Lei mi toglie dalle mani il libro che sto leggendo. Le è sempre piaciuto mettersi tra me e la lettura, tra me e quello che amo fare, i miei interessi. Almeno per un attimo ha la sensazione di essere al centro del mio momentaneo rapimento.
- Assente, il tuo volto si dilata tanto da colmare l'universo. Passi allo stato fluido, quello dei fantasmi. Presente, si condensa; e raggiungi la concentrazione dei metalli più pesanti, l'iridio, il mercurio...-
Ridendo le chiedo di aspettare un attimo, voglio finire la frase, verificare la pesantezza del suo volto concentrato nella più comune delle espressioni.
Il disappunto.
Non me lo permette e mi costringe a guardarla.
Mi rendo conto allora che non è solo disappunto, è voglia di stare al centro della mia attenzione spasmodica, come se lei fosse la stessa storia che mi sta portando via, anche solo per il tempo necessario ad arrivare all'ultima pagina.
Adesso posso vederla come un intreccio di parole.
Posso vedere le sue cosce sode, i peli biondi del pube, il seno piccolo, le spalle strette e ben fatte. Ho fatto finta di non accorgermi che era già nuda, forse perché volevo godermi il piacere sottile di leggere quelle parole con lo sfondo leggermente sfuocato del suo corpo.
Magari proprio perché volevo suscitare la sua reazione.
Mi spinge sul letto, senza dire una parola, ed io faccio uno sforzo sovrumano per non sorridere, assumo un'espressione offesa che non sarebbe in grado di convincere nessuno.
Lei stessa ha già capito che può avere tutto, come al solito.
E così lascio che mi spogli, la guardo mentre lo fa con il mio broncio ridicolo, come se non mi stessi già dimenticando della mia storia, del mio libro e di chi lo ha scritto trasformando frasi e periodi in particelle di un'opera d'arte.
Mi sto eccitando, irreversibilmente, ho già voglia.
Lei viene sopra di me, fa scivolare una gamba tra le mie, appoggia il suo sesso alla mia coscia. Vuole che io senta la differenza tra i miei sogni di carta e la realtà del suo corpo.
La sento, infatti, mi sta già bagnando di sé, mi arriva l'odore, mi entra dentro.
Non so per quanto tempo ancora riuscirò a resistere nella mia pantomima, ho già combattuto troppe battaglie contro la sua sensualità inconsapevole che adesso ho solo voglia di perderle tutte.
E ora che si muove appena, chinandosi su di me con le labbra che sfiorano le mie ancora serrate, so che sto già fallendo.
La cingo con le braccia, la stringo troppo forte, forse, ma lei non protesta. Sa che mi sono arresa ed io sorrido, finalmente.
Allargo un po' le gambe per approfittare dei suoi movimenti lenti e ripetitivi, apro la bocca per accogliere la sua lingua, le permetto di prendersi tutto il piacere che vuole.
Lo fa strofinandosi contro la mia gamba, per il momento, con la bocca aperta, il respiro un po' affannoso, guardandomi negli occhi solo a tratti e lasciandosi guardare.
L'accompagno posandole le mani sui fianchi. Adoro vederla così. Amo stare sotto di lei e godermi lo spettacolo, così come amo leggere i libri più volte e scoprire sempre nuove sfumature. Una frase che mi era sfuggita, un significato che non avevo colto.
Come adesso che mi fissa più intensamente e si passa per un istante la lingua sulle labbra. Sembra uno sguardo di sfida, vediamo se riesci a fermarmi, sembra che mi voglia dire.
Mi fa sorridere ancora. Non voglio fermarla, voglio farla godere. Questa piccola peste, gelosa dei miei interessi e delle mie sciocche abitudini, ansiosa di recuperare il dominio assoluto della situazione con la sua carta vincente.
"Vieni un po' più su", le dico.
Lei abbandona la sua posizione preferita, si sposta poggiando le ginocchia all'altezza dei miei fianchi, si china di nuovo su di me e avvicina il seno alla mia bocca.
Le prendo un capezzolo tra le labbra e comincio a succhiarlo, studiando ogni suo più piccolo sospiro.
"Così, ti prego...", le sento dire.
La conosco a memoria, so cosa le piace, eppure la sua voce supplichevole, rotta dal piacere, mi sembra ogni volta diversa e ogni volta mi provoca uno spasmo di eccitazione violentissimo che mi spezza il respiro.
Avverto la mia voglia crescere, farsi liquida, avverto l'impazienza insinuarsi tra i miei programmi. Volevo farla aspettare un po' prima di farla venire, prima di permetterle di dedicarsi a me. Adesso non ne sono più tanto sicura.
Si appoggia di nuovo al mio corpo, con le gambe spalancate, la sento, bagnata, sulla mia pancia, ricomincia a muoversi e sorride del suo trionfo imminente e del mio sguardo perso, smarrito nella contemplazione.
I miei fuochi si accendono sempre tutti di colpo.
- Bruciata da più fuochi... Bestia stanca, uno staffile di fiamme mi colpisce le reni. Ho ritrovato il vero senso delle metafore dei poeti. Mi sveglio ogni notte nell'incendio del mio stesso sangue.-
E' lei, in questo momento, la trama da seguire fino all'ultimo respiro, il ritmo della narrazione, la punteggiatura sapiente che mi prende per mano e mi porta dove vuole, tra le parole che s'incrociano.
Il libro giace rovesciato sul pavimento.
Le mie mani adesso la accarezzano da dietro, tra le gambe, cercano le sue aperture. La sento già al limite, ma non voglio esagerare, voglio conservarla intatta per la mia bocca. Voglio il suo profumo e il suo sapore.
"Vieni più su, ancora..." la prego.
Si avvicina, sembra aver capito cosa desidero, ma al tempo stesso sembra aver preso in prestito la mia tecnica di attesa e di alimentazione lenta del piacere.
Adesso cavalca il mio seno. Appoggiata alla spalliera del letto con una mano, si porta l'altra tra le gambe, la vedo divaricarsi le labbra con le dita e troneggiare alta su di me in questa posa oscena e bella da morire, terribile a vedersi, sconvolgente.
Sono troppo lontana per poterla raggiungere con la bocca, come vorrei, sono troppo vicina per non sentire il suo odore intenso, quello che porta con sé la voglia di godere, il miraggio dell'orgasmo che si intravede in lontananza, la sete.
Cerca affannosamente il contatto tra il suo clitoride ed i miei capezzoli, strofinandosi contro il mio seno, come aveva fatto prima con le mie gambe.
La mia eccitazione sta diventando incontenibile, al limite della sofferenza.
Questo non l'aveva mai fatto, la mia piccola peste, sta improvvisando, va oltre i miei insegnamenti e lo fa da amante navigata, consapevole del suo potere e delle conseguenze dei suoi gesti.
"La vuoi?", mi chiede, ancora con la mano tra le gambe, il sorriso malizioso di chi sa già la risposta stampato sul viso.
Una goccia le cola lungo la coscia e si ferma sul mio petto.
Questa volta non posso aspettare.
L'afferro per le cosce e l'attiro verso di me, faccio modo che venga con le gambe aperte sulla mia faccia. La sento tremare, la posizione le dà un dominio assoluto sul mio corpo, sulla parte più preziosa di me, quella che lei vorrebbe possedere più di ogni altra. E' sopra la mia testa, sopra la mia bocca, i miei occhi, il mio naso. Per un attimo sa che non posso fare altro che subire l'incombere prepotente del suo sesso.
E' lei al centro del mio mondo e nient'altro.
La accarezzo così con tutto il viso, la bocca aperta, la sto respirando. Lei comincia a gemere sempre più forte, il contatto appena accennato con la mia bocca la fa impazzire.
"Smettila, ti prego... voglio la tua lingua..."
E' nervosa ora, affannata.
Mi fermo un istante, le lascio sentire solo il mio respiro caldo. Poi le do quello che vuole con tutta se stessa, quello che anche io desideravo sin dall'inizio.
La esploro lentamente, le accarezzo il clitoride gonfio, mi riempio la bocca del suo sapore, ascolto ancora i suoi sospiri, la seguo.
Le faccio scivolare la lingua dentro più volte.
Lei, la peste, comincia a perdere progressivamente il controllo. Comincia a muoversi sulla mia faccia in modo irregolare, stranamente aritmico, il bacino agitato da una serie di movimenti involontari, una piccola ondata di contrazioni che precede l'orgasmo.
Sono sua, così, perduta sotto di lei.
Mi aggrappo ai suoi fianchi mentre viene. Sentirla gridare il mio nome è l'unico vero trionfo, il brivido profondo che mi trasmette la sua voce alterata dal piacere e la consapevolezza di esserne l'artefice.
Ed è bellissimo tenerla tra le braccia, alla fine, calda e tremante, dimostrando di averle perdonato ogni intrusione infantile nel mio mondo privato, cercando di farle capire che nessun altro interesse potrà mai portarmi lontano.
C'è ancora un'ombra sul suo viso.
"In fondo ti amo, no?", le dico, come se stessi parlando del tempo.
Lei sorride, splendida, baciandomi sulla bocca che sa di sesso.
"Adesso, amore, dammi le tue mani...", le sussurro.
I miei fuochi, imperterriti, bruciano ancora. Le parole, invece, si esauriscono progressivamente fino a spegnersi del tutto...
- Tu potresti sprofondare in blocco in quel nulla dove scompaiono i morti: io mi consolerei se tu mi lasciassi l'eredità delle tue mani. Soltanto le tue mani sopravvivrebbero, scisse da te, inesplicabili come quelle degli dei di marmo diventati polvere e calce della loro stessa tomba. Sopravvivrebbero ai tuoi atti, ai corpi miserabili che hanno accarezzato. (...)
Io bacio, all'altezza del polso, quelle mani indifferenti che la tua volontà non scosta più dalle mie; accarezzo l'arteria azzurra, quella colonna di sangue che un tempo sorgeva incessante come lo zampillo di una fontana dal suolo del tuo cuore.
Con brevi singhiozzi soddisfatti io abbandono il capo come nell'infanzia fra quelle palme piene di stelle, di croci, di precipizi di ciò che fu il mio destino.
The Traveller