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Racconto n° 2431
Autore: Alemar Altri racconti di Alemar
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Come in una milonga...
Seduta al tavolo, ti ho vista.
La sala quasi vuota, in attesa degli altri a riempirla di movimento armonico sulle note che ogni sera regalavi.
Seduta al tavolo ti ho vista, mentre mi davi le spalle, parlando al pianista. Ti ho vista mentre bisbigliavi al suo orecchio frasi piccole tra sorrisi ammiccanti. Lo seducevi, avvicinando la bocca a lui, giocando con il ricciolo che ti ricadeva sul collo, toccandogli svogliatamente il braccio, la spalla, a volte le mani.
Giocavi e seducevi, con il tuo non stare mai ferma. Io restavo nell'angolo della sala, quello più lontano, quello meno visibile. Osservavo e cercavo di imparare il tuo gioco, il tuo movimento, il tuo inventarti ancora una volta nuova, diversa, imprevedibile.
Era un tango a riempire la sala, una musica argentina degli anni '30. Lui suonava l'aria, tu ti massaggiavi il collo, buttando la testa all'indietro, con gli occhi chiusi, sapendo che i suoi occhi erano lì, dove tu volevi si appoggiassero...
Seduta al tavolo ti guardavo, riempiendomi gli occhi di seduzione e languido trasporto.
Mi alzai, seguendo la diagonale che ci divideva, con la stessa lentezza delle tue mani sulla nuca.
- Sei la maestra, giusto - ?
I tuoi occhi lasciarono il pianista per incrociare i miei, e il tuo sorriso, gentile ed educato, rispose incuriosito alla domanda
- Si, sono io. Posso esserti utile? -
- Vorrei ballare questo tango. Con te. -
Il pianista sorrise abbassando gli occhi sulla tastiera, facendo l'amore con i tasti, in onore della sua donna, che riceveva il corteggiamento di una sconosciuta.
La tua risposta raccolse la mia mano portandola nella tua, accompagnandomi al centro della sala. Non c'era nessuno, solo i camerieri e i baristi, intenti a lustrare bicchieri. Nell'appoggiarti a me sentii il tuo profumo sul collo, mentre il tepore epidermico ne esaltava la fragranza. I capelli raccolti a ciocche mi lasciavano la possibilità di parlarti con la pelle sulla pelle, e mentre ti abbandonavi a me con la fiducia che il tango richiede, il pianista ci accompagnò, guidando i corpi attraverso la musica, come in una vecchia milonga, ricolma di trasporto e fumo sui muri.
Capivo il tuo stupore nel vedermi mantenere la posizione come da manuale, conoscevo bene il tango e il tuo corpo lo recepiva.
Il pianista disegnava con le note, evoluzioni personali al brano, come se volesse accompagnarci lungo un corridoio di un vecchio bordello, dove sotto si ballava e sopra si faceva l'amore. Immaginavo nelle sue dita leggere il film che abitava ora la sua mente...
Lui imprimeva sullo spartito la trama di quell'incontro rubato al tempo, dove due donne bellissime si abbandonavano a loro stesse per il proprio piacere, lontano da occhi indiscreti a rubarne i segreti.
Suonava ad occhi chiusi, inventando le evoluzioni sui fremiti del momento. Ci osservava con gli occhi del desiderio, mentre ti adagiavo sul letto dell'ultima camera in fondo al corridoio e ti facevo mia...
La musica lenta, il rumore delle auto fuori sulla strada, con il bagliore dei fari ad illuminare, come un'eclissi troppo veloce, le ombre sul muro.
Avevi un profumo così buono quella notte, sapere di avere il tuo corpo riempiva di struggente poesia le mie mani, guidate sempre e solo da quella musica, nella sala al piano di sotto. In silenzio aspettavi che le mie dita scrivessero sul pentagramma che il tuo ventre appena scoperto era diventato una canzone fatta solo di respiri accelerati, come il battito del tuo cuore sotto le mie labbra. Il tuo collo era una curva senza salite, facile da ripercorrere in punta di lingua, dove assaggiavo per la prima volta l'essenza di buono che emanavi. Con le labbra sembrava volessi sfiorarti, te lo lasciavo immaginare, intuire... ed invece attendevi invano.
Ti respiravo addosso, lasciandoti la voglia appiccicata alla pelle, mentre senza indugio, la mano scopriva quanto era caldo il tuo sesso contro lo slippino di organza... Ti sentivo tremare come una foglia, calda ed eccitata, mentre sussurravo all'angolo di epidermide dietro l'orecchio, quanto eri bella... La mia voce quasi non potevi sentirla, tanto era bassa e leggera. Però sentivi la musica, e sentivi che ti frugavo con il ritmo di quella danza che i tuoi piedi avevano così tanto ballato nella sala al piano di sotto.
Conoscevi le mani che suonavano, conoscevi lo spartito, e sapevi come una storia con il finale già letto, cosa poteva attenderti, in fondo ai miei pensieri.
Eri un dono bellissimo, un arcano e prezioso miraggio fatto di sussulti quasi celati, sotto la vestaglia che appena ti copriva, sul letto spoglio, in quella camera non del tutto buia.
Ti sentivo ansimare, mentre frugavo tra le pieghe bagnate della tua carne, pulsavi ogni volta che ti sfioravo, e senza toccarmi, spingevi i reni verso il cielo, come se quel contatto non ti bastasse.
Volevo prolungare l'agonia che un desiderio non soddisfatto può lasciare, ma facevi quasi tenerezza nel tuo ambiguo, ansimante silenzio. Così pensai di riempirti di ciò che ero, con la mia bocca, che cercava angoli inesplorati di pelle, sul fianco, fino a raggiungerti oltre la duna ricoperta di peluria quasi adolescenziale. Per la prima volta sentii le tue mani diventare pretenziose, guidate solo dal tuo desiderio, e non più dalla musica suonata per noi, ora scomparsa, smarrita, o semplicemente terminata.
Nella sala al piano di sotto, il ritmo era cambiato, il pianista era cambiato. Colui che ci aveva guidato oltre le scale, colui che aveva fatto combaciare musica, corpo e desiderio fondendoli senza inizio né fine, stava ora sullo stipite della porta, in controluce contro la lampadina a basso voltaggio del corridoio dietro le sue spalle. Ci guardava, e tu neppure te ne eri accorta, fagocitata completamente dalla lussuria di godermi nella bocca mentre ti mangiavo, consapevole di regalare piacere alle tue cosce spalancate, e ai suoi occhi, pieni di eccitante fermento. Mi piaceva berti, mi piaceva affondare dentro di te fin dove la lingua lo permetteva; quello era uno dei momenti in cui avrei voluto essere un uomo per capire cosa significasse possedere una donna attraverso un membro.
Te ne stavi con le ginocchia piegate, inarcandoti verso il soffitto, cercando di fermare il tuo piacere in quell'intreccio, in quel non sapere stare ferma, rantolando il godimento che sentivi avanzare.
L'uomo non si fece aspettare, sapeva di essere atteso, anche se con un finale imprevisto, disegnato e costruito sul momento dalla sua voglia. Mi fece spostare appena e in quell'istante ti accorsi di lui.
Non dissi nulla, forse sapevi, forse avevi sempre saputo...
Slacciò solo i pantaloni, lasciandoli ricadere sulle gambe, accarezzai il suo membro con le mani bagnate dei tuoi umori, lo preparai a prenderti, e preparai te a riceverlo. Mi feci da parte, lasciandogli lo spazio per possederti, tra le cosce nervose e frementi. Affondò nel tuo abisso come una lama incandescente nel burro, eri caldissima e non resistevi più a quel gioco.
Sapevo cosa voleva, e lo intuivi anche tu, combattuta dalla paura per il dolore iniziale, e rincuorata dal piacere che sapevi, sarebbe seguito qualche attimo dopo. Lui aveva cominciato ad entrare ed uscire lentamente, lasciando a me la possibilità di dilatare con la saliva il desiderio nascosto appena sotto; sentivo l'orifizio dell'ano dilatarsi ogni volta che lo baciavo con la lingua, mentre la appoggiavo piatta, per dargli calore. Quando ritenni che fosse pronto, mi feci ancora una volta da parte, guidando il sesso proteso verso le tue natiche bianche, e gioendo nel vederlo sparire senza fatica alcuna, nell'antro del tuo sfintere, così felice di accoglierlo. Mi sembrò di percepire un lieve sussulto, come se la paura ti avesse morso... così mi adagiai sul tuo petto baciandoti i capezzoli, massaggiandoti la base del seno, e aiutandoti a rilassarti. Il tuo respiro si fece più profondo e lungo, lui rimase per qualche secondo a godersi l'anello stretto della tua muscolatura intorno al suo sesso... percepiva il tuo pulsargli contro... si ritirò per affondare, guadagnando quei pochi millimetri che gli servivano per combaciare a te, perfettamente, come se di te fosse parte, come proseguimento stesso, senza inizio né fine...
Ti spingeva mentre arrivava a fine corsa, premeva con forza e sentivi che la pelle era sulla pelle, lo avevi inglobato perfettamente, ed il dolore aveva lasciato il posto al godimento che ora colorava le tue guance. Io ti ero ancora stesa accanto, mangiavo la tua voglia con la bocca, mentre con le dita stuzzicavo le piccole labbra che ora sentivo gonfie e tumide, bagnate dal tuo umore, che colava in una lacrima sottile lungo la mia falange. Adoravo sentire quel sottile velo di pelle che divideva il mio dito dal sesso che stava arando la tua carne, infiammandola di lussuria, come benzina su un incendio già devastante. Sentivo il movimento, lo scorrere di lui dentro te, attraverso la parete, ti sentivo rantolare un godimento che ti scuoteva fin dentro le viscere, sentivo montare i colpi che ti sferzava, sempre più violenti, sempre più veloci; il rumore era quello umido dei succhi che vi stavate scambiando, e vedendo arrivare l'uomo in cima al suo piacere, ritornai sul tuo viso, trasfigurato dal piacere. La mia lingua ti raggiunse, e quasi aggrappandoti, ti lasciasti travolgere dall'orgasmo che faceva tremare il tuo corpo per lo spasmo muscolare arrivato al suo vertice. Avevi soffocato il tuo piacere nella mia bocca, esplodendo nella mia gola, con la tua lingua vorace, famelica. Ti sentivo forte, mentre mi respiravi dentro, e sentivo lui, adagiato quasi su di te a recuperare forze...

Mi spostai, per lasciare in unione i vostri corpi, che ora si ritrovavano in un abbraccio stanco, di chi ha condiviso la stessa battaglia.
Ricomposi il mio abito, mentre i vostri respiri trovavano il proprio tempo; c'era attesa nella stanza al piano di sotto, dove un tango mi aveva insegnato cosa fosse il godimento puro, quello di una vecchia milonga, ricolma di trasporto e fumo sui muri...

Alemar

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