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Racconto n° 2891
Autore: Alemar Altri racconti di Alemar
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Isola, riparo e mare
Le lingue del fuoco disegnavano strani vortici sulla parete di pietra, quel tepore lambiva le ruvidità del muro restituendo loro una levigatura addolcita dal tempo. Il corpo suo di lei, rovesciato in quella posa, raccoglieva le strade che gli anni avevano reso interessante. Stesa sulla pancia, morbida e disponibile al contatto della pelle sul tappeto sopra il pavimento di legno, nodoso e spesso, irregolare e odoroso di cera vecchia. Guardava l'uomo il suo contorno, ne carezzava con gli occhi il percorso, imparandolo a memoria per i momenti futuri e malinconici della sua assenza. Gli occhi lì, posati senza pressione, con lentezza e calma apparente, forgiavano forme sempre diverse, e attraverso il filtro dei sensi, ne reinventavano curve e morbidezze.

Gli occhi della donna incontrano quelli dell'uomo.

Il bagliore del fuoco nel camino riempiva e screziava l'iride, già consumata dal desiderio di possedere e di essere posseduta, quando l'uno non esclude l'altro, quando l'uno è il proseguimento dell'altro. Lui la guardava, steso sul tappeto a pancia sotto come lei, ad una distanza che permetteva di osservare l'insieme, rapito dal rincorrersi delle sfumature del fuoco, disegnate sulla curva della schiena. La guardava senza parlare. Davanti a sé, la donna con il corpo appena appoggiato sui gomiti, e sul suo finire, le gambe sollevate al ginocchio incrociate e protese verso i soffitti alti, bui.

Con gli occhi quasi chiusi, lei domanda con mugolii poco soffocati, che il calco modelli la creta, in tutta la sua pienezza. E la mano rapita comincia la sua danza sulla pelle, lo scultore affonda a pieno palmo nell'incavo del fianco, ne rimpasta la carne, e sogna...sogna di profumi di terre lontane, che il colore d'ambra gli riportano alla memoria, ai sapori di un'isola visitata da ragazzo, con altri volti, altri gesti.

La donna segue le carezze, cerca l'affondo del muscolo tra le dita di lui, avanza e ritrae il peso nel dondolio perso del tempo, umori lontani e primitivi, cominciano a cambiare il codice cifrato dell'odore della pelle, rendendolo più carico, dolce, suadente. Messaggio di disponibilità sessuale, voglia primordiale di essere una sola carne, un solo fuoco nel fuoco.
Le dita ripercorrono la colonna, fino alla nuca, ne massaggiano la base, affondano e riprendono la pelle, è il morso del maschio sul collo della femmina, per braccarla, e possederla. Coprirla. Perché sono animali istintivi, e d'istinto si prendono. E s'amano.
La donna trema e si lascia toccare, spinge umida il bacino verso l'alto, a cercare le dita del suo uomo, vibrante corda di uno Stradivari. L'uomo preme ma non affonda, schiaccia ma non serra, gioca con la goccia di perla che ricopre il dito indice per tutta la sua lunghezza, la riporta tra le altre gocce, a ne assapora col proprio olfatto, l'aroma. Che sa solo di quella donna, persa del desiderio di lui. I reni si inarcano fin dove possono, i glutei sembrano una luna piena e grande dai quali tutto appare lontano, satelliti di un pianeta poco conosciuto.
L'uomo affonda il respiro in quella spaccatura, aspira il vibrante odore di femmina che ne scaturisce, chiude gli occhi e bacia la donna lì, nella sua bocca più intima. S'uniscono le salive in una spirale di baci bagnati, dove piano lui morde le labbra, come l'animale che non lascia il segno dei denti.
Respira ed ansima lei, ansima forte il desiderio di aprirsi e accogliere più a fondo possibile e morire in quella bocca. Dare alla lingua il suo nettare bianco, opalescente, di brivido nato piano, in un angolo di memoria. Si inarca e spinge, si ritrae, riprende corsa e slancio e si offre ancora alla bocca, una volta, un'altra, un'altra ancora. Avverte il tremore della carne salire dalla testa e percorrerla nel collo, solcarle le spalle, carezzare la colonna, brandire il fianco e morire tra le cosce, nel tremore del suo fiato, che la scalda, la riempie, e la fa rabbrividire. L'orgasmo cavalca le onde di quell'oceano, come il vento in una gola, e allora lui si ritrae, con la lingua e con il respiro.

Aspetta. Attende. Ascolta.

I reni riducono la spinta, ritornano doloranti, in posizione naturale. La donna si abbandona sulle braccia, porta le mani sulla guancia del viso poggiato di lato, sul tappeto, sopra il pavimento di legno. Davanti al camino.
L'uomo raccoglie e respira i frammenti nell'aria, accostato alle sue gambe le carezza la schiena, con il dorso della mano. La luce è ancora piena e gialla, e rende gialla la coperta di pelle che lei è diventata. Coperta di seta preziosa, liscia, dolce, e qui più dolce. Ascolta tra le mani il suo respiro, suona il suo violino con le dita sul costato, segue con l'unghia arrotondata il profilo del suo seno, raccoglie la morbidezza della coppa che si offre di lato, e lì la bacia, di fianco al capezzolo, fin su, nella parte d'ombra sotto l'ascella.
E il brivido ritrae la pelle.
Un sorriso che non può nascondere, illumina la stanza di gioia profumata di legna che arde, come la passione dei due amanti, che qui, e qui soltanto, giocano a respirare un solo alito di vita, come se quell'alito li reggesse entrambi. Appesi. Sospesi. Fluttuanti nel desiderio di fusione.


La carezza si fa ora più indulgente, raccoglie le malizie del corpo che ritorna a cercare l'aderenza assopita. La mano sfiora, la pelle risponde e rapisce il suo negativo, aderendogli. La mano segue il fianco, leggera ma presente, affonda ancora nell'insenatura sopra la vita, segue la curva e ritorna a farsi vento nella gola, a inizio primavera. La musica conduce il gioco di rincorrersi e lasciarsi, come se ridesse birichina e sorniona, come se il sottile gioco di seduzione non avesse mai fine né inizio, ma fosse sempre stato lì, in attesa di loro.
La donna cerca la posizione migliore per offrirsi, per dare agli occhi del suo amante la musica della loro canzone, e aspetta, ad occhi chiusi, l'affondo.
Lui ritorna a percorrere il pentagramma con la bocca calda e colma di note, a piene labbra affonda sopra i reni, e a carponi su di lei, ricomincia la danza dell'amore che li unisce. Riprende a troneggiare il gluteo, sfacciato e prepotente, che dondolando reclama attenzione, La mano sorride, come il volto dell'uomo, che guarda e riempie gli occhi del corpo della donna.
La sua donna.
Sopra di lei, reggendosi sulle braccia, l'accarezza, facendo di carezza la sua pelle, tra la pelle. Il desiderio è acceso come la fiamma, chiama e canta dai pori dell'epidermide baciata di saliva e luce di camino. Riprende il dondolio, l'altalenante darsi e sottrarsi, prendere e dare, dentro un dualismo scritto a fuoco dall'amore.

Si insinua lui, lento e capace, tra le gambe, in cima alle cosce. Lei cerca la presa del muscolo, si strofina come gatta viziata e sorniona, solletica, spinge, gioca, si ritrae.
Ma dentro sale la pressione di un cuore che pompa accelerato, fuori tempo, oltre il desiderio che toglie razionalità, restituendo al suo posto, adrenalina impazzita.
La danza riprende, lenta ed estenuante, inarrestabile.
L'uomo accoglie e si fa isola, riparo e mare al tempo stesso. I reni spingono quasi allo spasmo, cercano, pretendono.
L'uomo accarezza con il ventre il sedere della donna, ne firma di desiderio pieno e duro, la pelle. Si riappoggia, si fa strada e si ferma. Ascolta ancora la musica del respiro di lei che gli giace sotto, pronta per essere presa, per essere lei stessa come lui, isola, riparo e mare. I corpi ora aderiscono come perfette metà combacianti, l'uomo le giace sopra, immobile, nell'attesa del suo spasmo massimo, colmo della voglia di essere la chiusura del cerchio perfetto.

Il tempo dei giochi lascia lo spazio all'affanno del respiro sospeso nell'indugio. La donna si solleva ancora, chiama e si fa richiamo. E' aperta, spalancata all'amante, come la sua bocca in cima alle cosce, lubrificata dagli umori del suo corpo, che attende la collisione dei pianeti.

E il tempo si ferma nell'affondare al ritmo del suo cuore, sprofonda nella carne calda e accogliente, e diviene tra i sospiri, sua isola, riparo e mare. Il sesso pieno e fermo aderisce alle sue pareti, senza sforzo, senza vuoto, Perfetto, calco sul suo calco. Fagocitato dalla dimora lussureggiante che vive in lei.
E' l'attimo più bello, quando di due corpi si fa un'anima, un cuore, un unico vibrante desiderio di vita.
Piano lei diventa terreno fertile, morbido, dove lui può farsi aratro e lavorarla, prepararla, e infine seminarla, nell'apice di una rincorsa a perdifiato senza meta, dentro il corpo di lei, che spinge e non trattiene, donandosi, completamente, senza fine. La rincorsa si fa in salita, verso la cima della montagna, ed è un avvicinarsi alla vetta per mano, percorrendo il sentiero a pari velocità, con la sincronia che li unisce e li accompagna fino in cima.
Il mondo visto dall'alto dà le vertigini, lui chiude gli occhi e in un ultimo disperato affondo, muore in lei, tra le pareti della sua carne calda e bagnata dell'orgasmo di entrambi.

Il corpo giace sul corpo, il respiro aderisce al respiro; le mani si incontrano e s'uniscono stringendosi e fondendosi, come loro, su quella montagna. Gli occhi chiusi raccolgono gli stessi pensieri di gioia e senso di completezza. Tutto ritorna al suo ritmo, tutto riprende la sua forma, solo i due amanti non si scostano l'uno dall'altra. Perché sono un'unica cosa.
Sono ora isola, riparo e mare.

Alemar

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