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Racconto n° 2789
Autore: Rossogeranio Altri racconti di Rossogeranio
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Il Giardino dell'Eden
Un nuovo tramonto, pallido e lacero.
Si assottigliano le falci di rosa e di malva alla ricerca della voluta arcana di una luna immobile, che presto comparirà tra le tenebre.
Un cielo triste da sciupare il cuore, l'ultimo commiato del sole.

Forse non rivedrò più la vera luce, il globulo sgonfio che va svanendo nelle sue ombre allungate al Nadir.
Quel vuoto immenso, l'immagine del nulla che sparisce dietro una vecchia Passione.
La parcella fatale destinata nella sua trasformazione a subire la vendetta di uno spirito esausto che scivola via, cullato dalla sferza del vento e della sabbia marina.

E' una di quelle sere che ti guardi attorno e vedi le cose come se gli occhi stessero per caderti dal pianto.

Aspetto, ma tu non arrivi.

Il mio Angolo è posto alla fine del corridoio, animato da noi due, un presunto e forzato nucleo ragionevole.
In realtà è una gabbia per me, interprete dell'altra metà della specie.

La rassegnazione s'insinua tra le crepe dell'intelaiatura delle finestre tanto che qui, il profilo solitario dello spazio che noi abitiamo, vacilla e si disperde sul cortile vuoto, recintato da vecchi gelsi nodosi.

Ieri è successo ed accadrà anche oggi.
Qualcuno canta - Amami per sempre - , ma io non ne sono convinta.

Ti detesto come questi violini che frenano di colpo.

Arriverai come sempre dopo mezzanotte.
Annebbiato, sfibrato e spento.
Ti toglierai la giacca con indicibile lentezza, sfilerai i pantaloni e la camicia e invece di abbracciarmi, ti ficcherai nel letto, con uno di quei tuoi libri strani, Vangeli apocrifi guarniti da sentenziose raffigurazioni.

Ho sempre conosciuto la tua normalità, ma adesso sono al limite, sta dilagando in me un violento impulso di ribellione.
Desidero ardentemente un Regno che non vuoi concedere.
Mi sento estranea e quasi avulsa.
Prima ti spedirò al mittente, tanto in fretta tornerò a governare sui miei sudditi e sui desideri, che potranno divenire frutti gustosi e proibiti.
Questo è l'unico inconfutabile delirio al quale mi sono votata.

Mi siedo qui, quando la prima stella brilla attraverso la gelosia laterale ed il mare è tavola ferma ed incantevole, pensando a ciò che dovrò dirti.
Ho fatto un passo in avanti ed ho compreso la strana barriera che si frappone tra partorire un'azione e farla.
Riconoscerò il mio compito di decidere e, solo a questo prezzo, smetterò di essere debole e riconquisterò il mio diritto ad un posto nel mondo.

In fondo i cervelli poco complicati non mi attraggono follemente.
L'avventura e l'ignoto con te non sono mai esistiti e non serve più tagliare, sfrondare e buttare nel cassonetto i rami scomposti.

Io amo le inclinazioni che adottano nicchie selvagge, gli angoli incolti ed i pruni selvatici.
Esigo qualche bizzarro ingegno che cresce spontaneamente in direzioni scoordinate.
Il mio Eden deve avere qualche recesso nascosto, vero nascondiglio nel Paradiso rigoglioso.

Dovranno peregrinare almeno due Vipere, le fonti di un umore ignoto, di cui nessuno abbia ancora scandagliato il fondo.
Quei rettili che si muovono in un sistema veloce di contorcimenti piatti e trasversali, precisi come colpi di frusta e lasciano dietro di loro un'increspatura leggera sulla superficie.
Nell'attimo terribilmente breve, che nessun altro potrà mai fissare e descrivere.

La Mela enorme ed asprigna che tu mi hai donato mi ha reso sconsolata e spinta all'istante in una terra d'origine sconosciuta, l'arco allentato dove non c'è musica per me, pianista dalle dita mozzate da licenziosi e scontati compromessi.
L'Eliso della mia segregazione forma un'unione inorganica: la mescolanza focosa tra riti arcaici e moderne tecnologie, testimoniate dal Minotauro insediato sul deskop del mio computer.

Continuo a vivere in una dimensione senza focolare, dove maledico, frantumo, polverizzo e rincollo la mia voglia prosperosa, nella brama di un empireo magico e trascendentale.
La mia custodia solitaria e giornaliera di una Creatura affetta da una terribile contrizione.

Stasera sono di pessimo umore ed alle mie abitudini personali si potrebbe muovere più di un rimprovero.
Lo sguardo sta spiando nello specchio indovino, lanciando i primi strali silenziosi del mio prossimo assalto.

Il vestito di stretch mi calza come un guanto, le dita vibrano, mentre sfioro la stoffa.

Arriverai con un mezzo sorriso ed una litania soporifera di lamentele.
Con il solito immancabile incunabolo sotto braccio, che ti porti appresso in una maledizione letale solo per l'habitat ed il significato che occupa.

Sarà essenziale nella tua regola del sabato sera, provvedere con una formale ostentazione di sartoria: la giacca doppiopetto dalla linea impeccabile, la camicia bianca design londinese e la larga cravatta intonata con la sfumatura del tessuto.

Il tradimento per piattezza sostanziale che ogni volta, puntualmente, concedi.
Mi hai elevato oramai in una dimensione ritrita e primitiva.
Ho deciso che la farò finita.

Suona la mezzanotte e due fari luminosi ingranano il vialetto del giardino.

Sembrano fatati; il fuoco si leva in due lingue di fiamma, come corna incendiate di un cervo fiabesco.

Appari sulla soglia guardandomi in una maniera strana.
Con una selvatichezza ed un odore che mai ho conosciuto.

Questa sera nel tuo nuovo travestimento di nudità e luce della ribalta sembri rispondere alla traiettoria della mia meteora, verso il limite massimo delle nostre esistenze esacerbate, su nell'infinito, alla sommità della Storia e della Vita.

Mi spingi brutalmente sull'alcova nutriente e florida.

Sei dannatamente bello.

Il tuo mento fa concorrenza alla statura altera.
La testa contiene i più incedibili disegni, ingranaggi pazzeschi e infinità di carrucole per sollevare gli umori e creare abbracci inverosimili.
I lobi delle orecchie hanno la stessa delicatezza delle mani, come conchiglie dalle cartilagini tenere e trasparenti.
Il collo è un concentrato d'effluvi dall'odore virile della pelle, sotto il calore dei capelli lucidi e setosi.
Il petto distende la sua grana solida, offrendo un tappeto soffice di muschio maturo e spontaneo.
La bocca tumida e piena, assicura il succhio in dissolvenza, accucciandosi con una vulnerabilità spaventevole e commovente tra le mie labbra.

A parte cazzi e libri, sei tu il Centro in cui voglio restare.

Ti scruto con il mio binocolo, osservando le tue fauci socchiuse al vento di questo Universo ingombro.
Tu sei la noia che amo, l'ebbrezza di non conoscere mai l'antro dell'antefatto del godimento, la piega segreta celata nel tuo rifugio nascosto. Sempre inaccessibile, quando il mio respiro si allenta.

Mi fai eccitare.
Aprirti le gambe e posarci i miei fianchi.
Sbattermi dentro il tuo sesso tiranno e scivolare sulle sponde delle tue acque saline e tumultuose, nel più grande tsunami complesso che ha segnato la nostra versione cosmologica e biblica, luminosa e profumata di lussuria.

Stanotte il tuo corpo ha il colore della luna, il tuo culo accende i miei desideri e di te voglio la fusione irresistibile, persa nel rampicante silvestre dei tuoi occhi.
Le tue mani mi rendono felice ed il mio sesso si riempie di sangue e della tensione di esistere, in stato di grazia e beatitudine.

Non ho niente da dare, tranne il mio restare con te, supina, in angolo retto con la spina dorsale.
Un filo bianco dell'astro pende dall'inferriata e rischiara con un succulento glassato bagliore quel poco che ho da offrirti.
La visione in sequenza di custodie cinesi, una spirale di carni che stanno aprendosi una sull'altra e ti trascina nel mio Giardino segreto, profondo, che continua a recedere ai tuoi occhi.
Siamo in Caduta libera, il primitivo furto del frutto, l'Ultima e la Prima destinazione.

Mentre gli orli degli abiti reclinano il loro capo sulla sedia come i punti di un ricamo che si disfa, cede il Pomo della discordia rotolandosi per le nostre Vite.
Con il fiato corto e la carne infiammata riusciamo a rimanere in alto, nella polarità di una siepe di caprifoglio rorida d'umori, dove imperano due indici inquisitivi ed inzaccherati, legati e congiunti tra loro.
Due Serpi attorcigliate con la lingua biforcuta.
L'indivisibilità.

Prendimi in tutti i modi che è possibile inventare.
Nell'Eden Originale, io sono la nuova Eva e tu il mio unico Dio.
Il mio Signore.

Rossogeranio

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