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Racconto n° 3140
Autore: Alisa Mittler Altri racconti di Alisa Mittler
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Matinée
Ci sono mattine come queste, di fine estate; mattine lattiginose dove tutta la città pare cullarsi in una fuliggine chiara. Sono giorni in cui il mio nome, Allegra, mi sembra un'ironia stonata. Sarà forse la pioggia, che cade fine fine e, invisibile, la senti fin dentro le ossa.
Stamane tutto é bianco: la luce che entra dalla finestra, le pareti della stanza e le lenzuola, dove ancora si sente l'odore di Michele e di una notte che mi ha lasciato lividi sulla pelle. Mi avvoltolo nel bagliore; attraverso le imposte vedo solo uno spicchio di cielo color perla e piccole gocce ad ornare il vetro. La stanza da bagno, che mi abbraccia con i suoi vapori caldi, non riesce a lavar via i ricordi delle carezze, del sudore e dei morsi. Lo specchio obnubilato fa emergere solo il mio viso attraverso la condensa.


Esco per le strade di una Milano boreale, avvolta in una nebbia leggera già all'inizio di settembre. I fili del tram disegnano ideogrammi neri su cielo perla. Ma nel parco è un' esplosione di luce: l'autunno é giunto in anticipo e i platani e i tigli sono una sinfonia di colori arancio, di ocra e di giallo. Cammino con i miei sandali scuri, a fatica sulla ghiaia. I tacchi fanno crocchiare il tappeto fiammeggiante di foglie cadute anzitempo. Attraverso il soprabito aperto, il leggero tubino di cotone non basta a coprirmi.
E sento, o forse solo desidero, la carezza dell'aria sulla pelle, sui seni e sui fianchi. Penso a Giada. Giada, un nome petroso, per un corpo morbido e ambrato, che sa dei toni caldi della terra e delle foglie. Nessuno all'accademia é mai riuscito come lei a rendere su un foglio il mio corpo bianco, levigato. Lo accarezza con il carboncino o con la china, lo modella senza lasciare lividi.


Tengo celato, nel doppio fondo della cassettiera, un ritratto, dove nuda, di schiena, alzo le braccia a sciogliermi i capelli. Sul retro, vergata con la sua calligrafia tonda, da adolescente, vi é una dedica: "Ad Allegra. Baci".
Suono, salgo le scale consumate e proseguo lungo il balcone di una casa di ringhiera. Quando mi apre la porta, Giada indossa un accappatoio bianco, leggermente scostato sui seni. Un asciugamano rosso che le avvolge i capelli, facendola sembrare una donna orientale. "Ciao", mi fa con la sua voce un po' bassa e dall'accento con vaga cadenza del sud.


Entro in un appartamento da studenti. Sul tavolino briciole e giornali in disordine. Scosto un paio di jeans, un maglione e sprofondo sul divanetto, dove il tempo e la polvere hanno ingrigito i ricami damascati. Nell'aria c'é odore di sigarette. Giada ritorna dalla cucina con un vassoio dove stanno una teiera due tazze e due fette di torta. La guardo mentre versa il tè: mi fa pensare ad una stampa giapponese dell'ottocento.
Le sue mani di Butterfly scura mi porgono la tazzina con perizia. S'accomoda in silenzio su uno sgabello che dopo aver vissuto i fasti dell'impero si deve accontentare di una vernice d'oro rappezzata e di due leoni sdentati sui braccioli. Osservo la sua bocca mentre assapora il dolce che lascia in gola un retrogusto alcolico. Non parliamo.


Velocemente, con il tovagliolo si asciuga le labbra, fintanto che un raggio, dopo aver bucato la nebbia, riveste la stanza di una luce ambrata. Mi alzo a fatica dal divano e mi porto dietro lo sgabello. In un mondo che non é il mio, le faccio scivolare l'accappatoio lungo il corpo, finché il suo collo, che attira le mie labbra, mi costringe ad inginocchiarmi, in adorazione ad una schiena dalla linea perfetta.
Per la prima volta stringo i seni di una donna, materia morbida e soda, e le cingo la vita, finché la mia mano é guidata al suo ventre. Modulo le dita cercando a tentoni di condurla nei pressi del piacere. Le mie labbra indugiano sulla spalla, risalgono sul collo e si fermano a raccogliere una piccola goccia di sudore dietro il suo orecchio, finchè le mie braccia si incrociano ad altre braccia troppo lisce. Quando le nostre labbra si incontrano, assaporo una lingua leggera che non fruga con foga nella mia bocca, ma si incrocia alla mia gustando assieme il sapore del dolce.


Ci alziamo, una di fronte all'altra, Giada con una risata leggermente stridula, apre la lampo e mi fa scivolare il tubino nero fino alle caviglie. Contempla i miei seni così chiari in confronto ai suoi, sui quali un raggio di sole, ballerino, attraverso i disegni delle tende proietta origami. Con le mani sui miei fianchi, troppo leggere nel premere, gioca con l'elastico nero degli slip, e li abbassa lungo le gambe fino ai piedi.
Ora si é fatta seria, come se un'ombra fosse calata sul viso color della creta. Osservo i capezzoli induriti, il suo seno che si alza e si abbassa in un respiro affannoso. Affonda il volto nel mio sesso, sento le sue labbra morbide che percorrono la fessura liscia. Poi, sempre a colpi di lingua, apre le due valve per cercare il punto da dove il piacere inizia a scorrere ogni vena del mio corpo. Gioca con il mio clitoride mentre io, con le mani puntate sulle sue spalle, fisso i disegni della carta da parati che anni prima dovevano essere squillanti fantasie jugendstil.
Poi , stesa sul tappeto che sa di cicche e di polvere, con due gambe glabre avvinghiate alle mie, continuo a fissare gli strani disegni che l'umidità ha inciso sul soffitto. Mi ridesta il suono di una pendola rauca. Conto undici colpi appoggiando ad uno ad uno i polpastrelli alla gamba del tavolino poco distante. Nella stanza c'é quasi buio, come capita in queste stagioni incerte quando una nuvola va a coprire il sole.


La testa di Giada sul mio petto non pesa. L'asciugamano é allentato sui suoi capelli. Non fatico a sgusciare dal suo abbraccio senza destarla. Mi rivesto in silenzio e con i sandali in mano, per non far rumore, mi dirigo all'uscita. L'ultima immagine, prima di chiudere la porta, é la mia fetta di torta, avanzata nel piatto sopra il tavolino.



Alisa Mittler

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