di madame Radiguet, affascinante, sui sessant'anni, completo gessato, gardenia all'occhiello e sigaro tra le labbra accoglieva con fare frivolo e mondano la creme della clientela, suggerendo con studiato disincanto questa o quella tra le sette magnifiche ragazze svestite di tutto punto, arrampicate, le lunghe gambe a pendere sensualità e desiderio, dai letti preziosi delle carrozze o sdraiate lascive su divanetti della sala restaurant, disposti attorno a una fontana a forma di putto dalla quale champagne pregiato fingeva sgorgare.
Giorgio Sammartino sembrava aver impegnato molti dei suoi anni a raffinare ragazze di lusso per una clientela di tipo tutto particolare, clientela disposta a spendere mille franchi solo per parlare con una delle sue veneri in mostra, cinquecento per una bottiglia di champagne, altrettanti per un po' di caviale e salmone, unico cibo in vendita sul treno dell'amore.
Theo Hoft, maturo uomo d'affari, era l'ultimo dei clienti preziosi, quelli per cui Madame Radiguet preparava accuratamente sempre una nuova ragazza: ora stava attraversando i vagoni, lasciava che la capace tasca del barman inghiottisse una buona mancia si confondeva nelle danze eloquenti delle ragazze, nel gioco malizioso degli arazzi che rivestivano ogni ambiente, tra le statue vermiglie, sottraendosi con disinvoltura agli sguardi sospettosi di Monika Mefrouf, un tempo efficiente segretaria-amante di Giorgio, ibrido mascolino tuttofare, posta all'ingresso a controllare con un metaldetector gli ospiti della singolare maison.
Violet, biondissima, un corpo tutto raccontato da un minuscolo vestito in seta, era destinata a Theo.
Trenta anni di seducente malizia, età limite per l'Arc en Ciel, una bambina di quattro anni, un olandese perfetto appreso in un suo soggiorno ad Amsterdam au pair, quando era ancora una studentessa.
Un soggiorno singolare, conoscenze maschili e non solo, poi era riuscita a salire al volo sull'Arc en ciel, l'ultima carrozza certo, del bordello più esclusivo, senza perdere mai di vista lo scopo di quegli incontri con preziosi amici che le forniva Madame: acquistare una casa di quattro piani nel centro storico della città, decidere con chi alzarsi al mattino e dove andare a dormire la sera. E il modo l'aveva intuito: qualche informazione graziosamente pagata cash, sicuramente meglio di una delle sue richieste performance amorose. Violet.
Theo, però, non voleva informazioni di borsa ma qualche dettaglio in più su Bluette e Orange - così si chiamavano le ragazze, come i colori dell'arcobaleno, nessun altro nome là poteva essere usato - due amiche arrivate un anno prima e immediatamente inserite nella lavagna luminosa, bizzarro arrivi e partenze di quel treno apparentemente senza meta.
Due ragazze che, diceva, aveva sognato. Donne che evocavano parole antiche: ancelle del piacere, estenuanti vestali della libidine. Theo era rimasto incastrato nello spazio caldo di un tempo da rapina. Bluette e Orange erano la mistura animale di un sesso donato in coppe argentoveleno. Erano calze di seta e giarrettiere fresca bordura al limite di un proibito che era obbligo superare. Erano labbra capaci di rubare l'anima giocando curiose a doppia altalena una sui seni dell'altra e poi insieme là dove il fuoco ardeva le viscere morbidamente impudiche.
Impresso a vivo nella carne dolorante il godimento estatico di quelle ore.
Orange accarezzava lasciva Bluette, acrobata del sesso si rivoltava morbida tra la peluria scura e impudica dell'altra lei. Orange esibiva con pudore virgineo il rosa di labbra private e infantili appena scomposte da biondi ciuffi di sottile peluria. Sottili le dita cercavano l'una il piacere dell'altra, mordendo l'aria e galoppando il desiderio dell'uomo. Frenesia esasperata dei sensi che portavano Theo fino alla porta estrema del desiderio che fluiva fuori di lui naturale e selvaggio. Polluzione adolescenziale che Bluette, cagna devastante, leccava sulle mani ingenue dell'amica per poi tornare a regalargliene il sapore sulle labbra. E il desiderio si riappropriava di Theo, mentre Orange amazzone di eccitante bellezza si offriva come miele alle sue labbra e Bluette cavalcava la sua virilità ingigantita dal piacere. La bocca nel sesso dell'una, il peccato nella cavità chiusa del sesso dell'altra. Una di fronte all'altra, mentre si scambiavano baci e un amore che escludeva e seduceva il maschio prosciugato.
Bluette e Orange
La fantasia volava e restituiva violento il desiderio che bisognava soddisfare.
E Violet non si faceva certo pregare. Ma era solo sesso: ergersi di reni, dolore uterino che si fa piacere mentre la bocca avida consuma le ultime stille che il pene impudico non sa trattenere. E Violet raccontava eccitando la storia delle Biches.
Theo ascoltava l'argentina cascata di parole pagate che l'amica riferiva con dovizia di particolari, date, nomi, clienti, ma era Orange che lo interessava.
"Prudence, mi pare si chiamasse così, non saprei di preciso, intorno ai venticinque forse meno, altissima, mani lunghe nervose. Bella. Strana. Sembrava volersi distinguere dalle altre, fingeva scioltezza ma si capiva sentiva sporco questo nostro eccitante mestiere - raccontava Violet assorta - ha sempre detto d'essere francese, qui del resto il capo non prende nessuna ragazza che non sia francese per non avere problemi con l'emigrazione, ma io sono sicura che non fosse così. Straniera, Americana, forse. Australiana. Diceva che mille franchi l'ora erano troppi per poter fare la difficile, che con quelli avrebbe completato la sua opera, perché lei in realtà era, mi pare di ricordare, un'artista e quella un'esperienza estrema che presto avrebbe dimenticato. Sai? Io sospetto che né lei, né la sua amica si prostituissero davvero. Giorgio e Monika ci avevano lasciato intendere che si nascondessero qui, sul treno dell'amore. Perché? Biches, le cerbiatte, tutti abbiamo sempre pensato che fossero lesbiche. Il fattaccio, poi, è capitato quando è arrivato il ginecologo, doveva sottoporle a visita periodica, sai, le malattie veneree e tutte quelle balle, come se fossimo così stupide da non proteggerci da tutti quegli uomini che bazzicano qui. Bè, Bluette e Orange avevano evitato la visita per un sacco di tempo, credo per tutti i mesi che sono state qui, ma quel giorno le ragazze avevano deciso che non avrebbero più lavorato se quelle due non avessero avuto il cartellino sanitario aggiornato. Vuoi sapere come è andata a finire? Sono sparite, così, all'improvviso. La cosa più strana è che nessuno dei clienti ha più chiesto di loro, del resto chi le avvicinava pagava anticipatamente, si dichiarava soddisfatto, ma non le richiedeva più. Tu sei il primo a chiedere ancora di loro."
Theo Hoft provava un sentimento diviso, misto a una confusa eccitazione per quel chiaroscuro in ritratto: due ragazze torbide, affascinanti, giuste.
Due ragazze che, per quanto fuggissero, loro malgrado, lasciavano ovunque l'odore intenso del loro passaggio. Odore da seguire come segugi la selvaggina. Odore di sesso verginale, sanguelavacro sconosciuto. Una l'ancella dell'altra.
Bella storia d'almanacco fin du siecle: una vedova piacente e compiacente, il suo maturo amante, un ibrido femminino a nome Monika, sette colori, sette carrozze lucide, sette demivierges e, tra loro, le biches: due spicchi d'arcobaleno in fuga su di un treno fissato a un binario. Morto.
Il pensiero, quello inquieto e torbido della morte, aveva disturbato Theo, insieme alla paura per una vicenda, sepolta tanti anni prima e che ora, vigliaccamente, si presentava a chiedere la riscossione di un credito con tanto di interessi.
E la cassiera non era più una, né sola: misteriosa e viva appariva una donna che - adesso lo intuiva con fastidio - recava segni di un passato che lui aveva conosciuto.
Adesso, Violet lo respingeva fuori dalla stanza, come stanca delle chiacchiere, insoddisfatta della parcella o del suo avere detto troppo.
La porta dell'elegante carrozza foderata di seta, morbida di voluttuose pellicce abbandonate su tappeti di pregiato oriente, si era aperta su di un corridoio carico di profumi complici: una compita cameriera chiedeva, con formalismo rigido e in perfetto olandese, a Theo cosa desiderasse, mentre dalla sinuosità di un divano di morbida pelle gialla, nel divisorio arabescato tra una carrozza e l'altra, una voce di donna che mostrava di sé solo un cascata di morbidi ricci scuri insisteva: "E' lì, Dominique?"
La cameriera aveva escluso la donna dalla vista di Theo che, adesso, osservava con curiosità la sequenza di porte chiuse appena visibili nella penombra del lungo corridoio che gli stava davanti indicato da un a stuoia di uno strano colore metallico che ricordava quei sentieri luminosi che negli aerei indicano le uscite di sicurezza.
Inutili nell'uno e nell'altro caso s'era sorpreso a pensare.
Ma chi era quella donna che sinuosa e lenta sprofondava sempre più nella poltrona? Theo si sentiva costretto a guardarla.
La pelle di pregiato velluto bruno: esotico capriccio per Giorgio, il macchinista di quel bizzarro treno senza meta, s'era trovato a pensare, rimaneva ostinatamente di spalle, mostrando di sé solo quel tanto che scopriva lo specchio di fronte: la metà chiara di un volto in ombra, labbra carnose serrate, l'occhio uno solo, duro.
Sospinto verso il vagon- restaurant e incatenato dalla sottile malia di quella apparizione, Theo aveva la sensazione del deja vu, tutto, intorno a quella donna sembrava costruito. Costumi, scenografia, attrezzeria apparivano l'ingombro di una scena di cui non ci si poteva liberare. La donna, dalla pelle d'ambra e di seta, messa in mostra da un vestito di seducenti strappi, raccontava, nella sua ferma volontà a non mostrarsi, una storia immortale.
D'harem, di lascivia: eccitante invito a abbandonare il sobborgo placentare per nascere, finalmente, donna. Profluvio di desiderio che stordisce e eccita, lingua morbida che scova gli accessi più reconditi del piacere, capezzoli di marmo che ornano coppe di carne morbida, brividi che formano un reticolo sulla perfezione della pelle. E inesausto desiderio di bere da quella vagina di perfetta voluttà il suo orgasmo.
Quegli oggetti, quei costumi, quell'ambiente suggerito dal corridoio in fuga non cedevano, ma trovavano solido appoggio nel peso storicamente sedimentato dell'approccio al vero di Theo, che bloccava in modo disperante ogni slancio verso una sapienza o una coscienza condannate a apparire solo in filigrana.
La donna appariva a Theo come una minaccia, inquinata da una perversa arte dissimulatoria. Bella e seducente, medusa capace di impetrare anche attraverso il solo riflesso di uno specchio.
Cos'era che difendeva? Il privilegio di un posto conquistato a fatica, attraversando ad uno ad uno tutti i vagoni di quel treno, numeri osceni, o piuttosto la paura di essere riconosciuta. Ma riconosciuta da chi? Un cliente forse. Ancora una domanda aperta. Cliente: quale la merce che la donna aveva venduto?
Ora quel viso d'ebano, senza sorriso, si affacciava dolente dallo stretto del vetro obliquo e istoriato di un vagone che- ora se ne avvedeva - era assolutamente bianco. Colore non colore, improprio per l'Arc en ciel.
Lo sguardo di lei si incollava sulle spalle di Theo sembrava volerlo trattenere. Chi era quella donna?
Era andato là a cercare le septieme ciel dell'Arc en Ciel, come gli avevano suggerito, ora, invece, avvertiva un viluppo tentacolare assalirlo d'ogni dove: preda della bellezza, schiavo della voluttà.
Adesso, come sempre nella vita, come quando - ma perché adesso era costretto a quello scomodo ricordo? - aveva tentato di pagare l'amore e il silenzio d'una giovinetta immacolata.
Una giovinetta che non aveva accettato né l'uno né l'altro e, violata, s'era gettata sotto un treno, in un'alba lattescente, poco prima che l'arancio del sole sfidasse l'azzurro del cielo. Violet, Blanche, Orange, Bluette.
Era stanco, stanco e turbato.
Aveva pagato Violet abbastanza per potersi permettere qualcosa di più delle sue chiacchiere e così s'era rifugiato nella sua carrozza, steso sul letto, aveva allentato la cravatta e allungato la mano per arrivare al tavolino dove un calice di vino rosso dal gambo sottile era pronto per lui.
Strana mistura di speziata sapienza, costruiva fantasie malate: Madame Radiguet in pianto per una sua figlia morta, Giorgio amante fedele, Monika, la sorella, dura d'acciaio indaco e poi lei, la Signora Nera, con il suo corteggio fedele di ancelle, alla guida dell'Arc en ciel: destinazione l'Inferno.
Coraggio Theo, coraggio. Fai ancora una volta l'amore, lascia che l'ultima donna prenda il tuo sesso rattrappito tra le labbra, morda il tuo dolore, strazi con denti di candido marmo il tuo pene in sofferta erezione. Godi nella sua bocca avida, ora è il momento di farlo.
Il treno sferraglia, per te, la sua ultima destinazione.

La belle dame sans mercie

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