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Racconto n° 2427
Autore: Alemar Altri racconti di Alemar
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L'uomo che vendeva cravatte
Le luci di natale coloravano le vie del centro come se fosse giorno, la gente camminava in preda ad una strana frenesia, tutti con lo stesso felicissimo sorriso stampato sulla faccia. Guendalina non aveva capito cosa ci fosse di divertente nel farsi derubare una parte dello stipendio dai commercianti cittadini, ma non si preoccupava troppo delle abitudini degli esseri umani. Lei di umano aveva ben poco. Sembrava scesa da Marte il giorno prima per un'indagine di mercato. Le mancava solo il microfono e la troupe televisiva a seguito per essere una cronista marziana a tutti gli effetti: - Signori e Signore buonasera! Siamo qui per mostrarvi un documentario sulle strane abitudini degli abitanti della terra! -
Mentre lo pensava rideva, e mica lo faceva silenziosamente abbassando il viso per non apparire scema... No, lei non era normale neppure in questo: se voleva ridere lo faceva, incurante degli sguardi stralunati di chi la incontrava. Rimaneva convinta che gli extraterrestri fossero gli altri...
Camminando le capitò di incontrare lo sguardo di un signore, il quale, nella vetrina di un negozio di abbigliamento, sistemava una cravatta su di un manichino. La cravatta era decisamente brutta, ma il tizio no, almeno non ai suoi occhi. Aveva all'incirca quarantacinque anni, capelli brizzolati e mossi. Statura nella media, come la corporatura.
Decise che era meglio indagare per scongiurare ogni dubbio: non poteva pensare di addormentarsi senza aver capito quanti rotolini di pancetta poteva avere il signore del negozio! Il suo era in effetti un dubbio esistenziale...
Così entrò, col passo sicuro del suo anfibio nero.
Il campanello alla porta annunciò il suo ingresso all'uomo, il quale, lanciandole un'occhiata rapida tipica di chi è abituato a vestire la gente, aveva lasciato il manichino per venirle incontro.

- Buonasera Signorina, posso esserle d'aiuto? -

- Si, forse. Sto cercando una cravatta per capodanno -

- E' un regalo? -

- No, la devo indossare io! -

L'uomo rimase decisamente sorpreso, ma cercò maldestramente di non darlo a vedere. Si portò dietro al bancone dove uno scaffale di mogano faceva da espositore ad un bel campionario, di colore e fattura diversa. La disposizione voleva sembrare casuale, ma lasciava trasparire un lavoro da equipe certosina.
- Vediamo un po'... -

Guen sapeva che mancava circa un minuto alla chiusura del negozio, e sapeva anche che il tizio avrebbe tirato fuori la cravatta più alla moda per liquidarla in fretta. Guen si rese conto che non aveva programmi per la serata, e le si illuminò il viso nel constatare che aveva appena deciso come passare il suo tempo... Chissà se il commesso avrebbe apprezzato l'iniziativa: di sicuro, non sapeva ancora di non avere alcuna alternativa...

- Su che abito deve indossarla? Si tratta di un abito scuro con camicia chiara, oppure opta per qualcosa di più sgargiante vista l'occasione? -

L'uomo parlava dandole le spalle, armeggiando con le stoffe e i campioni. Guen nel frattempo si era spostata dentro il camerino con la tendina aperta. Si era tolta in fretta il piumino, la minigonna e il maglione che indossava, rimanendo soltanto con la brasiliana, il reggiseno e le parigine.
L'uomo si voltò nella direzione dove si aspettava di trovarla e rimase un po' sconcertato nel vedere che non era più lì. La voce gli fece girare la testa verso il punto in cui si trovava, e non trovò più saliva e parole da pronunciare dentro la sua bocca.

- Beh, il completino che ho deciso di indossare a capodanno non è ovviamente questo! Ne ho comprato uno proprio ieri nel negozio qui a fianco: è di seta viola, sa, per un motivo scaramantico... per me il rosso a capodanno porta sfiga, il viola invece è malvisto solo nello spettacolo, ma io non sono un'attrice, quindi sono esonerata, giusto? -

All'uomo si lussò la mandibola...

- Secondo me una cravatta nera ci sta da dio... anche perché viola non saprei... che dice, meglio il tono su tono? -

l'uomo lanciò un'occhiata sia alla porta d'entrata che alla vetrina, poi guardò l'orologio e corse a prendere il telecomando per abbassare la saracinesca.
Malgrado facesse freddo, aveva un gran caldo, e sentiva il sudore sulla schiena. Ritornò davanti a Guendalina, felice di non essere incappato in nessun altro cliente. Lei nel frattempo aveva recuperato una sedia sulla quale si era messa a cavalcioni, con i gomiti appoggiati al bordo.

- Che c'è, non le piace l'abbinamento? Non mi dica che il viola non le piace, perché non le credo: i suoi calzoni non mentono!! -

La tela in effetti non poteva nascondere un'erezione evidente...
Poi Guen si alzò con fare micione, avvicinandosi piano all'uomo che non aveva più intenzione di subire l'attacco.

- Che c'è, bell'uomo, siamo per così dire... imbarazzati? No dai... posso darti del tu vero? Si, certo che posso... -

E con le mani lo prese per la cravatta cercando di aggiustargli il nodo. Ora poteva togliersi la curiosità di sapere quanti rotolini gli foderavano l'addome. Con suo piacere, scoprì che le mani non affondavano più di tanto, e il velo di adipe non era tipico di chi si è solo votato alla pastasciutta. Da vicino lo vedeva diverso, non osava ancora parlare, ma aveva occhi penetranti, scuri non come i suoi, ma decisi e capaci di scavarla quanto bastava a farla proseguire. Forse aveva più anni di quelli che gli aveva dato, e sembrava più alto. Lo aveva perlustrato con le sue mani ladre dalle unghie corte, lo aveva sondato per raccogliere i fremiti sulla punta delle dita, lo aveva passato attraverso il metal detector dei suoi sensi, e si era trovata piacevolmente stupita: non era un uomo noioso, quegli occhi non potevano esserlo, quel viso recava nei suoi lineamenti fiumi di parole di cui poteva scorgere solo lievi intenzioni, piccoli sussurri birichini.
Attese di vedere la gola scoperta per affondarci le labbra, polpose come una ciliegia rossa appena colta.

- Dai, bell'uomo, siamo soli ma non ti mangio mica... volevo solo assaggiare... sulla porta c'è scritto ingresso libero -

Le mani avevano ormai trascinato la camicia fuori dai pantaloni, avevano sottolineato la linea dello slip senza indugiare oltre: l'uomo doveva lasciar parlare il desiderio, lei voleva solo quello.
Poi tutto esplose nell'attimo che li trovò svuotati dai rispettivi alibi: l'uomo spense la luce dell'interno per lasciare solo quella della vetrina, Guendalina si lasciò trasportare fino al banco del registratore di cassa, dove lo stesso uomo, così gentile e garbato un attimo prima, la rovesciò rudemente, facendo cadere a terra tutte le cravatte tranne una: la sola che aveva pensato di usare. Senza aggiungere parole ai gesti, prese la cravatta nera di seta e legò i polsi di Guen sopra la sua testa, simbolicamente più che per immobilizzarla. Tutto stava andando troppo velocemente, la situazione aveva preso sfumature impreviste: di solito era lei a guidare il gioco, e il fatto di non essere più la padrona incontrastata della situazione la divertiva e la eccitava. L'uomo non le bendò gli occhi come lei aveva creduto, la lasciò libera di decidere se guardare o no il desiderio che rendeva più vivo il suo sguardo. E non si perse la scena, golosa com'era di situazioni come quelle: impreviste e decisamente improbabili. Lo stare sul filo del rasoio era per lei necessario: senza sarebbe stato come camminare in cima all'Everest senza ossigeno.
L'uomo non disse nulla, la guardò per un lunghissimo istante penetrandola con gli occhi. Si tuffò dentro per raschiare via un po' di quell'indefinito che li rendeva estremamente vivi e quasi pulsanti. Poi, senza troppi indugi, le abbassò la brasiliana, e senza alcun preambolo, senza alcun preliminare, affondò la bocca nel suo sesso, come se non mangiasse cibo da anni. Guen si fece scappare un sussulto, era entrata lì solo per giocare, solo per curiosità, per mettersi ancora una volta alla prova; ma questa sera era diversa, perché questa sera Guen non aveva trovato semplicemente un uomo come tanti, vittima sacrificale dei suoi capricci. Aveva davanti a sé un individuo differente; come se si trattasse della sua parte maschile: pretenziosa, sfacciata, istintiva, pura.
Si lasciò mangiare, a volte persino mordere. Conosceva molto bene il suo corpo e il suo piacere; era sempre lei a decidere tempi e circostanze, ma in quell'occasione non poteva gestire tutto come voleva: si sentiva questa volta braccata, sentiva una bocca vorace quanto la sua, e la droga dei suoi stessi sensi la stordiva: era ora di smettere di giocare. Non fece nulla per smentire l'orgasmo che i colpi di lingua, le labbra e i denti di quell'uomo le stavano regalando, cominciò a sentire il fiato farsi corto, e le contrazioni muscolari avanzare inesorabili.
Avrebbe voluto indicargli meglio i movimenti, ma il fatto di avere i polsi fasciati, le ricordava di essere in quella condizione per un preciso volere di lui, e quindi non sciolse il nodo fittizio che la bloccava simbolicamente.
L'uomo la percorreva come se la conoscesse da sempre, la mangiava e si riempiva la bocca dei suoi umori opalescenti, si sfamava e si dissetava. Sembrava carne sua... Poi l'uomo smise di essere falco sulla preda e si alzò. Slacciò i pantaloni e senza troppi rituali propiziatori la prese con un colpo secco, affondando fino a combaciare contro le labbra, tumide e gonfie di piacere. Guen fece per parlare, dopo aver recuperato un po' di fiato, ma lui le tappò la bocca; non per forzarle la mano, non per dimostrare dominio sulla situazione. Semplicemente voleva sentire l'alito del desiderio riempire la stanza, voleva sentire la danza dei respiri che si accoppiano come i corpi, e formano emozione. Voleva riempire l'aria dei loro suoni, dei loro umori, dei loro silenzi. E ancora una volta lo lasciò fare, scoprendosi ancora più eccitata nell'aver trovato un uomo capace di inchiodarla al muro con i suoi stessi chiodi...
Lo sentì affondare ancora, e ancora, dentro la sua carne, e più lui affondava più lei spingeva il bacino, come se il contatto non le bastasse mai...
Accelerò i colpi, fermandosi ogni tanto fino al punto di massima corsa dentro di lei, cercando la tenerezza della carne, scrivendo col suo sesso il suo nome, che ancora non aveva detto.
Guen, stranamente, non fermò il gioco con la pretesa di condurlo, lo lasciò andare, come la corrente di un fiume, curiosa di scoprire dove tutto questo l'avrebbe portata. L'uomo si ancorò con le mani ai suoi fianchi e cominciò la sua corsa per donarle il piacere estremo, quello che non pensava di poter raggiungere in una sera come quella, da un venditore di cravatte...

- Se ti fermi ti uccido... -

Furono le uniche parole che riuscì a sussurrare, e l'uomo, con lunghi e precisi colpi calibrati, la portò a sussultare in un orgasmo pieno, come diceva lei, di quelli che arrivano da lontano, per sottolineare che si trattava di un orgasmo vaginale, quello che preferiva in assoluto, perché più pieno, rotondo quasi, meno esplosivo ma più duraturo, che spacca le ossa tanto è forte il riverbero. L'uomo non aveva raggiunto il suo godimento, e Guen era dispiaciuta per questo. Per tanto potesse mostrarsi stronza ed egoista, era in realtà, nel profondo dell'anima, una geisha assoluta e dedicata. Poteva ritenersi soddisfatta veramente, solo se vedeva gli occhi dell'amante iniettati di godimento puro: era la sua firma, la certezza di diventare attraverso quello, qualcosa d'insostituibile, di necessario: una sorta di piacevole droga a cui era difficile resistere...
Si sentiva confusa, era successo tutto e il contrario di tutto. Poi l'uomo la rivestì lento ed attento nei movimenti. Guen fece per avvicinarsi a lui, per accarezzarlo e regalargli la potenza della sua bocca, di cui conosceva tutti gli effetti collaterali.
Lui la fermò con dolcezza, sfiorandole il viso e i capelli.

- Mi regalerai il segreto delle labbra la notte di capodanno; con indosso il tuo completo viola e la mia cravatta -

Al collo portava in effetti una cravatta nera che sfilò e arrotolò nella mano, per riporla con cura in un piccolo cassetto del bancone.

- Questa starà qui e ti aspetterà -

Guen fece per parlare, ma lui le appoggiò il dito indice sulla bocca per chiederle il silenzio. Poi sorrise, la rivestì e si rivestì a sua volta. Quando tutto ebbe ripreso le sembianze normali di un negozio di una città di provincia, l'accompagnò alla porta.
Appoggiandole una mano sulla schiena la consegnò alla strada.

- Ciao Guen, ci vediamo tra tre giorni. Per quel giorno avrò un regalo per te -

Guen era sbalordita, lui sapeva il suo nome, sembrava conoscerla ma lei non aveva nessun ricordo nella memoria; per quanto si sforzasse non riusciva a ricollegare nulla del suo vissuto che riguardasse quell'uomo.
Si voltò come a chiedere spiegazioni, ma capì di non poter chiedere più nulla in una notte come quella. Prima che la porta si richiudesse, sentì la voce dell'uomo che disse senza guardarla:

- Xavier. Mi chiamo Xavier. -

Guen non tornò sui suoi passi, non chiese nulla e riprese a camminare con le gambe ancora tremanti e la mente confusa, stordita da un orgasmo che le aveva davvero rotto il fiato.
Riprese la sua strada certa che le spiegazioni sarebbero arrivate a tempo debito, e che l'uomo avrebbe costituito un ruolo importante nella sua esistenza. Ora sapeva come avrebbe passato il capodanno, e la certezza di avere a disposizione tre giorni per prepararsi all'evento, la riempiva di inspiegabile curiosità e desiderio di andare oltre...

A volte la vita è una questione di cravatte...

Alemar

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