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Racconto n° 2785
Autore: ElisaN Altri racconti di ElisaN
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Venti centimetri
Ove il tempo si sfilaccia veloce, nella requie incontrastata dell'attesa sibillina di una campanella, in quelle mattine fresche e colorate di rosa, ove i profumi invadono i cortili ghiaiosi e la brezza trastulla le zigrinature del fogliame.

La camicetta si appiccica al torso intirizzito, delineando il fascino della magrezza puerile. I seni si rizzano accalorati da un incontro azzardato, mentre l'estremo di una gonna plissettata denuda la carne liscia e giovane delle ginocchia. I calzettoni traforati strizzano leggermente le rotondità dei polpacci, eludendo la visione integrale della gamba.
Poco più di venti centimetri di carne umana e femmina, ripiegati sui vecchi scalini del liceo classico, in un mondo sciolto in livide spensieratezze inconsce.

La sigaretta salta da una mano all'altra. È ancora spenta. Lei la guarda, con gli occhi sgranati e grigi, in attesa di farla ardere al rombo della sua moto.
Crederà di essere grande e donna, con il rossetto fucsia rubato dalla trousse della madre, di quelli che si trovano nelle riviste, sempre un po' scadenti ed oleosi.

L'estate irromperà giocosa nella sua esistenza fra meno di due settimane. In questo ultimo giorno di scuola, senza zaino, senza interrogazioni, con i compiti già assegnati e la malinconia di salutare le più care amiche e di non vedere più lui.
Quel suo giubbetto in pelle nera che sfida il freddo del Settentrione ed il sole dei caldi improvvisi e brevi. Il casco sollevato sul capo per non rovinare il capello ingellato, quel piercing a freccia d'acciaio a traforare l'orecchio.

Il solo pensiero di ammirarlo frangere le acque metaforiche di sassolini la fa emozionare, avvampare di un amaranto infervorato.
Il vento fresco la fa trasalire nel gioco dell'altalena termica, mentre i venti centimetri di pelle si sollevano in papule ubriache di passione e tremore.

Guarda i mocassini blu e desidera sprofondare, per la vergogna.

Due mesi prima ha soffiato diciotto candeline rosa, attorcigliate su se stesse, infilate in fiori di plastica del medesimo colore.
Si era sentita annaspare tra le fette di torta panna e fragola che sua madre sezionava con cura esasperante, quasi che se una porzione fosse stata più grande di un'altra, avrebbe causato lo scisma parentale.
E ancora quella distribuzione oculata e severa del dolce, come un soldato addetto al rancio militare. E gli zii, i nonni, i cugini tutti, affondare le grinfie nel dolciastro, inzaccherandosi con la crema della sua maggiore età gli angoli della bocca e costellandosi di semini dei frutti i denti posticci.

Lo stomaco le si serra in una morsa dolorosa, mentre gli occhi le si srotolano lungo le calze.

Sa che non potrà mai piacere a lui, il figo incontrastato del liceo, il mascalzone maledetto della compagnia. Lui, che fa cavalcare la sella della sua motocicletta da amazzoni furiose, col jeans strappato sul culo e il tacco affilato.

Si rannicchia sugli scalini, nel silenzio omertoso di un cortile disanimato.

Lei, che viene dalla provincia, si riversa in città con un pulmino congestionato di odori e grida imbiancate, giungendo in vergognoso anticipo nell'eremo incantato dei superiora ed osando, con soli venti centimetri di pelle nuda e due mele scarlatte al posto delle guance.

Attende, ogni mattina, solo per vederlo, un istante.

È un fremito, un organo che vibra, in questo attimo che anticipa l'arrivo, come nel dì precedente la festa, ove i preparativi concitano gli animi degli affaccendati.

Un rombo frastornante ruggisce dalle fauci del tubo di scappamento sbuffi di fumo nero.
Lei si volta di scatto verso la salita cespugliosa che conduce al cancello arrugginito della scuola. Una ruota gommata fende lo spazio antistante, seguita da una carrozzeria giallo sole e lui, senza casco, col volto mascherato da lenti scure, disarma il torpore mattiniero.
Sgasa, con un sorriso furbo e malandrino, strisciando di rollii di polvere secca il candore della ghiaia.

Sente il cuore guizzarle fuori dal petto, in un tamburellare incessante e frenetico.
La sigaretta le scivola dalle dita.
Sudore di ghiaccio lambisce le grinze della pancia.

Lui parcheggia, sotto il maestoso faggio, domando la bestia motorizzata con sapienza.

La palla di fuoco fiammeggia nell'azzurro del cielo, la sigaretta continua a rotolare sugli scalini adombrati, il vento scomoda felice le fronde della verdura imbellettante.

Il silenzio impera, scavando una voragine desolante fra i due.

Pochi passi per raggiungerlo. Un voltarsi distratto per incrociare i suoi occhi.

E poi ripensa ai suoi calzettoni, alla gonna plissettata e a tutto quello che non potrebbe mai diventare.
Sente di detestare gli abiti che sua madre le prepara ogni sera sulla seggiola, i poster e i peluche che costellano la sua stanza, in una dolorosa cristallizzazione dell'infanzia. Si sente aggredita da quei diciotto anni compiuti solo per l'anagrafe e da quel marchio indelebile di - secchiona - .

Accaldato, lui si denuda del giubbetto da velista paninaro. L'ultimo giorno di scuola è speciale per ogni cosa, anche per lo sfoggio dei nuovi acquisti.

Ad ogni addio, d'altronde, ci si agghinda com'è d'uopo.

Il vento soffia sferzante. Invade il vuoto separatorio senza alcuna eleganza.
Lei viene travolta dall'alito della natura.
Il plissage della gonna si gonfia smodatamente, fino a rivoltarsi indietro, investendole il viso.
Un gridolino irriverente le sboccia dalle labbra dipinte.

Lui si volta.
La guarda.
Venti centimetri diventati lunghe e smaliziate cosce.
Una meraviglia illibata e intoccabile si sostituisce a quegli squarci irriverenti di chiappe altre.

Un profondo desiderio di carezzare tali segretezze lo invade ed accende.




Le spensieratezze sono scivolate via assieme al tabacco di quella sigaretta e agli esami di maturità.
Lui porta ancora giubbetti in pelle, gioca a fare il centauro, caricando donne con le natiche in bella vista.
Lei non ha più chi le scelga i vestiti o le sezioni la torta di compleanno. La gonna plissettata l'ha data in beneficenza ed ora indossa jeans strappati e tacchi a spillo.

Insieme hanno trascorso un anno di vita e proseguono, a intermittenza.

Se siano felici non è dato sapersi.







ElisaN

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