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Racconto n° 1196
Autore: Ancestrale Altri racconti di Ancestrale
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Donna Borghese
A raccontarlo, la pioggia quel pomeriggio era solo una mano che scendeva a far musica contro i vetri di casa. Un sospiro, l'alito di vento fuori le finestre. Un richiamo che forse portava con sé altri posti, altre storie, immagini di letti fatti per loro.
Il giorno era lungo e il telefono non avrebbe squillato. La tv parlava di cose che non l'interessavano e di posti che erano troppo lontani o forse troppo vicini. Guardò il suo compagno dritto contro la finestra, il pareo di seta che gli aveva regalato la scorsa estate allacciato alla vita, lasciato mollemente appeso per un soffio, quasi a esibire il suo corpo sfacciatamente.
Beveva un succo di arancia, di spalle, voltato verso un mare che non c'era, contro il cielo dell'attico di città. Le immagini alla tv erano sempre più confuse, la semi oscurità netta a disegnare il contorno dell'uomo, e come per un gioco di luci riflesse, i singoli particolari del suo corpo le apparivano nitidi come sotto a un microscopio.
Lo chiamò. Sapeva come si sarebbe voltato, come l'avrebbe guardata. Sapeva che la ciocca di capelli neri gli sarebbe scivolata sulla fronte e che lui, un po' narciso, l'avrebbe risistemata con dita decise.
Lo chiamò mentre sentiva che dentro il suo corpo si riaccendeva un calore che non voleva fosse mai sopito, il fuoco lento di una passione che l'aveva sempre inseguita, fino a che lei, spossata, aveva ceduto all'assedio. Guardò il suo giovane amante, e avvertì quel calore che emanava il suo corpo, la chimica reazione che l'aveva fatta voltare sorpresa, la prima volta che si erano visti, nel negozio di antiquariato dove lui lavorava. Lei, ricca signora borghese in cerca di un regalo per suo padre. Lui, l'esperto e amichevole commesso del negozio, che l'aveva convinta per quel vaso arabo.

Come in un flash back che si mescolava alla realtà di lei distesa sulle coperte di raso, in quell'attico di una Milano dimenticata, rivide il giovane in quel loro primo pomeriggio. Ricordava ogni sua singola mossa, le sue dita che afferravano quel vaso, lo accarezzavano come se stesse toccando il seno di una donna troppo acerba, i suoi occhi che già la fissavano in quel modo insolente. Se li era sentiti scivolare contro le labbra, e poi giù, lungo la gola, sino alla scollatura appena accennata del maglioncino di lana.
L'aveva portata a vedere quel vaso, di cui parlava in modo tanto entusiasta, nella parte più remota della bottega. Dove la luce era appena soffusa, come quella di quello stesso pomeriggio che ora viveva. Allora, aveva immaginato che lui la avrebbe toccata. L'avrebbe fatto piano, lentamente, quasi in modo educato per non farla scappare, perché non si offendesse, e lei aveva desiderato che lui la toccasse, non sapeva perché, non l'era mai successo, non voleva, forse, che potesse accadere.

Lei, donna così perfetta, irreprensibile sposa di un uomo lontano, distante, ormai innamorato solo del suo lavoro e delle sue tante avventure. Lei, così decisa a essere la vittima del matrimonio che le franava addosso. Eppure, se lo sentiva ancora sulla pelle, quel giorno aveva voluto che quel giovane l'afferrasse per i fianchi, la spingesse lentamente contro la parete del negozio, le sussurrasse che la desiderava, e lei, ne era sicura, avrebbe ceduto. Avrebbe lasciato che le scostasse gli slip, sotto la gonna, che le sue mani la frugassero dentro, che si insinuassero lentamente, che dopo tanto tempo qualcuno la desiderasse così, tanto da non poter aspettare.

E fu così che lei, al momento del conto, gli lasciò un biglietto. Il suo nome ed il numero e l'indirizzo di quell'attico nella Milano più addormentata.
Il giovane non si era fatto vivo per un giorno intero. Allora lei aveva pensato che era stata una follia, una cosa che non sarebbe mai stata, e proprio allora il telefono aveva squillato. Non un attimo in più da perdere, di corsa aveva buttato la borsa in macchina e l'aveva raggiunto ad un bar. Quando l'aveva rivisto le era sembrato ancora più giovane e sfrontato, troppo pieno di sesso.
-Sapevo che mi avresti lasciato quel biglietto.- le aveva detto. Forse bluffava... che importava.

E adesso erano insieme. Lui che le si avvicinava. La conosceva a fondo, come nessun uomo, nemmeno il marito dopo dieci anni di matrimonio, l'aveva mai conosciuta.
Le afferrò le caviglie, e l'attirò a sé, al bordo del letto. La guardava come se fosse quel giorno di un anno fa. Le accarezzò le gambe lisce e abbronzate.
-Sei troppo bella per un attico.- le disse spingendo il bacino contro il suo per farle sentire la sua eccitazione. La sua voglia di lei. Per farle presagire che cosa sarebbe stato.
Con le mani le fece salire la sottoveste scoprendola nuda e calda. Si sganciò il pareo posandolo sul volto di lei.
-Dimmi che mi vuoi.- le chiese giocando con il suo sesso contro il suo. E quando fu lei a dire di sì, quasi a implorarlo, sorrise nel guardarla col volto coperto, straniera eppure così vicina e conosciuta.
Entrò lentamente, come piaceva a lei, scivolando fino in fondo, stringendo le sue gambe che si allacciarono dietro alla sua schiena. Sentiva il suo sesso che pulsava dentro di lei e lei rispondere di conseguenza. Osservava il suo seno ondeggiare come il mare contro gli scogli e quel suo corpo di donna matura e così affascinante, distendersi e contrarsi al suono di una musica che suonava solo lui.

Lei ricordò, in quell'attimo, nell'oscurità della seta sul viso, il loro primo pomeriggio da amanti. Avevano appena messo piede dentro all'appartamento e già lui l'aveva fermata prendendola per i fianchi, di schiena, appoggiandosi in modo deciso contro le natiche della donna.
-Sapevo che mi avresti lasciato il biglietto- le aveva ripetuto
-Per fare l'amore... già quando sei venuta al negozio lo volevi...-
Lei non aveva risposto ma aveva lasciato che l'uomo le sollevasse la gonna, e infilasse le dita dentro al suo sesso. Allora si era arrestata quasi contratta, ricordando, sorpresa, come il corpo può esultare, godere di un benessere che da tempo si era negata.
L'aveva sentito slacciarsi la cintura, e poi calare i pantaloni. Non era preoccupata di niente, nemmeno quel loro non conoscersi affatto e della sua sicurezza. Lui l'aveva penetrata baciandole il collo. Mentre con le mani le sollevava la camicia cercava i suoi seni, li stringeva come se cercasse il suo corpo da anni.

Ricordava quel giorno ora che anche adesso lui era dentro di lei. Con forza la prendeva tenendole le gambe aperte, passando le sue mani sulle sue cosce, bagnandosi le dita con il suo calore colato. Il suo amore era una foga come di chi sa che potrebbe essere l'ultima volta, come cercare di trattenerla con una relazione che non è nulla di più che un mutuo soccorrersi, una fuga dalla realtà. Tutto e niente per lei, donna borghese.

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