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Racconto n° 1206
Autore: Dunklenacht Altri racconti di Dunklenacht
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La seduzione del piacere
La seduzione del piacere era fatta di dolci sguardi e di appassionati baci.

Era fatta di calze nere velate, fatte per essere srotolate dalle labbra del mio amante.

Era fatta come le mie labbra, ricoperte di rossetto color corallo e profumate.

La seduzione del piacere camminava con i miei tacchi a spillo per le vie di una città d'Oriente. Non so dove fosse. Vi erano mercanti cinesi con i loro copricapo caratteristici in testa, risciò fatati, fachiri che danzavano sui chiodi.

La seduzione del piacere sapeva di cioccolato. Lo facevo fondere dolcemente tra le labbra, per poi farne assaggiare i succhi al mio caro amato. Era un sapore di fuoco, forse, proprio come quello della sigaretta, che mi bruciava la bocca.

Era accavallare le gambe davanti al proprio uomo.

Era porgergli la mano inanellata, onde fargli avvertire il mio profumo.

Era spalmarsi i seni bianchi di miele, per attirarvi la sua lingua. Era rossa, infuocata, ardente, bramosa di succhiare quel nettare, e, così facendo, mandare in estasi la fortunata sognatrice.

Avevo gli occhi socchiusi, in quegli istanti.

Intorno, c'erano venti candelabri d'argento. Su ciascuno di essi ardevano tre candele profumate d'incenso. Il pavimento era ricoperto con un tappeto dai fastosi ricami d'India e di Persia. Raffiguravano carrozze indiane, fatte per trasportare amori perduti.

La teiera fumante ci venne portata dalla serva. Esalava i fumi dell'oppio. Esalava la felicità proibita di un sogno, quel sogno, che le mie pupille pregustavano già.

La seduzione del piacere era la mia mano, che in quegli istanti cercò quella del suo uomo, per fargli assaporare in un sorso le gioie di droghe proibite, e il fascino della pelle nuda, bianchissima, d'avorio, stregata.

Faceva caldo.

E la mia strategia femminile ci sapeva fare.

Allora, la seduzione era togliersi con malizia un guanto bianco, e usarlo per sfiorare la virilità del mio maschio. Lo facevo maliziosamente.

Tutt'a un tratto, piansi.

Grosse lacrime mi scendevano sulle gote, mentre la lingua del mio amato correva furtiva sul mio monte di Venere, le piccole labbra, s'insinuava nella vagina e solleticava il clitoride.

Ah, portami via, carrozza del piacere, verso paradisi indiani, inebriati dall'oppio! Portami via adesso, che narro di emozioni passate!

La serva ci aveva lasciati soli, e io mi ero sdraiata ormai nuda su di un tavolo ricoperto di frutti tropicali. Eravamo in Indonesia, ora ve lo svelo. Ad una parete era appeso un coccodrillo imbalsamato, e c'erano mille cinture fatte con pelli di serpente colorate.

- Scopami, avanti... - dicevo. – Ahhh... -

E il mio schiavo obbedì.

Lo stringevo e lo attiravo verso di me con le belle gambe, rimaste coperte con le belle calze velate che sapevano di mirra, l'ultimo velo che mi era rimasto indosso. Avevo un laccio dorato alla caviglia, quasi un bijou.

Tutto il resto di me stessa era nudità e piacere. Un sudore di perla mi ricopriva la pelle, i lunghi capelli erano scarmigliati sul volto assorto.

- Fammi sognare... Spingi più forte... Ah, sapevo che sarebbe accaduto!

Era stato lui a volerlo, lui, lui, e soltanto lui.

Io non avevo fatto altro che sedurlo ed ammaliarlo. Le mie labbra lasciavano segni di fuoco sulla sua pelle nuda, e, a tratti, irsuta. A volte, i miei denti d'avorio mordicchiavano.

Ci separava dal resto del mondo soltanto una tenda di canne di bambù, quasi un separé. Giungevano fino a noi i rumori del mercato, il chiasso dei pescivendoli e dei ragazzi, il brusio leggero delle biciclette, i richiami delle prostitute indiane.

E forse, oh, il dubbio mi assalì, avrebbero potuto udire le grida di passione dei due amanti, il rumore dei loro corpi che si intrecciavano, lo scorrere del corpo dell'uno in quello dell'altra, fu un accoppiamento tradizionale ma erotico, sì, iniziato con la carezza dei genitali bagnati, proseguito con la penetrazione e il godimento di lei, protrattosi a lungo, e conclusosi infine con l'orgasmo virile di lui.

La seduzione del piacere aveva avuto effetto.

Era fatta di veli, di pizzi neri, di tacchi a spillo, sapete.

Era fatta di parole sussurrate per godere. Era fatta di piacere.

Dopo che l'avemmo fatto, lui prese la mia collana di perle, e me la ruppe sul pube ancora rovente. Aveva promesso di mangiarmi, ma non ne ebbe il coraggio. E una ad una le perle bianche ricaddero sul pavimento, producendo un rumore magico, indiano.

Poi mi feci legare con le mie calze.

E lo facemmo di nuovo, di nuovo e di nuovo. Fu inebriante. Non potevo muovermi, ero schiava della mia stessa seduzione.

Ed un fuoco, fatto di baci e morsi proibiti, di mani tozze che mi stringevano i seni, di virilità immense che mi spingevano nel ventre, mi bruciava.

Baciai.

Dunklenacht

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