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Racconto n° 1365
Autore: Melablu Altri racconti di Melablu
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Usa e getta
L'autoradio stava trasmettendo il solito tormentone estivo (se mai una canzone è stata gradevole, dopo la centesima volta che la si ascolta, perde qualunque attrattiva).
Ero seduta sul sedile con le gambe accavallate, la gonna leggera scendeva drappeggiata fino poco sotto il ginocchio, valorizzando il polpaccio candido ed i sandali neri, dal tacco altissimo, rendevano le mie caviglie sottili e desiderabili.
Lui stava guidando. Ma spesso l'ho colto a guardarmi. O nello specchietto retrovisore, o sfacciatamente, voltando la testa verso di me, incurante del colore del semaforo. Ho potuto leggergli negli occhi che l'unico colore che avrebbe potuto interessargli era quello della mia lingerie.
Non mi ha mai guardata in faccia. Ma a questo sono abituata, non è un problema (non mi vesto in modo provocante per poi farmi dire che ho dei begli occhi...).
Quando lui mi fissava, io accarezzavo lievemente la cintura di sicurezza che, guarda caso, passava proprio tra i seni. Vedevo i suoi occhi muoversi su e giù, su e giù, come sotto ipnosi, seguendo la mia manina pallida nel loro movimento leggermente allusivo.

Dopo molte soste ai semafori siamo arrivati alla nostra destinazione. Lui ha spento la macchina, è sceso ed è venuto ad aprirmi la portiera Questo non è stato un gesto di galanteria, ma una necessità! Sono io a dettare le regole. Sempre. Se non mi avesse aperto lui, sarei rimasta li dentro fino a che quella sua piccola testolina di uomo eccitato non avesse capito quale fosse il suo compito.
Già, il suo compito. Perché gli uomini quando mi desiderano, credono di usarmi, di potersi prendere quello che vogliono solo perché sono bella (sì, diciamolo pure, perché fingere di essere umili quando si conoscono benissimo i propri pregi?). Solo per il fatto che con un paio di sguardi civettuoli, qualche casuale carezza ed un bel paio di tette, glielo faccio venire duro, credono di poter vantare qualunque diritto di godimento su di me. Eh, miei cari ometti, nulla di più sbagliato. Al massimo sono io che uso loro, la loro naturale predisposizione al sesso, così simile alla mia, la loro debolezza, la loro voglia di godere, il loro svuotarsi del cervello all'apparire di un po' di morbide curve.

Così ho sorriso, obliqua, quando è venuto ad aprirmi la portiera con quella faccetta da ebete, credendo di farmi chissà quale immane cortesia, e mi ha offerto la mano aiutandomi a scendere.
Con una scrollata ai riccioli bruni mi sono avvicinata al parapetto.
Ho dovuto ammettere che il posto era azzeccato: un morbido e verdissimo prato ombroso si stendeva fino al parapetto, per poi digradare verso un torrente dalle acque tranquille, qualche metro più sotto. Il luogo era molto appartato e, non a caso deserto, lontano da occhi indiscreti.

L'ho sentito avvicinarsi e prendermi per mano. L'ho lasciato fare. Mi ha parlato, ma io non l'ho ascoltato affatto. Abbiamo passeggiato per un po', costeggiando il fiume, allontanandoci dall'auto parcheggiata. La brezza del pomeriggio mi solleticava le gambe nude, faceva ondeggiare la gonna, portandomi una gradevole brezza tra le cosce, là dove non indossavo altro che la mia pelle.
Mi stavo eccitando, ebbene sì. Il posto e la temperatura della giornata mi rendevano languida e desiderosa di attenzioni.

Mi sono appoggiata al parapetto e lui subito mi è arrivato alle spalle, accarezzandomi dolcemente le braccia nude e baciandomi sul collo. Mi sono voltata e l'ho guardato negli occhi. Aveva quella luce che conosco fin troppo bene negli omini come lui. Così ho sfoderato il mio sguardo ammaliatore e lui ha capito che cosa volevo che mi facesse. Ho spinto in fuori il sedere e l'ho appoggiato sul suo inguine: test infallibile.
Così lui ha preso a baciami con foga sempre crescente il collo, mentre con le mani mi torceva convulsamente i seni (uff... sempre i soliti... quante magliette mi hanno già sgualcito così...). Io mi tenevo al parapetto, volevo che facesse tutto lui. Agli omini piace aver la sensazione di averci in loro potere... Mi ha sollevato la gonna e si è eccitato ancora di più quando ha scoperto che non c'era nessun colore da indovinare, sotto i casti abiti neri. Mi ha toccato, accarezzato ovunque, ha sentito la consistenza delle mie cosce tornite, del mio ventre piatto, dei miei glutei armoniosi e morbidi, della mia fichetta già bagnata.
Niente preliminari: non fanno per me. Così, quando mi sono accorta che aveva voglia di indugiare là sotto con le mani, mi sono voltata appena e gli ho slacciato i pantaloni, per accorciare i tempi.
Da manuale è stata la sua faccia delusa quando gli ho dato di nuovo le spalle! Probabilmente già sognava una masturbazione reciproca o addirittura un pompino! Povero illuso: certe cose fanno solo perdere tempo.
Mi sono appoggiata nuovamente al parapetto, mentre lui iniziava ad aprirsi un varco dentro di me. Subito la frenesia lo ha preso ed io mi sono lasciata andare. Ho allargato le gambe e l'ho lasciato spingere affannosamente, alla ricerca di quei suoi pochi secondi di piacere. Mi teneva saldamente per i fianchi ed ogni tanto una mano correva alle mie tette (ancora la maglietta...). Non aveva intenzione, a quanto pareva, di toccarmi là dove mi piace di più... perciò l'ho fatto da me. Mi sono voltata appena e ho visto il suo volto sfigurato dall'eccitazione di vedermi masturbare sotto i suoi colpi. Che buffo! Così lui ha ripreso con maggiore foga mentre io mi torturavo il clitoride gonfio e durissimo. So come mi piace e pochi attimi dopo, ecco un orgasmo da 10 e lode squassarmi le membra.

Mi sono piegata sul parapetto a prender fiato, stanca e decisamente appagata. Ma il meglio doveva ancora venire. Nel mentre lui, rispettosamente, si era fermato, là sotto. Ma era ancora dentro di me e a giudicare dalla sua espressione, era ansioso di continuare e finire.
Invece io mi sono tirata su, mi sono spostata leggermente sfilandolo da me e mi sono risistemata la gonna con gesti morbidi e aggraziati. Il suo viso era un semplice punto interrogativo finché non gli ho detto, con voce soave: - E' stato bellissimo, tesoro. Grazie. Ora potresti portarmi a casa? - e mi sono incamminata verso la macchina.
(Chissà perché nessuno mi dice mai una parola, dopo...)

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