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Racconto n° 157
Autore: Cesare Paoletti Altri racconti di Cesare Paoletti
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La prostituta
Albeggiava. Albeggiava e all'orizzonte il cielo rosa pallido rivestiva le colline ancora addormentate, come un delicato manto morbidamente steso a proteggerne l'armoniosa bellezza. Albeggiava e qualche uccello lasciava la sua scia misteriosa nella luce tenue, bagnata dalla rugiada del mattino. Albeggiava sui grandi alberi del parco, alcova notturna di amori rubati. Albeggiava sul suo cuore appesantito da una malinconia sorda, mentre camminava nell'aria leggera e fresca del mattino. Albeggiava sui suoi pensieri aridi e freddi, senz'anima, che le ingombravano la mente come pietre incolori e senza vita. Albeggiava sulla sua solitudine, che come l'ombra della notte non voleva andarsene e le stringeva le viscere e la faceva sentire come un automa che si muoveva silenzioso in quel delicato rinascere della vita e del giorno. Già, il giorno. La luce che riprendeva possesso del cielo e delle cose, ricacciando in qualche luogo misterioso la notte e le sue creature. E lei apparteneva alla notte. Apparteneva alla notte. Nella notte i suoi sensi si accendevano e il suo corpo si concedeva fra gli alberi bui a chiunque glielo chiedesse. Nella notte la vita scorreva e pulsava nel suo sangue e nel suo corpo, e lei, creatura delle notte, della notte si cibava, della notte faceva il suo mondo, nella notte trovava il senso della sua esistenza. Lei era la notte e la notte viveva in lei. E le prime luci del giorno le facevano paura, e rifuggiva il giorno, come un animale notturno fugge al levarsi del sole. Le facevano paura il lento risvegliarsi della città, la luce che a poco a poco illuminava il mondo e le cose, l'energia che pigramente cominciava di nuovo a circolare come linfa vitale nelle cose e nelle persone, dopo il sonno ristoratore, la gente che riprendeva le attività quotidiane. Le facevano paura perché non le appartenevano, non erano il suo mondo, non erano la sua vita. Camminava lentamente fra i resti dell'orgia che ogni notte si consumava nel parco, con la complicità del buio. Preservativi usati, fazzolettini sporchi di umori e di peccato. E con l'avanzare prepotente e inesorabile del giorno le creature della notte che avevano dato libero sfogo alla loro animalità erano scomparse, in cerca di nuove notti e di altre oscurità, per andare a seppellirsi nelle loro solitudini. Camminava lentamente, la testa pesante, i pensieri rallentati, un senso di vuota ottusità nell'anima, con addosso il sapore del sesso consumato con chissà quanti sconosciuti che non avrebbe mai più rivisto, dei quali aveva conosciuto solo i corpi senza bellezza e senza attrattiva. Corpi. Corpi senz'anima e sentimenti. Eppure ogni notte lei era lì, in quel parco dove gli uomini venivano in cerca di qualche minuto di piacere, comprato per pochi soldi. Era lì per soddisfare le voglie di chi cercava diversivi alla solita routine sessuale con mogli e fidanzate, di chi cercava un sorso di piacere fisico senza impegno, senza responsabilità, senza nulla dover dare in cambio, se non pochi maledetti e insignificanti danari. Era come andare al bar e ordinare un bicchierino di liquore, nell'illusione di scaldarsi il sangue e il cuore. Una parola, un comando, e l'oggetto del desiderio è lì, magicamente pronto e disponibile per essere consumato in pochi attimi. E poi dileguarsi nella notte, senza lasciare traccia di sé, del proprio passaggio, della propria esistenza, a chi senza nulla chiedere ha messo il proprio corpo a disposizione. Le immagini degli amplessi notturni le attraversavano la mente senza suscitare in lei alcuna emozione. Il suo cuore era come anestetizzato, coperto dalla nebbia grigia dell'indifferenza e dell'inutilità. Ogni notte agiva meccanicamente, come un robot programmato per dare piacere sessuale, incapace di provare sensazioni e sentimenti. - Quanto vuoi? - E poi via in macchina, in cerca di un luogo dove il buio è più buio e la notte più notte. E poi togliersi le mutandine e farsi toccare da mani fredde e goffe, e sentirsele addosso come tentacoli viscidi, e sentirsi carezzare in ogni parte del corpo, senza dolcezza, senza amore, senza partecipazione, senza gioia, tutto come un rituale animalesco e meccanico, in un'atmosfera quasi di non consapevolezza. Molti uomini le chiedevano un rapporto orale. Il modo più semplice e piacevole di far sesso. E lei sbottonava loro i pantaloni e tirava fuori il membro, lo rivestiva con il preservativo e scendeva su di lui con tutta la sua persona per prenderlo in bocca, e poi iniziava la danza del su e giù. Non guardava mai in faccia e negli occhi il cliente occasionale. Non era necessario, perché per lei tutte le facce e tutti gli occhi erano uguali e senza espressione. Solo ne sentiva il respiro sempre più affannoso, che si trasformava in un mugolio strozzato nel momento dell'eiaculazione. Poi sfilava il preservativo pieno di sperma, per gettarlo fuori dal finestrino, fra gli alberi del parco, dove l'indomani qualcuno l'avrebbe trovato e con disgusto avrebbe pensato fra sé che era un'indecenza e che il comune avrebbe dovuto fare qualcosa. Ma a loro di questo non gliene fregava niente. Loro vivevano quell'attimo di piacere dato e ricevuto nella notte, fra gli alberi bui e silenziosi, senza pensare ad altro. Senza pensare. Il campanello di una bicicletta la scosse dal suo torpore carico di tristezza. Un ciclista percorreva la strada del parco, lasciandosi dietro una nuvoletta di vapore che gli usciva dalla bocca, come il fumo del tubo di scappamento di un auto. Il cielo cominciava a tingersi di azzurro, man mano che il sole saliva e la luce si faceva più intensa. Il ciclista le si affiancò, le sorrise, e poi passò oltre, scampanellando felice. Lei lo guardò, e abbozzò appena una timida smorfia che voleva assomigliare ad un sorriso. Fu come se un raggio di sole le entrasse nel cuore, risvegliandolo dalla grigia indifferenza che lo imprigionava. Per un attimo una scintilla di luce si fece strada nella sua anima avvolta dalla fredda ombra della solitudine e del senso d'inutilità. Si fermò a guardare il cielo che la sovrastava alto e immenso. Le entrò dentro come un soffio di purezza e di speranza. Forse non tutto era perduto. Quell'alba che sorgeva tenera e intensa era anche per lei, e quel sole che splendeva sempre più maestoso e forte avrebbe finalmente illuminato la sua vita, trasformandola in creatura di luce.

Luce 55

Cesare Paoletti

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