Con un'antica tunica nuziale, la Bella Regina di Spade siede tutta sola nel gran salone del castello, sotto gli occhi in effige degli antenati atroci, che tramandano attraverso la sua figura, una sinistra esistenza postuma.
Lei rigira i Tarocchi componendo infiniti sistemi di possibilità, come se la disposizione casuale delle carte sul sontuoso velluto rosso cha ha di fronte, potesse trasferirla dalla gelida ed oscura camera che occupa al Paese dei Trionfi.
La sua voce è fitta di sonorità distanti, simili a riverberi in una grotta buia, con un rimbombo ovattato di echi a ripetizione in un circuito chiuso e vibrante.
I capelli fluenti, lunghi e neri, le ricadono sulle spalle come lacrime.
La stanza è illuminata nei quattro angoli da enormi candelabri d'argento, che effondono esalazioni d'incenso pungente.
Al centro del tavolo, un doppiere d'ottone che lancia prismi di luce, imbrattando con motivi indecifrabili ed inquietanti, alcune aree delle pareti, rivestite con carta damascata, color porpora. L'illuminazione è comunque tenue e fioca.
La Regina si alza all'alba, affrettandosi subito al tavolino rotondo, per il privato solitario personale.
I tratti della sua avvenenza senza tempo sono anomali, non v'e' traccia di nessuna imperfezione; la sua bellezza è tanto astratta da sembrare innaturale, addirittura commovente per chi l'adora e non sa riconciliarsi con i difetti della condizione umana.
...Maria abita poco distante. E' stata lasciata dal suo uomo, e non riesce a capacitarsi della conclusione della storia, a tratti generosa ed un tempo così eccitante.
Lui si è invaghito di una ragazza molto giovane e gaudente, con un fisico stupendo.
Negli ultimi mesi aveva inventato frasi nuove, pose oscene, descrizioni eretiche, sacrilegi di sudore e spasimo, ma non erano servite a niente.
Lui se n'era andato, esaltato dalla freschezza dell'altra.
Non rimaneva che il rito profano, per richiamare a sé uno dei tanti deliri attraverso i quali riappropriarsi della materia che considerava sua e legittima.
Aveva sentito parlare a lungo della Regina di Spade.
Qualcuno le aveva raccontato delle sue celebrazioni, attraverso mille culti sediziosi e ancestrali, che risolvevano nell'illuminazione dell'estasi e nella parodia impeccabile del ritorno.
Lei, fedele adepta di una divinità inclemente, arresa e perversa a primitive cerimonie pagane, offriva la propria carne per farla rinascere in fiumi di fluidi nuovi, che sgorgavano inesauribili dal loro alveo.
Ricostituiva le meningi confuse degli uomini, soggiogandole dei riflessi di un paradiso nuovo ed innaturale.
Maria è arrivata davanti al castello. E' talmente nervosa che con grande impegno si è messa a staccare le pellicine intorno alle unghie sino a farle sanguinare.
Finalmente decide di varcare il gran portone d'ingresso.
L'arredo emana il caratteristico odore di cuoio di Russia.
Nel sala d'aspetto spicca un'enorme libreria, con file di volumi rilegati in pelle in tutte le gradazioni del marrone, marchiati a lettere d'oro sulla costa ed i testi in sgargiante marocchino rosso.
Sopra il leggio in ferro battuto, è scolpita come un'aquila in volo, una lunga Spada lucente.
Appese alle pareti enormi sculture e collezioni d'oggetti di forme e dimensioni strane, che rievocano simboli e colori d'epoca rinascimentale.
- Buongiorno - , entra con passo incerto.
Questa mattina lo studio è immerso in una luce zenitale che proviene da una piccola persiana laterale, da cui si vedono passare senza fretta piccole nubi bianche e azzurre.
- Chérie, accomodati - .
La riceve seduta.
I capelli raccolti in una morbida crocchia, due labbra perfette e scarlatte, gli occhi neri, a mandorla, simili ad una notte sull'orlo del precipizio.
Distoglie lo sguardo dal mazzo e lo fissa su di lei, come un'ape, quando si posa su di un fiore.
- Perché sei qui? Cosa disturba il tuo cuore? - .
Trascinata dal flusso delle emozioni e da un moto di pudicizia, Maria sposta gli occhi sul portacenere colmo di mozziconi di sigarette: - Lui mi ha lasciato, per una donna molto giovane. Finirò con l'impazzire - .
Nella sua mente si affollano da tempo forme e visioni distorte, un vagabondare di corpi raggrinziti e gelatinosi, braccia molli e flaccide e visi increspati e cadenti.
Figure che si agitano nel vuoto, sguardi strazianti: un affresco sgretolato che precipita, vacilla ed esplode in mille brindelli.
La magnifica Prestigiatrice mescola i Tarocchi.
Fa scorrere le unghie affilate e lunghe, più di quelle dei mandarini dell'antica Cina, sull'immagine della prima carta levata dal mazzo, traendone una vibrazione risonante, come avesse pizzicato le corde di sentimento di una donna metallica.
Estrae L'Asso di Spade.
- Lo incontrerai in questa notte di Plenilunio. Cercalo nel locale dove vi siete conosciuti - .
L'avventrice osserva questa Divina che nella sua immaginazione ha già assunto sembianze da eroina di una Fiaba, anche se in cuor suo non crede che si tratti di una creatura tanto diversa dalle altre.
- Magari fosse vero. Ne è proprio sicura? - . Bisbiglia.
- Tu devi venerare il Dio Thot, per entrare davvero in comunicazione con il simbolismo delle lame.
Quando lo ascolterai, ogni cosa ti sarà svelata, purificata e sarai arrivata al termine del doloroso viaggio - .
Uscendo dal castello, Maria si sente subito sollevata.
I suoi pensieri si sono improvvisamente schiariti e rincorrono scenari diversi, sobri e sereni, dove l'infezione e l'affatturazione odorano solo di lontana bestemmia.
Oramai è sera e deve prepararsi per l'incontro.
Tira fuori da un'enorme scatola infiocchettata con un nastro rosso, l'abito che Lui le aveva regalato tempo addietro, come dono per il suo compleanno.
Lo scarta con cura dall'involucro di carta velina.
E' uno Chanel in taffettà di seta nera lucente.
Una nuvola preziosa e frusciante multistrato; più raffinato di qualsiasi altro vestito avesse mai indossato.
Lo fa scivolare sulle spalle e sui seni appuntiti.
Con il suo portamento e quel capo addosso, ancora rimane al centro della scena, nonostante abbia superato già da qualche anno i quarant'anni.
Un velo di rossetto, un tocco di cipria, mentre continua a pensare alla Regina rinchiusa nel suo maniero fatato, che aveva garantito un effetto felice al suo sventurato destino.
Finalmente entra allo Zenzero Club, inebriata dal profumo denso e maschile di sigaro e di spezie.
Come presagito, lui è appoggiato al bancone del bar.
E' ancora un uomo molto affascinate, con quelle strisce d'argento che gli attraversano i capelli scuri e ondulati.
Ha lo sguardo immobile rivolto verso il bicchiere, le palpebre pesanti e chiuse su occhi dove traspare la totale mancanza di luce.
Come se avesse messo da parte la sua faccia vera, quella che riflette lo spasimo degli eventi vissuti, una sorta di maschera a coprire la Storia finita ed il loro Amore.
Forse sta aspettando quell'altra, ed è triste perché non è ancora arrivata.
Lei lo osserva minuziosamente da lontano: possiede l'arcana pacatezza di quelle corolle di lilium funerei a testa di cobra, i cui steli bianchi fuoriescono dai petali di consistenza carnosa e sensibile al tatto, come un foglio di carta patinata.
Maria si fa coraggio e lo avvicina.
E' splendida nel suo Coco, sinuoso e nero.
Lui si volta e incrocia i suoi occhi, in un modo che non aveva mai visto.
Ha uno sguardo carico di pura carnale lascivia, il viso accalorato ed i muscoli del collo tesi come sottili fili di ferro.
Per la prima volta lei coglie dentro di se un potenziale sconosciuto di corruzione che le toglie il fiato.
E' lui Thot, il maschio enorme e gigantesco, con profondi occhi neri ed immobili come quelli che gli egizi dipingevano sui sarcofagi.
La tensione le attanaglia lo stomaco presa dalla fantasticheria che la sta inebriando.
Qualcosa è cambiato.
Iniziano a parlare, piano.
Forse non si erano mai veramente conosciuti, dimostrando l'incapacità di aprirsi reciprocamente.
Persi nelle loro solitudini e nel tempo che passava, non riuscivano a squarciare le tenebre delle loro anime, neppure quando stavano insieme, avvinti.
Nemmeno quando entravano l'uno nell'altro, frammenti di puro desiderio.
Come insegna il Dio di Luna, Sapienza, Magia, Scrittura: solo agli asceti ed ai moribondi è concesso di farlo. E loro ora possono. Passano la notte a trovare le risposte.
E' di nuovo mattino e Maria si reca al castello.
Le fiamme dei candelabri accesi emanano spirali di fumo sulle pareti e sulle vetrine zeppe di ninnoli d'argento, mentre una nenia d'oltretomba si mescola al crepitio dei ciocchi di ciliegio, scoppiettanti nel camino.
I pesanti drappeggi agli scuri lasciano entrare raffiche brillanti di luce della prima aurora.
La Regina di Spade è già seduta in postazione, senza il mazzo di carte.
Sopra di lei un Mantegna raffigurante un Arcano Minore.
Ha il viso riversato da un lato sul triangolo di tessuto rosso, i capelli argentei e scomposti sul piano del tavolo.
- Buongiorno - . Saluta Maria sedendosi nella poltrona in tessuto di Borgogna di fronte a lei.
Nessuna risposta.
Le braccia sono abbandonate in grembo, le unghie corte e sfaldate.
Appare meno bella e appariscente.
Molto più vecchia e consumata, ma davvero umana.
Non dorme.
E' scivolata nel sonno fatale sulle carte del destino, così maneggiate, usate e rovinate dal continuo rimescolare. Tanto che oramai non è più possibile discernere l'immagine impressa su ciascuna di esse.
La protetta sta per andarsene, quando con la mano scorge un piccolo cassetto sotto il lembo di tessuto vermiglio. Allunga il braccio, accorgendosi di avere dita accurate ed unghie lunghe e ben limate.
Tocca una molla segreta e scatta un secondo scomparto dentro il primo.
Dentro c'è una piccola busta da lettere, sigillata con ceralacca.
Spinta dalla curiosità più smodata strappa la custodia.
Leva una sola carta: La Regina di Spade.
Il simbolo della riflessione chiara e profonda di una donna che lotta per mantenere il suo equilibrio e preservare la propria dignità. La comprensione totale che domina le azioni, la felicità conquistata con spiccato senso del dovere e del sacrificio.
Maria si avvia al portone d'ingresso, fermandosi di fronte un enorme specchio dalla cornice antica.
Alza gli occhi e si rivede, con immenso stupore, com'era una volta.
A vent'anni.
Il viaggio è finito, lui è tornato a casa.
Rossogeranio