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Racconto n° 3882
Autore: Pickingyourmind Altri racconti di Pickingyourmind
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Monique
Giorni, settimane, mesi. Tanto avevo atteso quel momento.
Saresti arrivata, finalmente: per donarti.

Innumerevoli le parole che erano servite, da parte di entrambi, a conoscersi. Esplorarsi, attimo dopo attimo, per condividere ruoli e curiosità.

La mail, la voce, i biglietti lasciati in zone conosciute. Gli ordini, da te sempre con precisione eseguiti, sempre diversi ed a volte capricciosamente bizzarri.

Un Autunno, caldo ma non eccessivamente, piacevolmente smorzato da un alito di brezza settembrina.
Il tuo viaggio in carrozza, sui lenti e mai rapidi mezzi ferroviari, era stato deliziosamente denso di aspettativa. Continuamente il mio cellulare aveva squillato, domandandomi ad ogni stazione che attraversavi, con una litania dolce di bambina, - A che ora vieni a prendermi ? - . E, sempre ti avevo risposto, sorridendo, glissando su un'indicazione certa.

Volevo amplificare la tua attesa. Niente conoscevi del mio aspetto; tanto sapevi delle mie particolarità. Sapevo che saresti stata in tensione come una corda di un'arpa, pronta ad essere pizzicata per risuonare alle mie attenzioni. Un pianista capace di creare armoniose melodie, sfiorando ogni tuo pensiero, questo era stata la sensazione che avevi avuto di me.

Finalmente, arrivò il messaggio che aspettavo: - Sono arrivata in stazione. Ed ora ? - . Eri nella mia città, dopo tanta attesa, pronta e disponibile a metterti in - giuoco - . In balia dei miei arzigogoli che sapevano gratificarti a distanza. Le immagini del tuo obbedirmi, a testa china docilmente, si susseguirono velocemente; voli pindarici a sublimare infiniti frammenti accantonati nel pozzo, la parte più profonda emergeva decisa, formando mosaici che avresti Vissuto: piacevolmente per entrambi.

Respirai e ripresi in mano il cellulare, dita veloci e sicure sfioravano tasti luminosi e sensibili, intanto i miei pensieri pregustavano altri tocchi ed altre sensazioni. Le parole si formarono impetuose, come un temporale irrompe in una estiva giornata di sole caldo, scrissi: - Sala di Aspetto, seduta, fermati lì - . Poche parole, un ordine perentorio, la sensazione del Dominio, del Potere: la consapevolezza di avere la Tua mente, senza remore o indecisione.

Con calma, con entusiasmo ed aspettativa per la giornata promettente, terminai il lavoro d'ufficio, impegnativo e di responsabilità. Intanto, continuava la tua smania di avermi; squilli, SMS per sapere quando sarei comparso. Latrati dolci di una cagnetta in attesa, lasciata da sola ad aspettare chi si occupi di Lei. Segnali di ricerca di attenzione a cui, volutamente, non prestavo attenzione.

Portarti ad un'attesa spasmodica, lasciarti senza respiro fino alla mia comparsa. Sapere che non saresti stata nemmeno in bagno per paura di non farti trovare - pronta - gratificava, deliziosamente, il mio ruolo di TUO mentore.

Vicino, sempre più vicino, intensificavi i tuoi guaiti, risposi che stavo arrivando. Allentando un minimo la tua tensione che stava esplodendo. Volevi qualche indizio per riconoscermi in anticipo. Che illusa, mai mi sarei scoperto per darti un vantaggio. Il Ruolo, è scontato, offre dei notevoli privilegi rispetto a quello complementare non meno piacevole da Vivere.

Indossavi un paio di stivali, così mi avevi anticipato. A passo deciso, attraversai la sala in Stazione. Guardai verso la sala di aspetto. Seduta. Come richiesto. Accanto alla ventiquattrore professionale e la borsa molto femminile. Gli stivali marroni risalivano i polpacci, nascondendo la parte terminale dei jeans aderenti. Nera di capelli, il capo si era chinato pudicamente, incrociato il mio sguardo. Avevo sorriso da subito, senza dubbio, avevo visto la MIA SCHIAVA monique.

E te, per la prima volta, venivi accarezzata dagli occhi scuri come la notte del TUO PADRONE.

Il mio sorriso, ti aveva lasciato il primo segno indelebile: non mi eri indifferente.

Avevo incontrato, schiave, belle e meno affascinanti, nel corso degli anni; ma i tuoi occhi erano lo specchio di chi VUOLE PERDERSI, DONANDOSI. Eri molto chiara, sin dal primo momento.

Sedetti accanto a te, dopo averti fatto spostare l'elegante valigetta modaiola. E, le mie parole ti avvolsero: - Monique, sei molto bella. Ben arrivata - . Dopo aver guardato altri particolari, dai capelli, agli occhi, passando dalla scollatura generosa sul seno e indugiando sull'aderenza dei jeans e sulla presenza dei tacchi agli stivali; perdendomi, come abitualmente amo fare, negli infiniti dettagli, presi la tua mano, carezzandola, tastandone i polsi e facendo impazzire il mio ego per la possibilità di avere finalmente chi potesse gratificarlo SENZA LIMITI: TE.

Sussurrai, con voce dolce e decisa: - Andiamo, adesso, non sarai venuta per rimanere qua - , annuisti docile e, partimmo assieme uscendo dalla sala comoda ma noiosa per Vivere. Sorridevi felice, lo notai con piacere. Come una bambina che riceve il suo regalo in occasione di una festività, aspettato, desiderato da tempo, avevi avuto la gratificazione tanto attesa: incontrarmi; i tuoi occhi lo rivelavano senza indugio e senza filtri. Trasudavano piacere.

- Hai bisogno di andare in bagno ? - , ti chiesi, pensando alla tensione indotta dall'aspettare mezz'ora da sola in sala di aspetto, senza poterti muovere. La risposta, timorosa di non essere accolta, era stata: - Prenderei un caffè, se possibile, sono già andata in bagno appena scesa, prima di sedere immobile dove convenuto - .

La qualità delle colazioni in stazione è ben nota ai viaggiatori non occasionali, media qualità, ma in ogni caso adatta a svegliare un corpo insonnolito da una levataccia necessaria per recarsi in luoghi remoti. Ne prendemmo uno a testa, il tuo ristretto ed addolcito da una busta di zucchero di canna, il mio tradizionale e di aroma accettabile. Avevo evitato, con eleganza, la raccomandazione della cassiera di acquistare un biglietto della prossima lotteria; da sempre, gli studiosi di statistica rammentano che mai è possibile vincere un dato giorno ad una data ora ad una Lotteria, quantunque qualcuno ogni tanto si goda tali premi e mantenni fede al mio precetto: mai giocare per soldi.

Presi il polso di Monique nella mia mano e la portai fuori del Bar; uscendo per la città le illustravo le caratteristiche architettoniche ed urbanistiche, alternandole all'esplorazione del suo corpo ed attraversando, in ogni attimo, il suo sguardo, assaporandone gli aromi che aveva indossato ed ascoltando, con estrema attenzione, ogni sua parola, in particolare le sue pause ed i suoi respiri: chiara indicazione del suo stato di attenzione per ogni mio gesto o frase. Sì, decisamente, era la Donna più interessante mai incontrata fino a quel momento; l'unica che si meritava l'aggettivo tanto deciso e netto che rispondeva alle mie esigenze: un ruolo complementare, sotto ogni punto di vista, al mio.

Le proposi di gettarsi nella fontana vicino la stazione, da un dislivello di oltre cinque metri, lo dissi sorridendo ma deciso. Proponendole un bagno autunnale, sorrise chiedendomi se scherzavo. - No, non scherzo, se volessi lo faresti, lo so; ma il buonsenso mi dice che non è una richiesta da importi. - La rasserenerai, lo vidi dal suo sbuffare sulla frangetta nera, decisamente attenta ad ogni sfumatura. Anche lei voleva capire quanto sarei stato capace di rapirla solo con le parole; con i fatti, con le mani, con il corpo, tanti sono buoni a fare. Con le parole, con le sottili frasi, incasellate una dopo l'altra, a comporre mosaici di colori diversi pochi sono capaci di non essere ripetitivi o noiosamente sterili.

La rampa delle scale fu discesa in pochi attimi, i suoi stivali ticchettavano ad ogni gradino, uno dopo l'altro. Regalandomi il piacere di sentirla discendere al mio ritmo, al mio fianco, anche senza doverla guardare od averla, docile, al guinzaglio.

Era MIA, come richiesto, come offerto. Solo MIA.

La friggitoria, comparsa lungo la strada, era piacevolmente carica di prelibatezze. Bomboloni, ciambelle, polenta fritta; delizie preparate da mani esperte pronte a soddisfare i palati più esigenti.

Ne avrei fatto incetta e, sicuramente, lei con me. Ma, volutamente, appena fermatasi davanti, ad annusarne gli appaganti aromi, le dissi: - Sei a dieta da oggi, sai - . Sorrisi e lei con me. Una taglia 46 che, sotto le mie infinite richieste di affusolarti, sarebbe scesa a 44. Era stata questa la promessa che ti avevo strappato e che giustificava il vietarti cibarie tanto appetitose. La borsa a tracolla, la valigetta, la giacchina stropicciata stretta in mano.

Proposi di farmi portare anche la mia giacca: una deliziosa sherpa, pronta a tutto, sorrisi quando tendesti la mano, chinando gli occhi e sussurrando docilmente: - Dammi, te la porto io ... - . Risposi, chiaro e deciso - Scherzi, sai che mi aspettavo che noleggiassi un risciò per trasportarmi agevolmente, adatto al TUO ruolo di puledra. Cammina, monique, la giacca la porto da me - .

Arrotolasti la giacchina aderente con eleganza e precisione per riporla nella valigetta marrone. La mia mano avvinse il tuo corpo, per definirne le forme, indugiando sulle zone che non avresti mai fatto sfiorare ad uno sconosciuto.

La sensazione che provai, densa ed avvolgente come un fluido misterioso che scorra improvviso sulla pelle delle mie dita, avvalorò ogni mia precedente impressione. Certamente avevo trovato una VERA schiava; avvertivo, ad ogni tocco, la tua fisicità cercarmi, abbandonarsi, Vivermi.

Mugolii, gemiti, labbra che si chiudevano stringendo la lingua dentro, mortificandola piacevolmente con i denti; occhi, palpebre che sensuali seguivano il ritmo del mio tocco. Ti spalmavi sulle mie attenzioni. E, sapendolo ben fare, gratificavi il mio ruolo, complementare al tuo, di PADRONE.

Eri MIA, lo saresti stata per SEMPRE.

Per vie traverse, comincia a farti conoscere le meraviglie della cittadina, palazzi e strade che erano stati testimoni del tempo che aveva attraversato, senza nemmeno sfiorarle, uno dei luoghi più noti al Mondo. Piccole botteghe di artigiani che si tramandavano il mestiere di padre in figlio, stonavano in mezzo ai negozi dalle vetrine luccicanti e ridondanti di merce asiatica di basso valore.

Era il progresso che avanzava mietendo le vittime meno forti economicamente, quelle che avevano ben noto il - Saper Fare - oramai, dalla moltitudine sottovalutato per il livellamento delle aspettative comuni. Di questo ti affabulavo, mentre seguivi ogni mia descrizione ed ogni mio passo.

Un quartiere, quello percorso con estrema lentezza, per fartene gustare gli aromi ed i suoni. Le grida degli abitanti, magari velate di un accento particolare, piacevolmente ammirato da chi ascoltava. Una bambina, decisamente attenta e curiosa, alla sua prima gita fuori porta.

Percorsi e personaggi che avevano ispirato romanzi e sceneggiature di film; scenari di poesia, di passione e di efferati delitti erano scaturiti dalla genialità degli Autori.

Decisi di sospendere la - Lectio Urbis - , in effetti, come sempre la mia loquacità aveva preso il sopravvento sul buon senso. Era un mio difetto che amavo considerare come pregio.

Arrivammo al limitare del fiume; le spallette erano occupate da turisti stanchi di osservare, dopo file pazienti, una concentrazione di espressioni d'arte unica al Mondo. Gli abili ritrattisti, all'uscita nello spiazzo antistante, eseguivano con pazienza ed arguzia, le caricature di illustri sconosciuti.

Presi le tue mani, dentro le mie; il tuo viso, le tue guance erano rosse, il sole le accarezzava violentemente, tanto ti bruciavano. Ai bordi del fiume, restavano gli ultimi accaniti avventori in cerca di una tintarella gratuita, dotati di teli ed ombrelloni, in barba alla legge.

Le mie mani ti spinsero sopra il muretto di mattoni, facendoti sedere ben salda, per evitarti di cadere. Aprii le ginocchia, allargandoti, i jeans cedevano dolcemente: sorridevi per la centralità del luogo.

Sussurrai, avvicinando le mie labbra al tuo lobo destro, dopo aver scostato, dolcemente, il ricciolo che lo copriva - Non preoccuparti, qua, non succederà nulla che non voglia ... - . Ti lasciasti andare, reclinando il collo ed aspettando un'attenzione che si sarebbe manifestata con lo sfiorare delle mie labbra sulla tua pelle.

Ti morsi deciso, succhiando il sapore del tuo collo profumato, vederti abbandonare rese manifesta la tua arrendevolezza e la tua voglia e desiderio di ME.

Risalii fino al lobo, indugiando con la dolcezza e la vischiosità di un miele di acacia che a malincuore deve scivolare dal fondo di un barattolo: vibravi di emozioni, tutto il tuo corpo era proteso verso di me.

Intanto, il traffico cittadino formato da passanti sul marciapiede, ciclisti frettolosi e motorini con rombi fastidiosi, copriva le parole che ci scambiavamo. Futili e profonde, amavo alternarle, parlare di cosa avevi fatto fino ad oggi, dei tuoi interessi, delle tue curiosità e, contestualmente, anticiparti frammenti, scenari, immagini di quello che sarebbe stato il nostro rapporto; dettagli che ti facevano sorridere copiosamente.

Le mani risalirono lungo il busto attratto dalla scollatura generosa ed offerta del seno; i miei palmi, raccolti in conche, ne seguirono le forme, in modo sempre più deciso ed avvolgente. TI AVEVO.

In quel momento avrei potuto strizzarti entrambe le punte, decisi di farlo dopo averle sfiorate: mugolii composti, sorrisi, palpebre socchiuse a mostrare l'appartenenza incondizionata.

Accanto a noi si avvicinò, per gustare il panorama unico, una coppia di stranieri. I miei occhi cascarono sulla donna: bionda, dai lunghi capelli lisci raccolti in una coda, esile e vestita sensualmente; sorrideva al suo compagno, per me insignificante. Gli stivaletti a tronchetto di camoscio chiaro, indossati sulle fini caviglie di pelle chiara, la slanciavano e la rendevano ancora più alta, merito del tacco a zeppa non volgare. La gonna leggera svolazzava agli aliti di vento.

Nacque una fantasia, farti allungare la mano sotto la sua gonna per verificare un mio dubbio, la presenza o meno di un intimo di pizzo. Era la prima volta che ti potevo sfiorare con le mani; avvolsi i tuoi fianchi e risalii in alto, seguendo ogni curva.

Avrei avuto tempo per farti esporre. Non oggi.

Camminammo lungo il fiume, costeggiando i negozi più storici della città. Attirata, come una bambina, dagli oggetti più fantasiosi, sbirciavi le vetrine ma sempre seguendomi passo passo. Una docile cagnetta. Silenziosa e sorridente. Contenta di passeggiare a fianco del suo Padrone.

Un negozio, molto famoso per i suoi pacchetti regalo cerulei, faceva bella mostra su un angolo di strada. Bracciali, anelli, monili preziosi. Sorrisi, chiedendo - Vuoi qualcosa ? - . La risposta si rivelò arguta e saggia: - L'unico gioiello che vorrei portare è il collare del Mio Padrone - .

Tirammo innanzi.

Attraversammo, assieme ad un numero imprecisato di turisti, il Ponte più antico della città. La vista più famosa, memoria di ricordi condivisa nell'immaginario collettivo di tutti i cittadini del Mondo.

I lucchetti, avvinghiati ad un lampione sbalzato di ghisa, posti dai giovani amanti a suggello di passioni irrefrenabili avevano attirato la tua attenzione. Voli pindarici: lucchetti, corde, catene.

Sorridemmo entrambi per la passione della fantasia condivisa.

Le vetrine dei negozi luccicavano per i preziosi manufatti esposti. Imposte di legno secolari, le ombreggiavano, mentre le luci alogene ne decantavano la lucentezza e la preziosità.

L'altra sponda del fiume non era meno affascinante. Un altro viale, strade secondarie, salite impervie che si inoltravano sulle colline intorno. Luoghi e paesaggi, naturali scenari per riprese cinematografiche.

Man mano che camminavi al mio fianco, sollecitata dalle mie parole e dalle continue tensioni cui ti sottoponevo, notavo il tuo corpo tendersi. Il tuo sorriso estendeva il piacere al collo alla schiena, ai fianchi e finalmente le ginocchia si rendevano flesse.

E, d'un tratto, ti trovavo spalmata sul mio corpo. Avvolta a me. Offrendoti piacevolmente docile.

Le alte mura e lo stretto marciapiede, unite al minimo passaggio delle auto, permettevano lo sfiorarsi più esplicito, destando la curiosità morbosa di passanti frettolosi ma attenti.

Le mie mani entrarono nella tua bocca, arrendevole come una puledra accetta il morso, mi succhiavi le dita con dolcezza squisita. Ed io cercavo di soffocare la tua arrendevolezza, infilandole a fondo.

Implorante, come una cerbiatta, mi chiedesti: - Padrone, avrei bisogno di un bagno - . Sorridendo, risposi - Te lo scordi, oggi devi avere autonomia, non c'è tempo per i tuoi bisogni, al limite la fai qua, in strada abbassandoti come una cagnetta - .

Imbarazzata per la risposta, stringevi le cosce, continuando a camminare assieme a me, sebbene rassegnata a trattenere ogni tua voglia, mentre i tuoi stivali ticchettavano sul selciato.

Vidi una trattoria, dalle insegne accattivanti, presi la tua mano e ti portai dentro. Con malizia e dolcezza che so dosare con attenzione, ti dissi - Monique, ma credi che ti avrei fatto ammollare senza pietà, non oggi mia schiavetta, non oggi - Ed entrammo nel locale.

Il posto, caratteristico, offriva un menu appetitoso. Ordinammo, dopo un'attenta lettura delle portate disponibili, il servizio fu rapido e la qualità eccellente.

Inoltre il bagno, presente e pulito, permise di gratificare la tua impellente necessità.

Cominciasti a mangiare con gusto la tua pasta con salsiccia, dopo aver sorriso del detto che ti avevo raccontato poco prima - sei come la salsiccia maiala dentro e budella fuori ... - un detto regionale che ti calzava addosso aderendo al tuo lato più erotico.

Il mio vassoio, ricolmo di fette di salumi tipici accompagnati da fette di formaggi dai mille sapori, si fece gustare con piacere. I calici di Brunello esalavano sapori fruttati e seppero allietare tali pietanze.

Rinunciammo al dolce in favore di due caffè, per poter riprendere il nostro conoscersi, senza appesantirsi troppo.

Usciti dal locale, ci spostammo su una strada silenziosa che conduceva ad una salita di medioevale memoria, attraversammo una porta i cui giganteschi portoni erano stati difensori ad oltranza degli attacchi con archi e frecce e salimmo. Salimmo fino a trovare un parco, immerso nel centro della città. Visibile solo da una veduta aerea e sconosciuto ai turisti - mordi e fuggi - .

Una panchina era libera. Riposare era l'unica cosa che non ti avrei permesso di fare.
Le mie mani cominciarono ad esplorarti. Ovunque. Incuranti del lento scorrere delle auto che uscivano dal parco, delle auto della Polizia attente ai malfattori, o delle mamme che spingevano un passeggino e guardando con invidia il tuo corpo manipolato dalle mie mani.

I bottoni della camicetta nera cominciarono a cedere, aprendomi varchi necessari a sfiorarti adeguatamente. Il reggiseno veniva abbassato dalle mie dita, liberando le tue generose coppe.

I capezzoli turgidi, per lo strizzarli fra indice e pollice, chiedevano di essere succhiati avidamente.

Li lasciai assetati di me. Niente sesso avevamo precisato, per la prima volta.

Aprii la tua valigetta, decolleté nere con tacco a spillo ed una minigonna cortissima, purtroppo non era possibile farti cambiare. Frugai a fondo fra creme e rossetti, trovai una stecca di plastica di quelle utili per raccogliere i fogli e farne un fascicolo.

Nera, rigida, svettò fra le mie mani, colpendo i tuoi seni.

Urlasti sommessa, ti carezzai il viso e ripartii, più deciso, più forte.

Ancora gemiti, ma stavolta sommessi. Comincia a spostare la mia attenzione ovunque.

Allargai le tue cosce, avvolte da un paio di jeans, e comincia a percuotere le cosce interne e quando di più prezioso hai al centro. Vederti danzare al mio tocco era estremamente allettante per entrambi.

Un colpo arrivo sulla guancia, sfiorando il tuo orecchio. Molto piacevole.

Sollevai la camicetta ed avvicinando le mie labbra alla tua pancetta, la leccai, subito dopo le labbra si spostarono lasciando spazio ad un morso deciso. Il MIO MARCHIO. Ti avvolgesti attorno a me. Per la piacevolezza del dolore. Leccai ancora, prima di gustarmi il segno lasciato. Sarebbe durato almeno una decina di giorni. Ne ero certo.

Tolsi il tuo stivale marrone, facendo scendere la cerniera, liberando il tuo piede e massaggiandolo con dolcezza. Eri nelle MIE MANI. In ogni senso. Arrendevole, ti abbandonasti sulla panchina, gemendo per il piacere e la dolcezza inattesa.

Risalii la schiena con le mie mani, scoprendo il collo, allargando la camicetta. Scoprendo la tua spalla. Baciai di nuovo e morsi deciso. Un grido, forte, estremo, notevole. Segnale di un dolore imprevisto ricevuto.

Sorridevi aggrottando le ciglia, sbattendo le ciglia sugli occhi scuri e dicendo - Eh sì, questo era forte, veramente doloroso - . Baciai la parte, a consolazione e premio.

Era ora di ripartire. A malincuore, mi seguisti ed uscimmo da quel luogo fatato.

La discesa era ripida e, per rendertela meno noiosa, infilai la mia mano sotto il tuo fondoschiena, premendo con le dita sul buco del culo, in moda da guidare la mia discesa. Mi sentivi a fondo.

Piacevolmente presente. Ancheggiando ti slargavi intorno alle mie dita, facilitando la mia presa.

Di fronte al fiume impetuoso, la fermata dell'autobus era deserta. Aspettammo assieme, silenziosi e sorridenti.

Io AVEVO TROVATO LA MIA SCHIAVA e TU il TUO PADRONE.

Salisti decisa, senza voltarti, dovevi farlo.

Ti salutai con la mano mentre partivi, pensando, fra me e me, - Siamo partiti Monique e SEI MIA - .

Pickingyourmind

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