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Racconto n° 2727
Autore: ElisaN Altri racconti di ElisaN
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Da lui a me
- Ti ricordo seduta sul mio vecchio sofà in alcantara grigia, completamente nuda, con le gambe leggermente dischiuse.
Ricordo il tuo sesso così puntigliosamente depilato, la tua pelle olivastra e salina, il ciondolo tibetano che s'insinuava fra i giovani seni.
Ricordo i tuoi lunghi capelli castani scivolare su spalle puntute, la mandorla dei tuoi occhi definita dal trucco perfetto, le labbra carnose dipinte di luce brillantata.
Ti ricordo avvolta in una nuvola di fumo azzurrato, con un sorriso dolce e accomodante.
Ricordo l'acre odore del tuo sesso impregnare la mia stanza, mentre il tuo sguardo seguiva le involuzioni acrobatiche delle mie lampade futuristiche.
Ti ricordo sempre triste e imbronciata, con una spensieratezza forzata dalle circostanze.
Ricordo i tuoi gemiti distratti, il tuo pensiero rapito dalla nostalgia di un passato recondito.
Ti ricordo persa in un mondo che non mi appartiene, sospesa in un tempo lontano.
Ti ricordo impenetrabile e ineffabile.
Mi hai inchiodato con le tue paure, spiazzato con le tue parole, offeso coi tuoi silenzi.
Non eri la donna che mi potevo permettere.
Eri un altrove che non afferravo.
Eri il delirio silente che s'intrufolava nel mio vissuto, l'aspide mordace che mi avvelenava le viscere.
Esacerbavi le latenti insicurezze del mio ego, attento pianificatore di un'esistenza basata solo sul sesso e su nessun sentimento.
Ho cercato sempre donne spicciole e immediate, aliene al raziocinio e all'introspezione.
Per te la frivolezza era solo un travestimento, un gioco perverso con cui attirare l'attenzione del maschio.
Ti ho scoperta una donna troppo complessa, audace nel ragionamento, sapida nella lingua, sagace nel pensiero.
Imbroccavi troppo facilmente le mie parole perché, per te, ero diventato un essere prevedibile e scontato.
Io vivevo nella furia del divertimento più dissennato, tu eri in grado di rintanarti in una solitudine ricolma di sapori e significati.
Eri una donna capace di ascoltare i propri silenzi e che, del dolore, aveva fatto la sua filosofia di vita.
Ti ricordo sdraiata sopra di me, col volto incuneato nella mia clavicola, per respirare avida il mio odore.
Ricordo il calore della tua pelle, la tua morsa serrata per cingermi a te, il tuo ventre fluttuare in una danza seducente.
Ricordo il tuo respiro affannato fendere il mio, i tuoi occhi cercare i miei occhi, le tue labbra impadronirsi delle mie labbra.
Eri il pericolo di un coinvolgimento irrazionale che mi faceva vacillare.
Eri la dissoluzione del mio impero di sale.
Eri qualcosa che io non sono. Raggiungibile, ma ingestibile. Fulgida di una luce propria, non potevo autorizzarti al mio accecamento.
Dopo ore di sesso sfrenato e disinibito sfilavi nuda per la stanza, su tacchi a spillo dorati, ed io ti ammiravo nel tuo incedere regale ed altezzoso.
Ti ripulivi del mio seme, colante lungo il corpo, con una dignità che ti ha sempre contraddistinta.
Ti rivestivi con calma e scivolavi morbidamente fuori da casa mia, con la stessa delicatezza con cui vi eri entrata.
Sopportavi i miei silenzi lunghi mesi, senza mai reclamare. Mi aspettavi su un'Itaca immaginaria, consapevole che, se fossi tornato, non sarebbe mai stato per sempre.
Eri il sovvertimento della mia donna ideale.
Mi sono riconosciuto impreparato al tuo modo di vivere, in apparenza serio ed impeccabile, in verità frustrato e inappagato.
Ma poi ti ricordo fra le lenzuola, divorarmi con occhi assassini, conficcarmi nella pelle le unghie laccate come lame già insanguinate.
Eri metamorfosi costante, affine ai miei desideri. Non chiedevo, ma ottenevo.
Eri la mia schiava ed io il tuo padrone, lo pensavo e me lo hai fatto credere.
Tu mi amavi in silenzio ed io no. Ma tu non mi cercavi ed io sì.
Eri come un virus letale che mi voleva paralizzato a letto. Ed io bruciavo di quell'insana febbre che trova cura solo nella legge del desiderio.
Quante volte ho inseguito il tuo ricordo nel cuore della notte, umido di un sogno godente.
Quante volte ti ho implorato di raggiungermi ed altrettante ti sei negata.
Mi domando fra i due chi detenesse realmente lo scettro del potere e chi, invece, portasse il marchio del servilismo.
Mi hai abbandonato con interrogativi insoluti. Ma io li lascio sopire. Non ascoltare è il mio imperativo. Se mi soffermassi a scandagliare la mia anima potrei rimanerne atterrito.
Sei scivolata fuori dalla mia esistenza in punta di piedi, con la stessa silenziosità e dignità con cui vi sei entrata.
Hai deciso sempre tu, tacendo. Me ne rendo conto solo oggi.
Eri una donna che non potevo permettermi.

Sul vecchio sofà in alcantara grigia, questa sera, è seduta un'altra donna.
Non è cerebrale e mi piace. Ride come una sciocca e mi piace. Ha il trucco sbavato prima ancora che io la sfiori e mi piace.
O forse me la faccio piacere, perché è solo con donne così che posso permettermi di diventare sultano per una notte.

E pensare che una donna che non potevo permettermi mi ha anche amato, un giorno, neanche troppo lontano. -

Ti ho risparmiato la fatica di scrivere la lettera che vorrei ricevere, anzi, che avrei il diritto insindacabile di ricevere.
Ancora una volta ho deciso io, per entrambi.

Intestala e firmala.








ElisaN

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