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Racconto n° 2372
Autore: Caliban Altri racconti di Caliban
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Sete Perversa
Lievi, profondi ansiti risuonano ritmici nel silenzio della stanza, seguendo in perfetta armonia il tempo lento e sinuoso del movimento sussultorio del suo corpo sopra il mio.
Ho sempre amato questa posizione, è l'unica che mi consente di mantenere una sufficente lucidità mentale da dedicarmi all'osservazione, che mi consente di miscelare al piacere della penetrazione quello puramente mentale dello svelare, valutare e godere dei movimenti, della totale libertà della donna nell'atto.
E' veramente meraviglioso guardare così il suo corpo che si inarca ad ogni sussulto, i suoi occhi che si chiudono mentre lei si perde nell'estasi, inoltrandosi in un mondo personale fatto di solo piacere, soli stimoli sensoriali ed elettricità pura, le sue labbra che trattengono a fatica il lamento, i muscoli delle cosce che si irrigidiscono in armonia con quelli vaginali, stringendomi contemporaneamente inguine e corpo, come una doppia matrioska umana.
La sento ora avvicinarsi sempre di più al culmine mentre osservo la sua vena del collo pulsare, la mia mente si sintonizza quasi con lo scorrere impetuoso del suo sangue e così i miei pensieri tornano torbidi e perversi.

Non è stato certo facile avvicinare Giuditta, l'ispettore Barbato, ovvero la superpoliziotta, come l'ha soprannominata una delle tante riviste scandalistiche dopo un'ennesima intervista sulle indagini sul "vampiro".
Fin dalla sua prima apparizione al tg5 ho sentito che sarebbe stata mia, e dire che era tutt'altro che attraente, almeno in apparenza, così piccola, grassottella, agitata, appena uscita dalla scena del terzo crudele omicidio, senza trucco e con indosso un semplice e per nulla sexy tailleur grigio.
Ma gli occhi e quelle labbra mi avevano ipnotizzato, quel suo crescendo di rabbia che a stento tratteneva, quel malcelato orrore per lo spettacolo appena visto, e insieme una sottile, quasi indistinguibile eccitazione che ero certo di aver percepito nel profondo dei suoi occhi verdi.

Ora è giunto il momento, i suoi movimenti si fanno più rapidi, frequenti come i suoi sospiri, sento le sue intime labbra contrarsi spasmodicamente intorno al mio pene eretto, quindi un trattenuto grido liberatorio, quasi un grugnito animalesco segna il suo culmine, mentre inconsapevole mi graffia lievemente le spalle con le corte, piccole, curate unghie.
Le sorrido, e sono certo che se ora mi guardasse profondamente negli occhi leggerebbe senza dubbio i miei pensieri, ciò che mi ha condotto qui, che mi ha spinto così visceralmente nel suo letto, ma i suoi occhi restano chiusi mentre si abbandona sul mio corpo, mentre mi stringe forte tra le braccia, ansimando lenta al mio orecchio, calmando lenta il ritmo sfrenato del cuore, mentre le mie labbra seguono il contorno del suo collo e la mia lingua scorre forte sulle vene pulsanti.

Ero riuscito a vederla la prima volta dopo il quarto omicidio. Avevo atteso a lungo, girovagando in via Freguglia, intorno alla procura, finchè finalmente l'avevo vista uscire circondata da diversi agenti di polizia; non era stato difficile mantenere la moto a distanza di sicurezza per non essere notato fino a casa sua.
Quindi avevo atteso e studiato le sue abitudini per giorni.
Il primo incontro casuale era stato nel supermercato all'angolo, anche gli ispettori fanno la spesa come i comuni mortali in fondo, la incrociai alcune volte lungo gli scaffali, quindi la urtai casualmente mentre prendeva un pacco gigante di assorbenti, che naturalmente le caddero di mano, quindi mi chinai rapido a raccoglierli, porgendoli con un sorriso, guardandola profondamente negli occhi e osservandola arrossire con infinito piacere.
Salutai e mi allontanai senza voltarmi.

Non le concedo il tempo di rilassarsi troppo, scivolo fuori dal suo ventre ancora umido e sensibile strappandole un gemito di rammarico, quindi inizio ad accarezzarle la schiena, a baciare il suo collo, la sua nuca nei punti più sensibili strappandole tremiti di piacere, seguendo poi con la lingua il rilievo della sua colonna vertebrale, giù, sempre più giù, fino a lambire le labbra arrossate e sensibili, stuzzicando l'eccitato clitoride quasi al limite della sopportazione.
Sento il suo intimo odore, il suo sapore che mi invade la bocca, calmando un po' la smania ormai incontrollabile di assaggiarla, mentre sapientemente la conduco ad un nuovo travolgente orgasmo.
Povera piccola, dolce, innocente ispettore, doveva essere molto tempo che non godeva così. Ho percepito subito il suo desiderio, fin da quel momento in cui l'ho afferrata per le mani, stretta a me e baciata senza preavviso.
Non credo si aspettasse di dover saltare così tutti i classici inutili e borghesi preamboli, ma non ha resistito che per un breve attimo, prima di iniziare a lasciarsi andare, a sprofondare nel desiderio che sublimava da ogni fibra del suo essere.

La incontrai la seconda volta dopo la sesta vittima, al Nottingham, un paradiso per i cocktail e per chi, come me, sa apprezzare il piacere di lasciarsi catturare, abbracciare, rapire dalla fatina verde dell'assenzio.
Le avevo lasciato un paio di volte i depliant pubblicitari del locale nella cassetta della posta, e finalmente aveva ceduto alla curiosità.
Le due amiche con cui era entrata non mi preoccuparono, feci in modo che questa volta fosse lei ad urtarmi e rovesciai un pò di cocktail sul pavimento, quindi la guardai nuovamente profondamente negli occhi, poi sorrisi dicendole:
- Ora siamo pari. -
Mi accorsi che mi aveva riconosciuto, quindi iniziammo a parlare, le offrii da bere e ci scambiammo il numero di cellulare.

Ora è completamente rilassata, distesa. Seguo il suo profilo con un dito, quindi mi allontano solo pochi secondi, per frugare rapido nella tasca dei jeans, dopodichè mi stendo lieve su di lei, le stringo un polso piano, tra le dita, avvicinandolo alla testata di ferro battuto del suo letto.
La mia bocca stuzzica il suo collo a nord-ovest, quel sensibile, dolcissimo punto che si trova sotto quel ciuffetto di capelli leggeri leggeri proprio dietro all'orecchio, quindi le sussurro:
- Non aver timore, lasciati andare, ti piacerà, ne sono certo. -
La sento irrigidirsi un poco, però non resiste, avvicino il suo polso destro alle sbarre metalliche, quindi abilmente e rapidamente lo lego con il nastro di raso nero che avevo portato con me, dopodichè unisco ad esso il suo polso sinistro, bloccandola saldamente.
La sollevo quindi con dolce fermezza in ginocchio, mentre con le mani scendo ad accarezzarle i seni, a stuzzicare tra le dita i capezzoli duri, eccitati, sentendo intenso, nella mia mano sinistra, il pulsare accelerato del suo cuore.

Attesi solo due giorni per invitarla a cena, ero certo avrebbe accettato, quando aveva scoperto che ero proprio io l'autore del fumetto horror che leggeva sempre il suo interesse era cresciuto a dismisura.
Le parlai a lungo del mio lavoro, della mia passione per il gotico, mentre non mancavo di versarle di continuo l'ottimo greco di tufo che avevo ordinato per accompagnare la cena, e non smettevo di fissare il profondo dei suoi occhi verdi.
Occhi che svelavano un profondo ed immenso pozzo di emozioni desiderate, che attendeva solo di essere colmato di passione.
Infine iniziai a chiederle del suo lavoro, e piano piano si lasciò andare.
Il sottile, lento ruscello dei suoi racconti iniziali si trasformò presto in un fiume in piena, un onda dilagante di orrore e perversione.
Mi parlò a lungo del vampiro, l'inafferrabile omicida seriale che stava terrorizzando Milano da ormai cinque mesi.
E dopo aver raggiunto la metà della seconda bottiglia iniziò a scendere nei particolari, rivivendo l'orrore che aveva provato nel trovare i corpi di quelle splendide, giovani ragazze, seviziate, torturate ed uccise dal mostro.
Di come avessero poi sempre rinvenuto un bicchiere di cristallo baccarat, con abbondanti tracce del sangue delle vittime, segno del vizio, della sete dell'omicida.

Stringo ora forte le dita sul capezzolo, trattiene a fatica un urlo, inarca la schiena ma non mi chiede di smettere, so che le piace, lo sento e lo vedo dai movimenti del suo bacino, dal profumo della sua eccitazione che si fa sempre più penetrante.
La mia mano destra si insinua tra le sue gambe, le dita immerse nel lago del suo piacere: la penetro, con uno, due infine tre dita senza alcuna fatica.
Poi, senza preavviso, tolgo la mano e inizio a sculacciarla, colpi secchi, lenti, dal basso; prima da un lato, poi dall'altro, fino a sentire i suoi gemiti, un misto di dolore ed eccitazione che la travolgono.
Le mie dita penetrano nuovamente in lei, a fondo, sempre più a fondo e sempre più rapide, conducendola vicino, così vicino ad un nuovo orgasmo, quindi mi fermo di nuovo.
Poi mi inginocchio dietro di lei, la penetro così, senza preavviso, brutalmente, solo pochi, lunghi e profondi colpi, quindi mi appoggio fermo, pulsante alla sua piccola, stretta porta e con una lentissima, costante spinta entro in lei.
La possiedo così, con lunghi, profondi ritmici colpi, fino a sentire i nostri sudori mescolarsi, fino a sentire i suoi lamenti divenire grugniti e ansiti, fino a sentirmi le gambe e la schiena quasi intorpiditi per lo sforzo. Infine, con un grido liberatorio, vengo copiosamente dentro di lei.

Giovedì avevamo cenato nuovamente insieme, ormai avevamo stabilito una profonda complicità, l'avevo condotta lentamente e inesorabilmente a liberare la sua mente a me, a scavare nel profondo delle sue segrete e inconfessate fantasie, ad esaminare i turbamenti che il suo lavoro e soprattutto questa efferata e inarrestabile catena di delitti provocavano nel suo animo.
Ora sapevo, avevo compreso quanto desiderasse in verità certe emozioni, quanto orrore ed eccitazione si mescolassero in lei osservando, pensando a quei corpi di donna legati e seviziati che doveva così freddamente esaminare.
Terminata la cena l'avevo accompagnata a casa e, per la prima volta, mi aveva chiesto se volessi salire da lei a bere ancora qualcosa. Fu delizioso vedere la delusione nei suoi occhi quando le dissi che proprio non potevo, che dovevo assolutamente terminare un'ultima tavola da consegnare la mattina successiva.
Prima però che potesse dire altro le presi una mano, avvicinai il viso al suo, le diedi un lieve bacio sulla guancia e dissi:
- Domani sera sarò qui da te alle dieci, aspettami e sarà una serata indimenticabile, è una promessa. -

Mi sfilo dal suo corpo, ancora eccitato, anche dopo l'orgasmo, come sempre.
Lei si accascia sul letto, le mani ancora tese, legate alla spalliera, esausta.
Con la mano se sfioro un piede, risalendo lento con la punta delle dita, percorro il suo corpo guardandola: il polpaccio, l'incavo del ginocchio, la coscia e su con un paio di spirali circolari sul gluteo.
Poi risalgo lungo la spina dorsale, sentendola tremare al mio tocco, fino al collo, le stringo un poco il collo tra le dita della mano, come per un massaggio, quindi la mia mano compie ancora più lenta il percorso inverso.
Ora accarezzo, quasi giocando, il dorso dei suoi piedi e le sue piccole morbide dita, mentre ho prelevato una seconda, lunga striscia di raso.
Improvvisamente le afferro entrambi i piedi tirandoli a me, indietro, allungando il suo corpo sul letto fino a tenderle le braccia, legate, in avanti, quindi, rapido ed esperto, lego strettamente insieme le sue caviglie e le fisso al fondo del letto.
Sento in lei un poco di tensione, forse sorpresa, ma non protesta, si è ormai affidata a me totalmente.
Quindi mi avvicino alla sua testa, volto il viso verso di me, le sorrido, un sorriso di piacere, soddisfazione, quasi gioia mi pervade.
Avvicino le mie labbra alle sue e la bacio, un ultimo splendido appassionato bacio, infine le mordo lievemente il labbro inferiore, sento il lieve sapore del sangue in bocca, quindi mi allontano dal suo viso e le introduco un gag-ball in bocca, fissandolo poi saldo sulla nuca.

Suonai il campanello alle dieci meno un quarto di venerdì, sentii una certa agitazione nella sua voce quando mi disse di salire un attimo, perchè non era ancora pronta.
Mi aprì la porta con gli occhi che rilucevano di un coacervo di emozioni, mi guardò, a lungo, poi disse solo:
- Hai sentito la tv oggi? -
Risposi semplicemente: - Sì. -
Mi fece entrare, e come un fiume in piena le parole traboccarono da lei:
- Quel bastardo ne ha massacrata un'altra questa notte, come possono esistere esseri così disumani, così perversi?
Non dissi nulla, lasciai semplicemente che continuasse a parlare.
- Era solo una ragazzina, e dev'essere morta in modo orribile, non riuscirò a dimenticare quegli occhi sbarrati, atterriti, e tutti quei tagli, sottili e profondi, ovunque. E quel maledetto bicchiere, appoggiato a fianco alla sua testa, sul tavolo dove l'ha legata e uccisa. -
Non la lasciai continuare, semplicemente l'afferrai, la strinsi e la baciai, e lei cedette. Come fanno tutte del resto.

Ora vedo un barlume di paura nei suoi occhi, ma è ancora surclassata dalla curiosità, dalle mille domande e pensieri che sicuramente stanno vorticando impazziti nella sua mente.
Certo, anche questo l'ha sfiorata, ma solo come uno dei molti, e non l'ha creduto vero nemmeno un istante.
Prendo la mia borsa, credo nemmeno l'avesse notata quando sono arrivato, l'appoggio sul letto, e vedo che la osserva indagatrice.
Poi sollevo la poltroncina che tiene nell'angolo della camera e l'avvicino, sedendomi proprio a fianco del letto, tutto senza mai distogliere i miei occhi dai suoi, e senza smettere di sorriderle.
Lento apro la borsa, estraggo un piccolo astuccio in stoffa rossa, che appoggio sul comodino, quindi una scatola.
Mi inclino verso di lei, apro la scatola ed estraggo uno scintillante, trasparente sonoro e splendido calice di cristallo, per gli esperti un calice da barolo, per me la perfezione per soddisfare la mia inesauribile sete.
Ora finalmente ha davvero compreso, i suoi occhi divengono vitrei di orrore, le sue membra iniziano a dibattersi mentre cerca inutilmente di urlare attraverso la gommosa, rossa pallina che le ho introdotto tra le labbra.

La prima volta fu quasi casuale, eppure vedere quel limpido, scarlatto spruzzo che eruttava dal quel corpo stupendo fu ipnotico. Sicuramente ero predestinato, era già parte di me, ma me ne accorsi solo in quell'istante.
Prendere uno di quei bicchieri bellissimi che rilucevano alla luce del lampadario sul ripiano nobile della credenza fu istintivo, così come avvicinarlo al suo collo così che il rosso nettare della vita lo colmasse lentamente.
Quindi lo alzai al cielo, brindando a lei, alla vita e alla morte.
Nella solitudine Dio e il Diavolo erano venuti a farmi visita, sicuri di trovarmi, ma era alla voce del secondo che avevo infine dato ascolto.
Così iniziai la mia empia comunione, mi dissetai alla fonte della vita e sentii una nuova, possente forza scorrere in me, e le parole di Milton presero ad assumere profondi significati:
- Quando la notte ottenebra le strade, allora vagano i figli di Belial, colmi di vino e d'insolenza. -
Così conobbi il piacere, l'assoluto inesprimibile piacere del dissetarmi alle anime, alle vite altrui, il potere di un dio, ed insieme il dolore della sete, che ogni volta diviene più intensa, insopprimibile.

E' incredibile quanto del semplice raso possa essere resistente se ripiegato più volte su se stesso.
Osservare i suoi inutili tremendi sforzi per liberarsi, per spezzare i legami è come una musica, una demoniaca sinfonia di terrore, sì, ormai sento la paura come una melodia che entra in me, che nutre la mia passione.
Ma si sta facendo tardi, il mio volo per Buenos Aires parte all'alba.
Certo questa volta mi avrebbero identificato, troppe le tracce che mi collegano a lei, ma non importa, non poteva esserci altra conclusione, dovevo completare così il mio operato qui, ricomincerò a vivere la notte lontano.
Apro l'astuccio, liberando i sottili bisturi che scintillano alla luce della lampada alogena, certo un pò mi dispiace non poter soddisfare a lungo con lei i miei piaceri, ma è giusto così.
Giuditta è la mia madonna, l'angelo sacrificale, la lascerò intatta, perfetta, tranne per una piccola, sottile incisione.
Le tengo la testa ferma con una mano, quindi il bisturi scivola morbido nel suo collo, e il suo sangue inizia a zampillare copioso, spinto dalle feroci pulsazioni del cuore affannato.
Avvicino rapido il calice osservando, come sempre estasiato, il rosso nettare colmare rapido il cristallo, mi accomodo quindi meglio in poltrona, placando lentamente la mia sete infernale, senza distogliere i miei occhi dai suoi, che da rabbiosi e folli, diventano piano piano sempre più impotenti e terrorizzati.

Divenne poi ogni volta sempre più facile, la sete aumentò progressivamente, così come i desideri, ogni volta il sangue doveva contenere un'emozione più forte, più intensa per donarmi lo stesso piacere, finchè non la vidi, e compresi subito che sarebbe stato il mio capolavoro.
Ogni istante di preparazione divenne così eccitazione pura, piacere sfrenato.
L'ultimo sacrificio era servito in pratica quasi esclusivamente a pervaderla così intensamente di emozione in attesa del momento supremo.
Ormai ero divenuto qualcosa di differente, di superiore, un vampiro mi avevano soprannominato i giornali. Era in verità simile a ciò che percepivo di me, anche se inadeguato, mi sentivo per la verità come l'albatros di Baudelaire, poeta delle nubi, degli abissi infernali, come esiliato sulla terra tra gli schiamazzi, con immense ali di gigante che mi impedivano di camminare.

Sorseggio lentamente il suo sangue, mi nutro della sua vita che svanisce, ormai ha smesso di dibattersi, stanca e rassegnata attende la fine guardandomi con l'odio più profondo mai visto che scaturisce dal profondo di quei bellissimi occhi verdi, che stanno però velandosi sempre più.
Termino il bicchiere, un sottile rivolo rosso cola sull'angolo del mio labbro, lo raccolgo con la lingua, socchiudo gli occhi, assaporo ancora il piacere del potere assoluto, quindi avvicino il viso al suo, gli occhi così vicini ai suoi, cerca di dire qualcosa ma i suoni sono flebili e intelligibili.
Poso il calice, le sfioro il collo con la mano, sollevando lentamente verso di me il suo viso, quindi con un sorriso le lascio il mio ultimo saluto:
- Gaudeamus igitur, venit mors velociter, rapit nos atrociter, nemini parcetur. -
La fine giunge, lasciandomi come sempre preda di uno stato di ebbrezza, di estasi, solo quando uccido mi sento veramente pienamente vivo.
Quindi mi alzo, vado in bagno a sistemarmi, mi rivesto, raccolgo le mie cose, lasciando come sempre il calice, rivolgo un ultimo sguardo, un sorriso e un cenno al mio ultimo piacere, quindi esco dalla casa, chiudendo a chiave la porta.

Quando trasferii tutto il mio denaro su quel conto cifrato lussemburghese fu quasi divertente, non pensavo fosse in fondo così facile.
Avevo ormai venduto ogni immobile e ben poco di ciò che sarebbe rimasto a Milano mi sarebbe mancato, in fondo avrei avuto con me tutto ciò che mi occorreva, tempo, fantasia e un nuovo mondo a cui attingere.
Avevo programmato tutto pazientemente, un volo diretto per l'Argentina, un paio di passaporti falsi che mi erano costati notevolmente ma con cui avrei potuto passare rapidamente in auto prima in Uruguay e poi in Brasile, non mi avrebbero trovato facilmente, e laggiù con il mio denaro la vita sarebbe stata un paradiso.
Come Icaro avevo desiderato un'intima conoscenza del sole, del calore del potere divino, che importava il rischio di bruciarsi, nel mare infinito che mi avrebbe atteso sotto avrei potuto rinfrescarmi in eterno.

Esco dal palazzo, l'aria notturna è fresca, sento ancora in me il suo profumo, l'odore del sangue e della paura che mi elettrizza, sono ormai davvero una creatura della notte, dell'oscurità.
Mi avvio a piedi, i bagagli sono già in aereoporto, prenderò un taxi un paio di isolati più in là.
Passo accanto ad un cassonetto dei rifiuti e vi lancio le sue chiavi di casa, seguite poi dalle mie, allargo poi le braccia e un urlo liberatorio mi prorompe dai polmoni, la notte è mia.
Mentre cammino mi accorgo di una figura che procede accanto a me, solitaria sull'altro lato della strada deserta, mi fermo ad osservare, è una ragazza, che come me si è fermata.
Giovane direi, alta, slanciata con capelli nerissimi e corti, e una di queste minigonne moderne che lasciano ben poco spazio all'immaginazione.
Resta immobile ad osservarmi, io mi avvicino.
E' quasi interamente vestita di nero, con numerosi piercing, mi osserva sorridendo, un pò giovane e troppo bella per una prostituta, penso.
Ora è davanti a me, continua a sorridere, con il collo lievemente piegato a destra, come certe espressioni dei gatti incuriositi, io non parlo, le sorrido, e intanto accarezzo il coltello che tengo sempre nella tasca del cappotto, chissà, forse è il destino che l'ha inviata qui.
Poi lei si avvicina, mi abbraccia, e mi accarezza la schiena, sento le sue unghie sfregare sulla stoffa, la vedo leccarsi per un attimo il labbro superiore, un espressione di pura lussuria le illumina lo sguardo.
- E così tu sei il cosiddetto vampiro. -
Dice, lasciandomi attonito.
- Sono mesi che ti cerco, che ti cerchiamo in verità, hai creato un notevole scompiglio sai, ma ora avrò una splendida ricompensa per averti trovato. -
Stringo il coltello tra le dita, ma l'altra sua mano si posa immediatamente sul mio fianco, bloccandomi il polso nella tasca, faccio forza, eppure nulla, quel braccio così sottile, mi tiene fermo come fosse di ferro.
Infine la vedo sorridere, un sorriso così simile al mio, forse persino più crudele, e l'ultima cosa che riesco a vedere, sono due canini estremamente appuntiti che brillano bianchi dalla sua bocca spalancata alla luce della luna.




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