In Ereso vidi i natali ma a Mitilene vissi e morii d'amore in una isoladiversa dalla mia. Faone mi liberò dalle pene. Amai solo l'Amore in tutte le forme.
ποικιλόθρον' ἀθανάτ' ΑΦρόδιτα,
παῖ Δίος δολόπλοκε, λίσσομαί σε,
μή μ' ἄσαισι μηδ' ὀνίαισι δάμνα,
πότνια, θῦμον,
Dalla policroma effige, eterna Afrodite
di Zeus fìglia, artefice d'inganni, ti supplico
venerabile, conserva il mio cuore spoglio
di noie e affanni.
Com'ero entrata in quel gioco perverso, in quella spirale che mi aveva afferrata in un momento, forse, di debolezza? Sposata felicemente con figli. Si, è eccessivo sottolineare l'avverbio, anzi, meglio cancellarlo. Gli volevo bene, anche se mi aveva tradita. Una, due volte? Di più? Mi tradiva ancora? Può darsi. Ma ormai anche io avevo ricambiato, con apprensione, con mille angustie, ma non pentita, anche se solo una volta, follemente innamorata per lungo tempo. Tante cose erano accadute nel frattempo, ma intanto entrambi difendevamo le nostre abitudini per salvaguardare l'unità familiare. Domani, chissà. Ed ora si ripropone un folle progetto, anzi è già accaduta la sua realizzazione.
Non desideravo più il tocco di mani diverse da quelle che avevano provato la mia felicità regalandomi l'ebbrezza di essere donna.
L'incontro, fortuito, in palestra. Vi andavo per svelenire i miei bollori e le malinconie che mi prendevano costantemente. Siamo diventate amiche. Sposata anche lei. Bella donna, atletica, un sedere armonioso, un petto asciutto, muscolare, solido, bei lineamenti, più giovane di me. L'avevo vista sotto la doccia. Bella donna. Da fare invidia. Null'altro. Nello spogliatoio, una sera, si accorse che aveva finito la crema da corpo e, vedendo che io avevo posto sulla mensola la crema della stessa sua marca, mi chiese se poteva prenderne un poco. Gliela offrii. Da allora parlammo. Lungamente, sempre più confidenzialmente, fino a diventare amiche inseparabili. Mi telefonava per ore, compatibilmente con i nostri doveri fuori e dentro casa.
Una sera che i nostri mariti erano fuori sede per i rispettivi impegni di lavoro (dicono sempre così) e i miei figli, lei non ne aveva per scelta, perennemente lontani per impegni di studio, mi invitò a casa sua per una cenetta sbrigativa. Ero felice di scambiare quattro chiacchiere. Intanto la nostra amicizia ci concedeva confidenze notevoli e scherzi che davano luce al nostro rapporto amichevole. Ogni tanto mi palpava il sedere dicendomi che l'avrebbe fatto dimagrire a colpi di schiaffi o si faceva toccare il seno chiedendomi se lo consideravo toppo piccolo. A me pareva normale.
Quella sera si mostrò in tutta la sua conturbante giovanile bellezza, in vestaglia. Fu allegra, gioviale, anche se sottilmente ambigua. Poggiò il mio cappotto sulla poltrona dell'ingresso e mi fece accomodare in salotto sul divano. Accese il lume soltanto, spegnendo il lampadario centrale.
Ora boccheggio sul suo letto. Quanto tempo è passato da quella sera?
Ci siamo amate, ci possediamo. Ogni volta con maggior vigore, con maggiore sicurezza, per il nostro esclusivo piacere. Sappiamo quando e come fermarci per donare quel brivido d'infinito che le nostre lingue saettanti sanno donarci. I clitoridi rivolti verso l'esterno, le calde bocche che succhiano i nostri molluschi irretiti da tanta voglia. Le cosce si aprono accogliendo nelle loro umidità le nostre fameliche bocche. Tutto è morbido in noi, vaporoso. Siamo nuvole rosa su di un letto di piacere. Questo è il diverso dall'essere posseduta da un uomo che si incista in te e vuole il suo esclusivo piacere, lasciandoti, magari, ancora inespressa nel mare della bava inacidita che ti dilava il ventre.
Lei sa baciarmi sulle labbra, teneramente, e mi bacia, scuote la mente, con tutta la sua delicatezza. Le lingue si aggrovigliano nel gioco d'amore, i liquidi si scambiano fino a scorrere sul collo, sul petto. E lei ed io ci danniamo per asciugare con le nostre vibratili lingue i capezzoli arditi, da noi stesse succhiati ed eccitati. I miei scuri, più larghi su seni più maturi, più femmina. I suoi efebici, lattei, pronunciati quel tanto che basta a segnalare il dimorfismo sessuale che ci accomuna.
I nostri amori sono eterni, i nostri coiti infiniti, ripetuti, tutti diversi l'uno dall'altro. Non abbiamo bisogno di eiaculare quando raggiungiamo il pieno soddisfacimento, ma procediamo verso la prossima tappa, verso il prossimo doloroso effluvio di sensazioni orgasmiche. E siamo sempre alla ricerca di un nuovo stimolo, di una nuova provocazione. Cosa ci manca? Niente, se non fosse che non possiamo godere il nostro spasimo se non procedendo come cloni, senza essere infilzate nelle profondità vaginali, accontentandoci di mezzi meccanici, artificiosi, ma che conferiscono il piacere del riempimento della cuna d'amore.
Il nostro sogno - ci siamo confessate l'una all'altra in quelle fasi di struggimento che ci prendono subito dopo i nostri numerosi coiti, mentre ci accarezziamo i lombi, i fianchi, le gambe, i seni, rilassate da tanto amore. Il nostro sogno? Amarci e baciarci ed accarezzarci mentre i nostri coniugi riempiono quel vuoto, quella vertigine profonda che proviamo ogni volta che il nostro piacere non riesce a raggiungere il colmo. Ma attenzione, pronti a cedere il passo al nostro comando.
E' un perverso piacere che ci danna ogni giorno di più spostando i limiti del nostro gioco sempre avanti. Giungeremo mai al termine della nostra strada dilaniate dal piacere?
Aedocieco, con grande contrizione, lo scrisse su richiesta di una gentile Dama, pronto a soddisfare i desideri di chi volesse abusare della divina grazia che gli è concessa. Lui solo può entrare nelle stanze degli Dei.
Aedocieco