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Racconto n° 2093
Autore: Erato Altri racconti di Erato
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Il Barone
Vespro

Attraversiamo un lungo viale costeggiato dai cipressi, l'aria è carica di novità inquietanti, siamo arrivate a destinazione.
Non sappiamo ancora cosa ci aspetta, oltre lui naturalmente, il signor T. che desidera me e desidera lei di una voglia ancestrale a lungo inespressa, a tratti repressa.
Abbiamo riempito il silenzio lungo la strada con i nostri racconti frivoli, tralasciando l'argomento che ci aveva portate a compiere quel viaggio breve in auto. Ho i suoi occhi su di me, come sempre, dalla prima volta che ci incrociammo in piazza della Signoria, in una Firenze ubriaca di turisti e di sole.
Helène è sempre stata il mio complice opposto, la mia Santa Inquisizione da corrompere, il mio meraviglioso peccato da indossare, assieme ai suoi capelli di grano saraceno al sole, persa irrimediabilmente nei suoi straordinari occhi verdi di brughiera.
So che la voglio, la voglio adesso, senza niente intorno, con la disperata fretta di chi non ha più tempo; farei con lei l'amore subito, sento ogni sua armonia condividerlo; entrambe sappiamo che dobbiamo aspettare.
Entriamo da un cancello che reca in cima l'antico blasone.
Nessuno ad accoglierci.
Lui ci aspetta sul verone padronale, affacciato alla elegante balaustra di pietra bianca. Sul viso abbronzato, bello come il dio greco del sole , due splendidi occhi grigi di normanna memoria e un ghigno beffardo che solo a guardarlo mi mette in subbuglio i sensi.
Ci invita a salire. Eseguiamo. Eco di tacchi sottili rimbomba nell'enorme ventre della dimora di campagna; l'acustica amplifica anche i battiti accelerati delle vene; ad ogni gradino della grande scalinata in marmo cresce la nostra eccitazione.
Il signor T. sorride. Ed è un incanto inquietante osservarne il silenzio carico di lussuria. Sa già cosa vuole, sa già che sapremo essere all'altezza della sua regia occulta. Ha i modi del gentiluomo d'altri tempi mentre ci invita nell'antico salone che sa di cuoio, tabacco e acqua di colonia.
Dal giardino salgono i profumi forti delle erbe aromatiche; le belle di notte sprigionano il loro intenso effluvio.
Ci offre da bere, ha mani curate abituate alle carezze e la gestualità lenta degli uomini del sud. Un cenno eloquente, una velata allusione e ha inizio il gioco. Noi le pedine ,lui il giostraio.
Decidiamo di farne a meno, perché in fondo ciò che vuole è essere specchio di ogni nostra perversione; mister T. vuole guardarci e riflettere la nostra stessa immagine, restituita dalla sua lucida, folle, pianificata eccitazione. E' un uomo dal controllo eccezionale; pochissime parole, molti eloquenti , insistenti, sguardi.
Osservo Helène, la piega ammiccante delle sue labbra che scivola in un sorriso dolce, gli occhi socchiusi e promettenti il cielo, e vedo in lei ogni musa dell'arte; Helène è lo specchio di ogni mio desiderio, nei suoi occhi verdi d'Irlanda rifletto ogni mia voglia, con l'interesse dell'appassionato d'arte la appenderei alle pareti di una sala del Louvre.
Lui ci osserva.
L'imbrunire si staglia sulle note di Chopin mentre echi di zolfo si sprigionano dal pavimento in pietra di questo antico casale che mantiene intatta la solenne eredità dei baroni d'Altavilla.
Ovunque è un'orgia di bocche affamate di carne, esaltate nel gusto da questa girandola di provocazioni succinte e di autoreggenti di seta nera; la mente - la mia - totalmente avvolta nella nebbia di lei.
La stringo mentre nella mente ho solo un tarlo divorante che mi penetra la carne con i suoi occhi normanni; mi avvinghio in questo lento lascivo e lascio che lei mi baci, che insinui la sua lingua che sa di miele a intrecciarsi rettile alla mia.
Lui ci guarda.
Helène mi prende per mano e mi accompagna su una poltrona in damasco rossocarico che fa il verso alla mia carne bianca; mi spoglia piano di carezze estenuanti come una notte insonne e già io sono altrove quando si inginocchia tra le mie gambe e le sue mani, la sua lingua, diventano sogni.
Lui continua a guardarci. Lei mi apre e lenta mi assapora. Abbandono a lei la mia carne e a lui la vista di questi due corpi incollati dal desiderio di un attimo che non può attendere oltre.
Comincio ad avere il fiato corto, il respiro in affanno contro la sua testa che inesorabile si muove e mi regala clessidre d'infinito. Mi prende e mi avvolge di questa inesauribile carnalità di cui va fiera; affondo le mie mani tra i suoi capelli di seta, vorrei non si fermasse mai.
Invece è il tempo a fermarsi. Helène è bellissima, esaltata dall'osmotico piacere della carne, ha i capelli colore del vento, disordinati a ciocche che fuggono sulle spalle, ribelli a ogni fermaglio.
La guardo di occhi smarriti di piacere, le entro dentro, dentro i suoi occhi: un mare verde d'oleandro; la sto amando come non mai: di dita, di lingue a intrecciarsi, di mani a cercarsi; è instancabile, sfinisco i miei sensi e lei, inaspettatamente, si ferma.
Lasciammo il salone.
Lui ci seguì con lo sguardo finché non sparimmo lungo il corridoio affrescato d'azzurro; alle pareti severi antenati scrutavano il passaggio di veli, selvaggio, d'amazzoni in corsa.
Poi fu l'amore. Quello esaltante , fatto di lente carezze senza fretta, senza ferocia, tenero, tanto da dire che non fu sesso ma solo amore. Un abbandono senza limiti ad altre mani gentili, ad un profilo che ti somiglia.
Quando la smania dei corpi lasciò il tempo all'abbandono totale dei pensieri, in quel modo così intimamente nostro, scevro di corde e di rabbia, furono lacrime... silenziose, di gioia e tenerezza per quello che era stato, per questo senso di libertà che senti quando hai lasciato a terra ogni costrizione. Ci guardavamo e nei nostri occhi scorgevamo il tramonto, ripensando a quanto le nostre mani avevano saputo darci, così lievi nell'ascesa da desiderare di non smettere mai, a morire sulle labbra in un orgasmo a due voci.
E pensare che era stato lui a volerlo, e lui con noi, non c'era stato.


Risveglio

Mi sveglio a stento, mentre una insolente lama di luce penetra tra le fessure delle imposte. Un leggero vento di scirocco muove i lini alle finestre, quasi danzassero.
Fuori è silenzio, il silenzio di ogni alba in questo luogo dimenticato dagli uomini, immerso e nascosto in un trionfo di vegetazione mediterranea, ingentilito da chiazze di verdi buganvillee e di gelsomino notturno.
Respiro ancora l'alcol di ieri notte tra le lenzuola, misto al tuo odore; lievi nubi di Chanel svaporano tra i fumi di questa alba; annaspo con le mani a cercarti - quasi un bisogno fisico di sentirti accanto - sei lì, dormi che sembri una bambina indifesa: i lunghi capelli sciolti sulle spalle, sparsi sui cuscini; il lenzuolo candido che fa a pugni con l'eros che ci possiede ti copre appena i fianchi, le gambe snelle e ben fatte; le mani dalle dita sottili sono aperte a carezzare il lenzuolo. Indugio con gli occhi, ancora in bozzoli di seta, sulla tua generosa pelle bianca, sulle spalle minute, lungo i fianchi lisci e promettenti ore sublimi - quelle che mi hai dato. Ti sento respirare di un respiro bambino che nulla ricorda dei gemiti insaziabili, delle parole senza senso, arrochite dal piacere di stanotte che, eccitata a mille, ho ascoltato dalla tua bocca di fragola.
Irresistibilmente ti sfioro di labbra una spalla nuda, tu rabbrividisci all'inaspettato contatto - quasi me ne pento...
Ti desidero immensamente, anche adesso, anche subito, mentre il sole adagio sveglia il torpore di queste mura antiche.
Sposto il lenzuolo che ti copre e lascio che i miei occhi proseguano la carezza di sguardi sul tuo corpo nudo, alternando ogni sospiro a un lieve bacio. Così ti sveglio piano e t'offro questo languido piacere che ti vuole.
Il tuo risveglio esplode di silenzio complice; ti apri a me come i fiori notturni al primo raggio di luna, mi regali l'odore del tuo piacere, m'inebrio, ti circondo tutto ciò che per te sarà promessa, lo circoscrivo con le mie labbra, con le mie dita, con le mie parole. Sei calda, mi guardi teneramente, mi sorridi solo un attimo, poi ti mordi le labbra nel piacevole supplizio che i miei denti stanno infliggendo a quella piccola ciliegia ritta che hai sul seno.
Scendo, carezzandoti di lingua lungo il ventre piatto; sei sveglia ormai e sento che mi vuoi. Mentre poggi le gambe sulle mie spalle e ti offri aperta ai miei baci, si schiudono ali di farfalla sui balconi rivolti al sole d‘oriente. Voglio amarti adesso, come un uomo. Ti entro dentro con la mia lingua, penetrandoti piano, gioendo di ogni tuo sussulto di piacere. Fermi l'attimo assieme ai tuoi respiri e alla mia testa: sei bellissima mentre godi di piacere e trattieni in arco il corpo, proteso a ogni mia carezza dentro te. Vieni, e io con te, con l'eleganza innata di ogni gesto, composta anche quando sei arresa ai sensi; mi sento in estasi e non capisco ormai più nulla, non percepisco il limite, ti sento meravigliosamente mia.
Dietro i pesanti scuri, accanto al sinuoso movimento della tenda in organza, sta lui...in penombra, comodamente seduto su una poltrona rocaille.Ci guarda. Sorride. Ci chiediamo ancora se sia di carne o di diabolica essenza.



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