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Racconto n° 4073
Autore: Matilde S. Altri racconti di Matilde S.
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Sinfonia in sol minore
La sinfonia n°40 di Wolfgang Amadeus Mozart ci avvolge suadente, equilibri armonici battono condiscendenti sui pensieri provocando emozionanti suggestioni. La musica si innalza possente e drammatica, diviene sincopata e arrogante per poi placarsi improvvisa, oscillare dolcemente espressiva, rialzarsi inaspettatamente imperiosa, creando esaltanti cascate di suoni che toccano l'anima e permeano licenziosi.

Siamo qui, immersi nella magistrale interpretazione della filarmonica di Vienna, stremati, svuotati, percossi dalla furia onnivora dalla passione.
Negli occhi è restato solo il nero della notte.
Nel respiro solo il profumo muschiato e persistente del sesso.
Le pelli ancora umide e calde, umori promiscui che ancora colano lascivi fra le nostre cosce.
Stille del tuo piacere nella mia gola.
Solo cosciente dell'emozione che mi avvolge, della carezza impudica della fantasia che si srotola invasiva dall'esterno fino a penetrarmi completamente.
Il bisogno di lasciarmi coprire da queste vibrazioni è inarrestabile. Dita invisibili scavalcano i dogmi e frugano ovunque per creare nuovi brandelli di sradicate note afrodisiache.
Sei dentro alla mia carne, sei il fuoco che fonde ogni mia fibra, crepiti irruento e indomito nelle mie viscere fino a trarne laviche scintille. Sciogli nel tuo calore ogni mio pudore proponendo indecenti tentazioni.

Fammi tremare ancora, fino a che il cervello fonda nel godimento totale.

I tuoi occhi si aprono e nello sguardo lucido leggo la tua inestinta lussuria. Anche tu non sei sazio; Non placata è ancora la tua voglia di possesso; Ancora vuoi qualcosa da me e le tue parole lo confermano :
Voglio possederti mentre scrivi per me il diario della nostra notte. Solo quando sarà finito entrerò di nuovo in te... - Ti alzi e mi inviti a seguirti fino alla scrivania.
Al tuo capriccio una dimensione erotica sconosciuta mi assedia; Completamente nuda mi siedo sullo sgabello, bambola animata dal tuo uzzolo accendo il computer e riacciuffo i ricordi di ciò che abbiamo condiviso.

Da dove iniziare a descrivere come sei entrato nella mia pelle senza lasciarmi possibilità di fuga, con quell'ineluttabilità karmika a cui non ho mai creduto e che ora appare così incredibilmente reale? Sei apparso improvviso, come il sole che spunta da dietro le nuvole e s'impossessa del cielo incoronandolo trionfante.
Il tuo sorriso forse ha acceso la miccia, o forse quella battuta ironica con cui hai creato il ponte fra il mio vivere di giochi e il tuo giocare di vita.
Uno fra tanti, eppure subito unico.
Un viso, un sorriso sardonico, una voce ruvida. Poi la tua mano sul mio culo, come chi sa di possedere e può pretendere.
Nessun artifizio, nessuna maschera galante a frenare la rapacità del gesto.
Potevo con un solo sguardo spezzare la malia con cui mi stavi incatenando e mandarti all'inferno sdegnata e gelida, ma il mio corpo attraversato da una spirale di desiderio inaudito ha risposto per me e il mio culo si è adagiato sul tuo palmo in una resa che chiedeva appartenenza.
Tu hai pizzicato con forza la natica facendomi sobbalzare, mentre le tue labbra sfiorandomi il lobo marchiavano il possesso : - Sei mia. -
Si, volevo essere tua.

Il luogo dove eravamo non ci apparteneva più; Le persone attorno erano zanzare fastidiose che ronzavano idiozie ai miei orecchi ormai sintonizzati solo al tuo respiro.

Non ho detto chi sei, dove eravamo, come siamo giunti qui. Non va bene, il lettore si può spazientire nel cercare di seguire i voli pindarici della mia mente confusa. Ma è quasi impossibile frenare i brividi di libidine che risveglia il tuo alito caldo sulla mia nuca e concentrarmi per raccontare quello che è stato.
Ma tu vuoi le mie parole ad impreziosire l'amplesso, e mentre le tue mani tormentano la mia voglia ricomincio a scrivere. Il tuo dito bagnato nella mia saliva è fuoco che percorre la mia schiena nuda, ma io continuo a battere tenacemente i polpastrelli su questa tastiera cercando di non perdere il filo del ricordo.

Soledoro è una piccola cittadina umbra famosa per i suoi pregiati vini. Vitigni autoctoni rari tramandati da generazioni di eccelsi conoscitori sono il fiore all'occhiello dei Conti Svevi. Le loro cantine sono rinomate in tutto il mondo. L'ultima settimana di ottobre si svolge la sagra della vendemmia di Soledoro che culmina con la serata di gala che la famiglia Svevi indice per raccogliere fondi da devolvere in beneficenza. L'annuale ritrovo si tiene nel castello dei conti con degustazione di pregiati vini riservata a pochi eletti.
Gli arredi in stile barocco creano un'atmosfera unica, i tavoli ricoperti di delicatissime trine, i calici preziosi, le luci soffuse che si rincorrono nei mille specchi dorati; Un ambiente raffinato che riemerge dal sontuoso passato.
Era la prima volta che partecipavo, io di solito schiva alle serate in società ero stata costretta a sostituire mia sorella all'ultimo minuto. I conti Svevi erano clienti troppo importanti per non essere presenti.
Tu ti aggiravi sicuro, con un'aria a mezzo fra la noia e l'alterigia fra i vari ospiti; Tu, il figlio maggiore del conte, appena rientrato dopo due anni passati in America per un master.
Non notarti era impossibile: alto e ben fatto, le spalle larghe delineate dalla giacca di ottima fattura, la camicia nera che si distingueva sfrontata fra le altre bianche, jeans neri al posto dei pantaloni eleganti d'obbligo e stivaletti in lucidissimo cuoio nero.
Eri chiaramente fiero del tuo non adeguarti alle regole, nei tuoi occhi brillava una sfida altera e irridente che incuteva soggezione.
Il tuo viso bello, di una bellezza quasi femminea, le labbra disegnate, perfette e piene, gli occhi immensi e scurissimi schermati da folte ciglia, la testa completamente rasata.
Emanavi forza e possanza; Un felino non domato che si aggirava sornione e ferino fra tutta quella gente frivola e ridente.
Tuo padre ci aveva presentati : - Stefano ti presento Monica, la figlia minore del Commendatore Ferri. Monica questo è mio figlio, tornato finalmente in Italia per prendere il suo posto in azienda. Ora finalmente potrò dedicarmi ad altro; Il lavoro è fatto per voi giovani ! -
Poche parole , un sorriso benigno e ci aveva lasciato soli.
E tu... lo sguardo magnetico inchiodato ai miei occhi e quella mano calata con noncuranza e incredibile forza sul mio culo.

Sembra passato tanto tempo, eppure è successo poche ore fa.

Ora siamo qui, in questa torre che hai trasformato in studio e alcova, davanti al computer acceso dove io continuo a scrivere mentre le tue labbra scivolano sulle mie spalle nude.

Quello che mi hai fatto non so descriverlo.
Non vi sono parole logiche per l'escalation di follia che ci ha pervasi. Seguirti al tavolo d'angolo, bere con te dallo stesso calice, lasciarmi imboccare dalle tue dita , leccando la goccia dolce del succo che la fragola aveva lasciato sul tuo polpastrello. Guardavo avida la tua bocca aprirsi e mordere la scaglia di parmigiano, vedevo i denti frantumarla e la lingua avvolgerla e volevo essere io quel pezzetto sgretolato che inghiottivi avido.
Tu leggevi il mio sguardo e sorridevi complice, come a rassicurarmi che avresti mangiato me con la stessa cura. E io sentivo nel ventre la morsa aspra della voglia contrarsi spasmodica.
Tutto ovattato, quasi al rallentatore.
La gente attorno sfocata e inutile si avvicinava, ti salutava, ciarlava, scioccamente inopportuna senza capirlo. Tu con le dita ti insinuavi sotto alla mia gonna, accarezzavi su e giù la coscia fino all'inguine, ed incurante che potessero accorgersene rispondevi educato e tranquillo.
E io tremavo ad ogni tocco.
Un'agonia che mi pareva senza fine.
Un guizzo improvviso di orgoglio mi aveva assalito quando una biondina ti aveva monopolizzato col suo chiacchiericcio stolto e tu sorridendole avevi infilato il dito sotto al mio slip. Mi ero alzata di scatto e senza guardarti avevo camminato rigida e frettolosa fino a giungere nel patio.
L'aria fresca della notte mi aveva sfiorata benigna dandomi un attimo di tregua. Mi ero incamminata verso il roseto in cerca di silenzio, cercando di recuperare il contegno e il raziocinio.
Non ero restata sola che qualche istante. Le tue braccia mi avevano avvinto mentre la tua voce mi richiamava al ruolo: - Monica, non farlo più! -

la tua voce decisa suonava incoerentemente dolcissima.
Il tuo respiro sulle labbra, il tuo abbraccio sicuro, la tua bocca esigente; E l'universo diventavi tu.

Mi ritrovai senza sapere come appoggiata alla casupola degli attrezzi con la gonna sollevata, i glutei denudati che strofinavano sulla parete rugosa mentre le tue mani s'insinuavano ovunque.
La tua bocca mi divorava mentre giocavi col mio corpo come se suonassi uno strumento: io, trasformata in arpa, vibravo la sinfonia dell'eros che si innalzava nella notte profumata dalle ultime rose. Sospiri e gemiti straripavano incoerenti e liberi, mentre godevo senza più ritegno sulle tue dita.
E ancora baci, carezze, piccoli morsi, in un carosello infinito di piacere, fino a perdere la cognizione del tempo e del luogo.
Mi avevi riportata all'interno, scarmigliata , gli occhi lucidi, le guance rosate dalla lussuria.
Di nuovo seduti al tavolo a fingere un decoro inesistente, per un tempo che pareva dilatarsi per non trascorrere. Condiscendente e nel contempo possessivo mi lisciavi la gonna, mi sfioravi il viso, mi descrivevi con voce bassissima cosa mi avresti fatto appena fossimo stati soli.
E io bruciavo e mi incenerivo ai tuoi pensieri indecenti.

Difficile continuare a digitare, cercare di traslare la tua passione in questo foglio bianco, lasciarti dominare la mia carne e obbedire al tuo volere e scrivere. Quasi impossibile frenare i tremiti che provoca la tua bocca che cammina sulla mia schiena nuda. E le tue dita nel solco umido fra i glutei... e la tua lingua a lambire e stuzzicare...

Le scale che salivano fino alla torre erano anguste, pietra grezza e scabrosa che si inanellava in un ripido crescendo. Io davanti e tu dietro. Il buio attorno perchè non avevi acceso nessuna luce.
Le tue mani nuovamente sul mio corpo; Il mio abito caduto non so a quale scalino; Come il reggiseno; Come gli slip.
Non hai aspettato di giungere alla meta.
Mi hai scopata su quelle scale con foga, spingendomi contro la parete; Mi hai trasportato in un mondo fatto di vento e grida incapace di fermarti, anzi anelante al tuo possesso duro.
Non vi è stata nessuna dolcezza su quegli scalini, solo selvaggio sesso che mi ha inebriata e vinta.
Ma vinta lo ero nel momento stesso in cui ti avevo visto.
Gli ultimi scalini mi hai quasi portato in braccio tanto le mie gambe tremavano per il piacere inaudito provato.

La torre è di una bellezza mozzafiato. Le vestigia del passato estrapolate e ridisegnate dalla tecnologia più avanzata. E il panorama ! La cittadella illuminata che si estende luminosa crea una magia difficile da descrivere. Il letto a baldacchino con le sue trine virginali, la scrivania di mogano lucidissimo con sopra il computer, lo sgabello alto e girevole dove sono seduta, l'angolo bar rifornitissimo, le ciotole colme di cioccolatini e fragole ... tutto pare un sogno.

Quanto tempo è passato dacché siamo saliti non saprei dirlo. Quante volte mi hai presa, amata, scopata con furia neppure. Ogni angolo ci è stato talamo.

Ed ora questa tua ultima fantasia, il diario che pretendi da ogni donna che sale quassù... un racconto per la tua biblioteca virtuale.

Eccolo, sto scrivendo le ultime parole con la poca forza che mi resta;
Mentre tu inumidisci il solco fra i glutei con la lingua colma di saliva prima di sferrare l'ultimo assalto; Mentre la tua cappella freme vigorosa e preme fra le mie natiche offerte...

Fammi tremare ancora, fino alla deflagrazione del piacere estremo.

Te lo ordino, valchiria anelante fallo.

Te lo urlo, preda di una voglia insaziabile.

Ti imploro, vittima del mio sangue impazzito .

Matilde S.

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