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Racconto n° 1729
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Fammi entrare nel tuo sogno
Mentre stai riposando per scacciare il malditesta vengo a bere un po' del tuo sospiro, vengo a sdraiarmi accanto a te che te ne stai di fianco raggomitolata come un gattino che fa ronf ronf. Mi metto faccia all'aria, incrocio le mani dietro la nuca e ascolto il ritmo del tuo respiro regolare appena interroto ogni tanto da un lieve russare. Dormi amore mio, ma invitami nei tuoi sogni di ragazza, portami con te per i canali, fammi sentire le zanzare sul culo scoperto mentre mi affanno su di te, mentre famelico cerco le tue labbra meravigliose, mentre stringo i tuoi seni sul mio viso fino a farmi pungere dai capezzolini. Fammi guardare il tuo sorriso stupendo e fammi nuotare nel lago dei tuoi occhi pieni di futuro. Andiamocene in giro a piedi mano nella mano, violando ogni anfratto perchè le mani cerchino altre mete, quelle di una passione incontenibile, incontrollabile, quella fame di noi che non ci sazia mai. E ogni volta emergiamo affannati e soavi per camminare ancora. E nel prato ci toglieremo le scarpe, e metteremo i piedi dentro l'acqua della fontana, e inseguirai le farfalle senza catturarle, mentre rido dei tuoi insuccessi di cacciatrice senza minimamente riflettere su quanto io sia preda di te, donna sempre sognata e mai incontrata. Preda del tuo sorriso, preda del tuoi pensieri giusti, preda delle tue mani così amorevoli, preda del tuo corpo morbido. Ragazza del sogno antico, ragazza dallo sguardo un po' duro e penetrate che sa scioglersi in una cascata di acqua tiepida e cristallina, ragazza dalle camicette sbottonate dalle quali traspaiono reggiseni magari esagerati in attesa che il tempo li riempia. Ragazza dalla schiena bella come una valle alpina, ragazza dalle gambe come fusti di betulla, ragazza dal fondoschiena tondo come la cappella di un grande fungo bombato, da addentare e leccare con gusto.
Ragazza discola i tuoi piedi nudi, ragazza eccitata, le tue mani tra le gambe che in un gioco malizioso si aprono e si chiudono spingendole su un sesso che sogno di indagare. E io ragazzo discolo che scende dalla casa sull'albero col cesto di nespole succose che addentiamo insieme, passandoci i grossi semi di bocca in bocca, impiatricciandoci le labra che rimangono appiccicose. Ma che importa? Saranno le nostre lingue a ripulirle. La mia pulirà le tue che mi offrirai generosamente socchiuse perchè possa prendere direttamente dalla tua bocca la saliva che mi occorre per detergerle. E poi tu farai lo stesso.
E il sole del tramonto non ci sorprenderà perchè la nostra pazienza è dedicata all'inesorabile suo affondare nel suo letto notturno. E aspetteremo la sua sorella luna che costruirà un mondo discreto attorno a noi. E farà buio, ma non troppo buio. Quel tanto che basta perchè nessuno ci veda tranne noi stessi. E ti priverò degli abiti guardando ogni centimetro della tua pelle e ne ascolterò il distendersi eccitato che aumenta lo spazio tra le cellule per lasciare posto all'energia dell'eccitazione.
E sarò in ginocchio davanti a te come si fa davanti a una divinità, e ti guarderò a lungo seguendo l'ombra che la luna in movimento fa spostare sul tuo corpo creando un chiaroscuro che cammina e quasi disegna ogni parte di te: ora a contrastare la luminosità dei tuoi occhi, ora a ombreggiare il tuo collo come se l'ombra volesse vestirti di un abito accollato, ma poi se ne pente e ti spoglia ancora. Il tuo seno che si alza e si abbassa come un piccolo mantice delizioso che alimenta il fuoco del mio desiderio, quelle picolle montagne di ragazza che sembrano indicare la strada alle mie mani, ferme comunque perchè attonite di fronte alla tua bellezza dolce e selvaggia, il tuo ventre morbido, liscio, senza il segno dei muscoli ma così perfetto nelle sue linee che scendono verso il tuo baricentro, verso il boschetto che ho davanti agli occhi e che mi appresto ad esplorare.
Amore mio, ragazza del mio sogno antico: sento il profumo di te come si sente un dolore. Acuto e inevitabile. Non ti sto ancora toccando, ti vedo appena ma già il desiderio mi distrugge e, inginocchiato, mi chino ancora per sfiorare con lo sguardo le tue ginocchia, i tuoi polpacci robusti, le tue caviglie e tuoi piedi nudi come il resto di te. Ora mi metto dietro a te e mi perdo nelle profondità della tua schiena, nel visibile turgore delle tue natiche, nel segreto del crepaccio che le separa. La notte fresca mi porta la musica che emani, un suono che mi rende sordo agli altri suoni e cieco a ogni altro mondo che non sia l'universo tuo. E mio.
E quando i nostri corpi si uniranno sarà fatta la luce. La luce del comodino che si accende mentre tu ti svegli e mi trovi lì, accanto a te e mi sorridi tenerissima per dirmi l'ovvio. "Sei qui....". Ma non è ovvio l'amore che riesci a infilare in due parole mentre ti giri verso di me e appoggi la punta del tuo naso sul mio mentre le tue labbr alternano baci a parole: "che... hai... fatto? Riposato... anche... tu?"
No amore mio. Non riposo mai accanto a te. Sarebbe come mettere a dormire pezzi di felicità. Così ti dico solo: "ma no... pensavo piccole cose, piccole piccole". E tu: "e io c'ero tra questi pensieri?" E io: "certo amore... E tu: "allora non erano piccoli." Quanto è vero... e sprofondo sotto di te, felice.

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