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Racconto n° 4372
Autore: Zenzero Altri racconti di Zenzero
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Cris


Il faccino tenero di Cris assume un'espressione imbronciata.
-Non puoi chiedermi questo, non è giusto. Tu sfrutti il mio amore in modo schifoso.

Cris è triste. Si rintana in un angolo del divano e stringe tra le braccia un cuscino, come fosse un orsacchiotto con cui non è molto che ha smesso di giocare. Ha raccolto a sé le gambe e tiene la testa poggiata sulle ginocchia con uno sguardo indurito e perso, in un'immagine di rabbiosa desolazione.
Non so perché io mi comporti in questo modo assurdo. Forse non credo al suo amore così contrario ad ogni logica e faccio di tutto per non farmene travolgere. Una parte di me vorrebbe lasciarsi intenerire da questo fiore appena sbocciato che professa una devozione assoluta per me, vecchio papavero dal gambo ricurvo e dai petali appassiti. Ma poi prevale una diffidenza acida che mi porta ad avvelenare ogni sentimento. Mi sento come il padrone che non si vuole chinare con un gesto affettuoso sul cucciolo che gli lecca una gamba e alla fine lo allontana con un calcio, per vederlo tornare a sé più devoto di prima. Quanti calci ho tirato alla mia bambina, per sentirla guaire e vederla poi accucciarsi fedele ai miei piedi!
Ripenso al sottile appagamento che ho provato ogni volta che l'ho maltrattata.

Dall'istante in cui, trafelata, mi aveva chiesto davanti all'edicola se fosse già passato il 18 barrato, avevo provato per lei un'attrazione sanguigna. Come ad uno smaliziato commerciante di cavalli basta un'occhiata per fiutare l'affare, così a me furono sufficienti pochi elementi colti al volo per inquadrare il soggetto: aria sbarazzina, passo agile, alito fresco, pelle liscia, fisico nervoso ...una perfetta puledra da monta, una volta domata e addestrata a dovere.
Cambiai immediatamente i miei programmi, fingendo di essere in attesa del suo stesso mezzo, su cui poi salimmo continuando a discorrere. Aveva una voce squillante e una parlantina sciolta che la faceva saltare da un argomento all'altro, senza badare se la stessi ascoltando. Ed in effetti, già quella prima volta, non l'ascoltavo, ma studiavo come fare per portarmela a letto. I problemi erano sostanzialmente due: l'età troppo acerba e l'appartenenza a un mondo assai lontano dal mio. Decisi di non preoccuparmene e mi lasciai sballottare dalla gente accalcata attorno a noi, beandomi dei suoi gorgheggi che mi rimescolavano il sangue.
Presi l'abitudine di aspettarla alla medesime fermata, come se i nostri orari coincidessero. Passavo con lei la mezz'ora di autobus che ci portava dall'altra parte della città. Provai una fitta strana quando, al secondo o terzo incontro, si rivolse a me dandomi del tu in modo spiccio, come fossi stato un suo coetaneo e non uno sconosciuto, probabilmente più vecchio di suo padre. Cris mi aveva preso in simpatia, nonostante la mia aria burbera e l'aspetto che so poco rassicurante. Anzi, forse proprio il mio volto, segnato dal tempo ma ancora dotato di un fascino torbido, aveva fatto scattare la sua curiosità. Pur restando nel vago, le avevo fatto intendere di avere da qualche parte una famiglia e non le avevo nascosto la mia limitata cultura né la scarsa nobiltà del mio lavoro: viti e bulloni mi avevano arricchito e non li rinnegavo di certo per far colpo su una ragazzina.
Lei non sembrò farsene un problema. Quando mi scorgeva alla fermata, mi veniva incontro con ampie falcate, scaricava lo zaino ai miei piedi e zampettandomi intorno irrequieta attaccava a raccontarmi del concerto di non so quale gruppo rock o della stronzaggine di un'amica che non l'aveva coperta con la proffia di latino. Se passava di lì un suo amico, lo salutava senza entusiasmo con un cenno rapido della mano e subito tornava a me con uno sguardo allegro. Vi era qualcosa di piacevolmente sacrilego nel contemplare il suo corpo ancora proibito: lei era così lontana dal genere di donna che mi portavo a letto, casalinghe stagionate, commesse a corto di soldi, le mie stesse scialbe impiegate, che per forza la sua sola presenza mi accendeva i sensi e la fantasia.
Un giorno mentre eravamo alla solita fermata, le proposi uno spuntino nel piccolo appartamento che avevo in centro, poco distante da lì, - così per una volta non sarai costretta a pranzare alle tre. -
Accettò di salire da me con sconcertante incoscienza.
-Che figo questo posto!- esclamò girovagando per la grande stanza arredata in modo sommario e fissando il cielo attraverso il lucernaio.
Si mise a saltellare sul letto, ma rimediò ben presto una zuccata contro il soffitto spiovente. Mentre guaendo e ridendo si rotolava sul letto massaggiandosi la testa, mi regalò insperate visioni delle sue cosce sode, scoperte fino alle mutandine di spesso cotone bianco. Osservandola pigramente, mi domandai se avremmo subito scopato. Prima che mi avvicinassi al letto, si tirò su e mi venne incontro perché deponessi un bacio paterno sul punto dolente. Il solito miscuglio di innocenza e malizia, ma intanto l'occasione era sfumata.
In poco tempo trasformò la scusa dello spuntino in una consuetudine.
-Ho detto a mia mamma che adesso pranzo da una compagna prima di tornare a casa, così non ho l'affanno del rientro puntuale.
L'aveva detto con toni da cospiratrice. Mentire alla mamma, un passo fondamentale sulla strada che la portava a me.
Cris, nel giro di pochi incontri, marcò il territorio appena conquistato come un gatto prepotente: un fiore, che aveva rubato con sfacciata facilità da una bancarella, faceva bella mostra di sé sul tavolo, infilato in una bottiglia vuota, alcuni cd portati da casa erano sparsi per la stanza, e qualche cuscino lezioso era stato sistemato sul letto. Cris si stava insediando nella mia mansarda con l'intenzione di giocare alla fidanzatina segreta, dando fondo a un inesauribile repertorio di attenzioni zuccherose e platoniche affettuosità. Accettai quei cambiamenti senza protestare, consolandomi con l'idea che fossero la via più breve per arrivare a disporre del suo corpo. Tutto nel suo fisico inquieto faceva presagire una prossima esplosione pirotecnica.
Ma questa esplosione tardava.
Fui colto dal dubbio di aver compiuto un madornale errore di valutazione: la avevo creduta una ragazzina esuberante, pronta a infilarsi nel mio letto alla prima occasione, anche solo per curiosità, mentre in realtà mi trovavo tra le mani una borghesuccia posata e romantica, disposta ad accudirmi e vezzeggiarmi, ma non certo a farsi scopare. Però a me il ruolo del quasi-marito a ore, pantofolaio e rincoglionito d'amore, andava decisamente stretto.
Così quel giorno, dopo aver consumato tra ciarle insulse un pranzetto alla buona acquistato in rosticceria, la interruppi a metà di una frase dicendole, più per noia che per passione, di spogliarsi e lasciarsi guardare.
Cris mi guardò esterrefatta, come se fino a quel momento non avesse considerato l'eventualità di una qualunque pretesa sessuale da parte mia. La vidi impallidire mentre balbettava qualche parola di rifiuto.
-Mia mamma non vuole che faccia cose di cui mi possa vergognare.
Non le risposi, emisi solo una risata grassa, facendo un cenno annoiato con la mano.
Avevo sopportato che lei occupasse il mio spazio e mi infiocchettasse come un barboncino da appartamento, ma adesso avevo deciso di presentare il conto. Credevo di averla in pugno e ne volevo approfittare fino in fondo, senza alcuna remora morale. E se invece mi sbagliavo, era l'occasione buona per troncare.
Cris, fissando il sorrisetto sarcastico con cui la stavo salutando, comprese che non erano possibili patteggiamenti. Tentennò ancora qualche istante, ma poi vedendomi deciso ad andarmene, si parò davanti alla porta e tentò di abbracciarmi. Feci l'atto di scostarla.
-Aspetta, non te ne andare. Farò quello che mi hai chiesto.
Aveva un'aria rassegnata che la faceva sembrare più donna. Mi sedetti in poltrona senza togliermi il cappotto ed attesi, senza mutare l'espressione corrucciata.
La mia puledra si spogliò in silenzio, piena di vergogna, senza riuscire a infondere la minima sensualità ai propri gesti impacciati. Protetto dalla penombra mi divertii ad osservare il suo corpo magro e acerbo tremare per il freddo e la paura. Non la sfiorai nemmeno, ma la costrinsi a restare in piedi in mezzo alla stanza sotto la luce impietosa di un faretto. Gli occhi bassi per evitare il mio sguardo, il dorso ingobbito per camuffare il fisico di diciassettenne ben fatta, le cosce strette per nascondere il ciuffetto biondo e rado del pube, le braccia conserte per coprire le tettine minuscole, tutto contribuiva a rendere fragile e poco appetitosa la sua nudità. Ma più che la sua bellezza in boccio, mi interessava la sua mente confusa, da plagiare a mio piacimento. Dopo qualche minuto raccattai i vestiti da terra e glieli lanciai con poco garbo.
-Sei ancora una bambina attaccata alla gonna della mamma. Non so che farmene di te, vestiti pure.
Con una scusa me ne andai senza confortarla. - Chiudi bene quando esci - dissi a mo' di commiato.
Dopo qualche giorno di silenzio, mi cercò con insistenza, dandomi appuntamento nel nostro nido. Quando la raggiunsi, non si dilungò in smancerie né accennò all'umiliazione subita.
-Ho poco tempo, dovremo rinunciare al pranzo.
E si sfilò il maglioncino, con una certa spavalderia.
Questa volta si spogliò con un'allegria un po' forzata, ma a tratti quasi spigliata, ammonticchiando sul pavimento alla rinfusa gli indumenti, come la vecchia pelle di una biscia rinata. Fece una sorta di piroetta e s'infilò con un balzo sotto le coperte. Un bicchiere vuoto giustificava almeno in parte la sua euforia.

Mi sedetti, nudo e pensieroso, sul bordo del letto e lei mi guardò preoccupata.
-Non ti piaccio?- chiese abbassando il lenzuolo fino a mostrare come per caso il seno pallido.
-Io sono molto esigente. Non ti basterà spalancare le gambe per rendermi felice. Dovrai accontentarmi e ubbidirmi.
Mentre parlavo, mi misi a giocherellare con un seno, piccolo e freddo. Lei arrossì guardando le mie dita, ma gonfiò il torace come volesse rendere più voluminose le tettine esili. Sulle ultime parole le pizzicai un capezzolo. Cris fu scossa da un lungo brivido, più per la consapevolezza di essere all'inizio di un percorso misterioso, che per il dolore fisico, intenso ma breve. Si sforzò di sorridermi, facendomi un chiaro gesto d'assenso col capo: accettava le mie condizioni, qualunque esse fossero. Mentre fissava con apprensione i miei attributi, sicuramente più imponenti di quelli dei suoi amichetti, sollevò fino al mento le coperte che poco prima aveva abbassato tanto generosamente.
Mi lascia cadere al suo fianco e lei dopo qualche istante si accucciò nell'incavo della mia spalla. Aveva bisogno di tenerezze che l'aiutassero a compiere il gran salto, ma da me non ne avrebbe ricevute. Le mie mani ruvide non sapevano accarezzare. La palpai con la meticolosa attenzione del collezionista che sa dove toccare per garantirsi la bontà del pezzo. La rigirai tra le mani come una statuetta d'avorio, di cui possedeva la levigatezza, il pallore e anche la consistenza, tanto compatta era la sua poca carne.
-Devi accogliermi con tutti gli onori.- le bisbiglai montandole sopra.
Non usai alcun riguardo. Volevo sbrigare in fretta quella formalità, così diedi una spinta secca per irrompere impetuoso nel suo mondo. Dovetti faticare più de previsto per aprirmi un varco. Cris si lasciò schiantare trattenendo a stento le lacrime e sforzandosi di assecondarmi come meglio poteva. Nonostante il dolore cercò di aprirsi al mio passaggio, attorcigliando le gambe ai miei fianchi e mormorando ridicole parole d'amore, rotte dai singhiozzi.
Più tardi, mentre fumavo una sigaretta, ebbi un momento di commozione. Le passai una mano tra i capelli a caschetto:
-Sono contento di te, sei determinata. Adesso che ci siamo tolti il pensiero, ci potremo sbizzarrire. Hai tante cose da imparare per divertirti e soddisfarmi veramente.
Il mio cinismo la ferì, ma non si ribellò. Con una voce flebile, ben diversa dalla parlantina vivace con cui mi aveva stordito i primi giorni, mi confessò che con i suoi coetanei era aggressiva, mentre con me si sentiva un'altra ragazza, più docile. Era esattamente ciò a cui miravo io, annientare la sua personalità precedente e sostituirla con una sottomissione cosciente e priva d'allegria.

Avevo comprato da un robivecchi un enorme specchio dalla cornice tarlata che avevo appoggiato in verticale alla parete di fronte al letto. Cris salutò con entusiasmo il mio acquisto:
-Lo vorrei anche a casa mia uno specchio così che mi rifletta per intero e non a pezzi.
Si pavoneggiò studiando a lungo la sua immagine riflessa.
-Mi sta bene questa gonna lunga. Nasconde le mie gambe troppo ossute e mi fa sembrare meno stangona.
Mi avvicinai a lei cingendole la vita e le parlai in un sussurro:
-Guarda piuttosto che coppia grottesca formiamo. Non potremmo essere peggio assortiti: io enorme, tu filiforme, io vecchio tu appena nata, io un bastardo libidinoso tu una sognatrice incallita. Sono convinto che tu viva in un sogno. Mi hai scambiato per un principe azzurro, invece sono un vecchio drago incarognito che brucerà la nuvoletta su cui ti sei adagiata. Questo specchio servirà a ricordarti la realtà.
Cris mi strinse con tenerezza:- Non m'interessa chi sei. Ti amo e sono felice con te.
Mi scostai bruscamente, come a prendere le distanze dal suo affetto.
-Ti terrò con me solo se saprai guardare in faccia alla realtà. Dovrai seguire nello specchio ogni nostro gesto, dovrai osservare il tuo viso angelico trasformarsi in una maschera di piacere quando il mio cazzo sfonderà la tua fighetta da bambina.
-Non sono una bambina, sono una donna.- protestò, pestando un piede sul pavimento in legno, con la caparbietà della sua età.
-Allora abbi il coraggio di guardarti senza pudore, mentre ti spogli per me.
Cris sfoderò una fierezza inaspettata. Com'era cambiata in pochi giorni la mia allieva. La consapevolezza del proprio fascino le infondeva una sensualità torbida. Aveva una carnagione chiara, un biancore quasi abbagliante, su cui le punte dei seni di un rosa nemmeno tanto carico e il pube limitato a un ciuffetto biondo sembravano pennellate appena accennate su una tela immacolata. Fossi stato una persona normale avrei apprezzato la bellezza e il profumo di quel fiore sbocciato nel mio letamaio stando attento a non sciuparlo. Invece, non ancora soddisfatto, lo volli strappare con violenza.
-Sei una bambina cocciuta, ma io sono peggio di te.
Mi misi alle sue spalle, entrambi rivolti verso lo specchio. Le mie grosse mani presero a muoversi fameliche, mentre lei sollevò le braccia per cingermi la testa che faceva capolino sopra la sua spalla. Appena sotto pelle sentii le costole spigolose, gradini di pietra che mi portavano a quel poco di tenera polpa che erano le sue tette, minute e perfette come due pesche vellutate. Quando le strinsi tra le dita, Cris si volse a cercare la mia bocca, ma io la schivai ingiungendole di non distogliere lo sguardo dallo specchio:
-Non devi perderti un istante dello scempio che incombe su di te.
Lei tornò a guardare tra imbarazzo e passione il proprio seno che palpato e spremuto si tendeva eccitato tra le mie dita. Anziché vergognarsi, sospirò:
-Mi piacciono le tue mani pesanti. Mi fanno sentire fragile e forte allo stesso tempo. Sono un alberello dalla chioma vivace che viene scompigliato da un vento caldo e impetuoso.
-Questo vento ti travolgerà. Quando sarà tornata la calma ti accorgerai che ti avrà sradicato.
-Non m'importa, continua a soffiare, io mi piegherò senza spezzarmi.
Mi affiancai a lei, in modo che vedesse attraverso lo specchio l'oscenità del mio cazzo in lento risveglio. Guidai la sua mano incerta su di esso. Quando capì che cosa volessi, i suoi occhi divennero vivaci, come se la stessi interrogando sull'unico argomento che più o meno conosceva. La mano si chiuse leggera attorno all'uccello e prese a scorrere su questo, indugiando col pollice sulla punta con un tocco delizioso. Mi lascia quasi intenerire dal suo impegno, ma poi la immaginai nei bagni della scuola intenta a lavorare veloce il cazzetto di qualche suo compagno. La tenerezza si mutò in rabbia. Tuffai le dita nella sua figa sottile, non per ricambiare la cortesia, ma per mortificare con la stessa moneta la sua intraprendenza. Cris emise un breve squittio e trattenne il fiato mentre guardava sbalordita davanti a sé la propria fighetta aperta, un'ostrica rovistata come un solaio. Non fosse stato per lo specchio, Cris si sarebbe abbandonata felice a quel succoso antipasto, pregustando da piccola troia il piatto forte che sarebbe seguito, ma le immagini che questo le restituiva la raggelarono: vedere se stessa contorcersi di piacere, fare smorfie oscene e spalancare le cosce tremanti, divenne all'improvviso uno spettacolo superiore alle sue forze. Anziché godere, scoppiò in un pianto dirotto.
-È orribile quello che mi stai facendo fare. Non sopporto di vedere le tue dita che mi frugano e la mia faccia che diventa sconcia. Volevo intimità e dolcezza. Così mi sembra che qui ci sia una folla bavosa che ci guarda fare le porcherie.
Cris non smetteva di piangere e io non smettevo di arare il suo fertile campo.
-Hai sbagliato tutto, piccola. Non ci può essere nulla di gioioso tra noi. Solo sesso aspro. Dobbiamo sapere chi siamo e che cosa ci riserva l'immediato futuro. Guardaci: un vecchio cacciatore e un cucciolotto di tigre che aspetta solo di crescere per assestare la sua zampata micidiale. Con te non ho possibilità di salvezza, posso solo tenerti a bada e ritardare il momento in cui, una volta esauriti i colpi, tu mi sbranerai.
-Non è vero. Io non ti farò mai del male. Credi che se non ti amassi, mi lascerei trattare così?
-Piccolo cucciolo, è inutile che ti dibatta, per ora sei in mio potere. Posso amarti solo in questo modo. Voglio farti crescere in fretta e affrettare così la mia fine.
Un ghigno di trionfo mi si dipinse sulla faccia, quando lei tra i singhiozzi incominciò a emettere sospiri sempre più profondi. Aveva chiuso gli occhi e cercato un abbandono appoggiandosi al mio petto. Con i pochi mezzi che le consentivo s'era costruita una piccola isola d'intimità, come un bimbo povero riesce a costruire un giocattolo dal nulla. Si afflosciò gemendo sul pavimento e rimase lì, riversa su un fianco, senza dare segni di vita.
Mi accorsi che aveva gli occhi aperti e si stava osservando allo specchio. Lentamente comparve sulle sue labbra un sorriso malizioso. Mi stesi al suo fianco carezzandole il culo perfetto. I nostri profili riflessi erano ancor più diseguali, le mie spalle massicce e i miei glutei enormi costituivano un orizzonte di imponenti montagne che sovrastavano minacciose il tenue contorno di pallide colline sottostanti.
-Non ti muovere. Resta su un fianco e continua a guardarti con quel sorriso soddisfatto. Ti voglio scopare così e tu sorriderai come una piccola baldracca.
E come una generosa, giovane, baldracca, Cris spinse indietro il bacino incontro a me e sollevò un poco una coscia per facilitarmi l'accesso. La vidi stringere i denti e serrare gli occhi quando mi feci strada dentro di lei, gonfiare le guance e soffiare con un sibilo, infine trattenere il fiato a bocca spalancata e labbra tirate, sopportando a stento il mio ingresso. Ma poi, appena superato il primo impatto, un sorriso ammiccante tornò a fissarmi dallo specchio. Mentre la prima volta avevo dovuto spingere e arrancare, ora il cazzo era scivolato dentro di lei con irrisoria facilità.
-Ehi, stronza, dopo il mio battesimo, non ti sarai fatta sbattere da qualche amico volenteroso, ben felice di slargarti la passera?
Cris protestò la sua innocenza, ansimando sotto i colpi di maglio stizziti ma efficaci.
-Non mi prendi per il culo, piccola. In pochi giorni la tua figa striminzita s'è trasformata in un accogliente porto turistico.
-Non mi ha toccato nessuno. Sei tu il mio unico uomo.
Ormai la stavo scopando più di rabbia che di voglia. Con il palmo delle mani appoggiato al pavimento per contenere l'impeto dei colpi e il viso congestionato di tensione e affanno, Cris sembrava un lottatore sul punto di soccombere.
-Piantala di piagnucolare e dimmi la verità.
Diedi un altro affondo come volessi schiantarla e serrai con ferocia una tettina spaurita nella mano.
-Non volevo essere la scarpina stretta di Cenerentola. Volevo essere accogliente come una donna che ha già avuto tanti uomini. Ma ho fatto tutto da sola, non mi sono fatta scopare da nessuno. Ti prego non chiedermi di più.
La confessione, candida e oscena era giunta inaspettata. Non avevo mai udito una più appassionata dichiarazione d'amore. Mi fermai per un istante, sorpreso, poi ripresi a scoparla con più dolcezza e maggior eccitazione.
-Dimmi che sei contento di trovarmi cresciuta e non voler sapere cose che mi imbarazzano troppo.
-Hai la mia stessa voglia di bruciare le tappe. Mi eccita il tuo corpicino pieno di libidine. Dopo mi racconterai, adesso voglio vederti godere senza pudore. Forza, dacci dentro.
Cris si lasciò contagiare dalle mie parole. Ora era lei che mi scopava ondeggiando lentamente il bacino, mentre si passava la lingua sulle labbra e guardava la sua immagine con occhi sconci. Le passai una mano sul torace affannato e mi bastò sfiorare i capezzoli tesi per sentirla fremere. Poche ruvide carezze e la mia bambina esplose in grida affannate.


La sua protesta, cioè lo starsene acciambellata sul divano senza guardarmi, continua. Io taccio e aspetto. Sono sicuro che Cris, dopo qualche mugugno, esaudirà la mia richiesta con la devozione di sempre. Voglio sfruttare a fondo questo suo periodo di innamoramento che la porta ad accettare ogni mia idea, la più malsana, la più assurda che la mia mente contorta possa inventare. Voglio forgiarla a mio esclusivo piacimento, prima che il mondo la corrompa.
Ecco, si volta verso di me con il viso imbronciato e tenta di commuovermi senza troppa convinzione.
-Lo sai che non me lo merito. Sono stata brava l'altro giorno, ti ho ubbidito, anche se non mi piace quando mi prendi in quel modo.
Si fa vicina e tirando lo scollo del maglione mi mostra un livido bluastro su una spalla.
-Certe acrobazie lasciano il segno. Forse non ti eri accorto che in quella posizione, rannicchiata su un fianco, sbattevo contro il muro ogni volta che spingevi.
-Lo sapevo, ma mi piaceva prenderti così.
Si struscia ugualmente contro di me con insistenza, come una puttana thailandese che tenta di adescare il turista occidentale. Mi abbraccia e cerca il contatto con la pelle infilando una mano sotto la mia camicia. Il suo tentativo di seduzione è patetico.
-Non divagare, piccola. Se non mi vuoi accontentare, lasciamo perdere.
Accenno appena ad alzarmi e lei nel rinnovato timore di perdermi mi butta le braccia al collo, firmando la resa.
-Non andare via, farò quello che vuoi. Ma non mi fare troppo male.
Il mio sorriso diventa sincero, riconoscente. Lascio che sia lei a sfilarmi la cintura dai pantaloni. Me la porge con un'espressione malinconica, poi si alza in piedi, sfilandosi il maglione. Ormai non si vergogna più a spogliarsi davanti a me, anzi esibisce, con un orgoglio un po' intristito dalle circostanze, il busto arcuato e l'ombelico che occhieggia al centro di un ventre superbamente piatto. Nell'ondeggiare del suo fisico asciutto, mentre si toglie i jeans, vedo qualcosa che mi piace e la invito a passeggiare su e giù per la stanza. Sembra una giovane Masai bianca, longilinea e austera nelle sue linee essenziali. Così la faccio saltellare a piedi uniti: mi affascina la sua carne che vibra impercettibilmente a ogni salto. Mi tenta con voce civettuola:
-Hai visto che non porto biancheria intima? Sono uscita di casa vestita di tutto punto perché non volevo che la mamma potesse sospettare qualcosa. Prima di salire da te, sono entrata nel bar qua sotto e mi sono rifugiata nella toilette. È un posto orrendo, ho dovuto fare acrobazie per non appoggiare i vestiti sul pavimento che era lurido. Ho ficcato nella borsetta maglietta, mutandine e reggiseno e mi sono rivestita in fretta. Mentre attraversavo lo stanzone del bar ho sentito addosso gli sguardi schifosi di tutti. Mi guardavano come sapessero che sotto ero nuda.
Mi sorride, cercando la mia approvazione alla sua intraprendenza. Mi affascinano i suoi tentativi di compiacermi, anticipando talvolta i miei desideri. Faccio scorrere distrattamente la cinghia tra le mani.
-La mia maialina. Non credevo avessi pensieri così sconci. Allora faccio bene a punirti.
-Volevo farti felice, nuda per te sotto i vestiti. Ma tu da me vuoi sempre qualcosa di più. Non so cosa fare per venire incontro ai tuoi desideri.
Le faccio segno di avvicinarsi e lei si accoccola ai piedi del divano. È triste. Le passo una mano tra i capelli, scompigliandoli.
-Sono fatto così. Apprezzo la tua sensualità acerba, la malizia dei tuoi slanci, la passione del tuo corpo, ma non mi bastano. Chiunque può farti fremere, scopandoti, perché sei un animaletto vizioso. Io voglio lasciare in te un segno indelebile. Quando ti farai sbattere dal primo venuto, quando succhierai un tuo amico, quando la darai via per noia, sempre dovrai ricordarti di me che ti ho punito sapendo che sarebbe accaduto. Con me devi provare ogni cosa. Ogni piacere, ogni dolore da conservare a memoria.
-Cazzo, come fai a parlarmi così? Sei l'unico uomo con cui ho fatto l'amore. Non ci sarà nessun altro. È con te che voglio provare tutto.
Sogghigno a questa appassionata dichiarazione di fedeltà futura. Non sono così presuntuoso da non rendermi conto che presto le passerà questa specie di sbornia. E allora si getterà tra le braccia di qualcuno opposto a me, giovane e comprensivo. L'idea del suo corpo violato da uno sconosciuto mi riempie di rabbia, come se stesse succedendo ora, sotto i miei occhi.
-Alzati. Ti devo punire per quello che mi farai. Voglio farti del male.
Si solleva a fatica, impaurita. È questa sua sottomissione che mi eccita e mi carica di rabbia allo stesso tempo. Con la medesima arrendevolezza ha accettato e imparato altre cose a lei sconosciute. La ricordo inginocchiata davanti a me aprire la bocca e sporgere la lingua a ricevere il mio cazzo come un'ostia. In pochi giorni imparò a succhiarmi in modo regale, ma quella prima volta fu un'accoglienza mistica. Con gli occhi chiusi e il volto in estasi, tenne il mio uccello in bocca senza far nulla, aspettando forse che succedesse qualcosa di magico. La visione blasfema del suo contegno religioso mi eccitò a tal punto che bastò il solletico della sua lingua incerta per schizzarle in bocca il mio seme che lei trattenne come in raccoglimento per qualche istante, prima di inghiottirlo con coraggio.
Anche ora, mentre si mette con la faccia contro il muro, è una sacra dedizione che la costringe, nonostante la paura, ad attendere immobile di essere ingiustamente sferzata. Mentre accenna a voltarsi, forse per implorarmi, lascio partire la prima cinghiata, veloce come una saetta. Lancia un grido e si accartoccia al pavimento, portandosi le mani a protezione del volto. Non la colpisco a terra, non mi piace.
-Alzati e rimettiti in posizione. Solleva le braccia lungo la parete. Ecco, così. Sei un amore.
La mia voce calma è agghiacciante, me ne rendo conto. Cris ha ubbidito senza fiatare. È appiattita come una sogliola contro il muro, sporgono solo le chiappe rotonde e su quelle concentro i miei sforzi. La cintura è di materiale troppo morbido, non morde la pelle in profondità, si limita ad arrossarla vistosamente. Cris ad ogni colpo ha gridato, urla sempre più smorzate, inframmezzate da singhiozzi, ma non s'è mossa, come fosse stata inchiodata alla parete. Guardo il suo culo in fiamme. Le striature rossastre sulla pelle candida sono uno spettacolo delizioso. Mi inginocchio e bacio commosso la mia opera, mentre Cris geme. Passo la lingua a raffreddare la carne; sento sulle labbra il calore della pelle e il vago gusto di sale del suo sudore. Non mi limito più a leccare, succhio e mordo, stampando sul culo martoriato nuovi marchi del mio potere. Le allargo le chiappe e metto in mostra, in fondo al solco, il suo buco perfetto. Mi viene una voglia improvvisa di impossessarmi anche di quello. Lo bacio bagnandolo di saliva, poi vi penetro lentamente con l'indice. La resistenza è tenace e anche quando riesco a entrare i muscoli si stringono attorno al dito. Cris sospira e geme.
-Cosa vuoi farmi? Il tuo dito mi fa male.
La voce è piena d'apprensione, eppure Cris resta incollata alla parete, quando con un guizzo potrebbe sgusciarmi via. Non le rispondo e incomincio a compiere con l'indice dei movimenti circolari sempre più ampi, forzando le pareti dell'ano. In un atto riflesso, involontario, sento lo sfintere rilasciarsi e dilatarsi. Vado avanti per un pezzo, insensibile alle flebili proteste, finchè Cris tra le lacrime esplode:
-Mi sta scappando la cacca, smettila, ti prego.
Insisto imperterrito nei miei maneggi.
-Se ti scappa, falla. Qui, adesso, in piedi come una cavalla.
Lei si contorce per trattenere uno stimolo sempre più impellente. È sopraffatta dalla vergogna, tenta di opporsi.
-Non posso, mi vergogno troppo.
Naturalmente sono irremovibile. Sfilo il dito e con una sottile emozione la pungolo:
-Avanti, sputa il rospo, che dopo ti faccio entrare un rospo più grosso.
Le premo una mano sulla pancia per aiutarla nella difficile operazione, mentre anche lei adesso spinge e s'impegna. Il cazzo mi s'ingrossa a guardare il suo buco che s'allarga e lentamente espelle un magnifico stronzo. Gliel'afferro con una mano e tiro con la delicatezza di un ostetrico alle prese con un parto difficile, fino a liberarla. Il sospiro di sollievo le si mozza in gola quando mi alzo in piedi e premo contro di lei. Il mio cazzo pulsa prepotente, cerca la strada tra le sue chiappe, trova il buco che si sta richiudendo e spinge violento per spalancare di nuovo l'accesso. Afferro Cris da dietro, mi avvinghio alle sue tette e do un colpo di bacino così tremendo che per un attimo ho paura che mi si spezzi il cazzo. Lei saluta con un urlo disumano il mio ingresso trionfale. Non mi fermo, continuo a spingere infoiato e mordendole un orecchio le sibilo:
-Senti quanto fa male il mio amore. Non pensavi di poter essere sverginata una seconda volta, e con più dolore della prima. Presto sarai tu a chiedermi di mettertelo nel culo, ma per ora devi soffrire.
Accompagno le parole con un colpo di maglio che la spiaccica contro il muro come una mosca. La mia bambina non riesce a parlare, rantola e singhiozza. Scuote più volte la testa come volesse scacciare un pensiero molesto, impreca e piange, ma, nonostante tutto questo, quando le accarezzo rozzamente la passera, questa è fradicia. Ormai ho abituato Cris a un tipo di piacere intriso di dolore. Lei si eccita, contro la sua stessa volontà e non è solo per farmi contento che subisce i miei maltrattamenti. Sento che sto per esplodere e voglio concludere con un ultimo fuoco d'artificio. L'afferro per i fianchi e la trascino ancora impalata per la stanza. Grugnisco come un maiale sgozzato mentre lei urla e scalcia come la stessi squartando. È un balletto grottesco, la sballotto di qua e di là e ogni tentativo di divincolarsi non fa che aumentare la mia voglia. Allo stremo delle forze la lascio cadere sulla tavola apparecchiata, mandando in frantumi piatti e bicchieri. Con un ultimo colpo di reni ripiombo dentro il suo culo con un'irruenza selvaggia. Mi svuoto con un urlo primordiale mentre lei emette una sorta di raglio terrificante.

Scivoliamo a terra, uno sull'altra, due burattini non più sorretti dai fili.
Cris geme con gli occhi chiusi. È pallida e stravolta. Mi guarda, affranta per avermi permesso di ridurla in questo stato. Ha bisogno di essere rincuorata. Ho bisogno, per una volta, di rincuorarla.
-Ti voglio bene, anche se raramente trovo il coraggio di manifestartelo. Tu sei un angelo, ma io non sono malvagio come mi dipingo. Ho bisogno di emozioni forti per sentirti vicina. Vorrei essere giovane per amarti con la tenerezza che non ho più. Presto ti perderò, appena avrai imparato a sbattere le ali volerai lontano.
L'amore di Cris risorge dalla cenere del proprio corpo violato, più intenso di prima. Si inginocchia davanti a me, mi accarezza una guancia ispida e depone sui miei occhi tanti piccoli baci.
-Io non ti lascerò mai. Non riesco a concepire una vita senza te. So già volare, ma non voglio abbandonare il nostro nido. Le mie amiche con i loro amori sdolcinati mi fanno pena. Non saprei che farmene di un ragazzo che mi tiene la mano teneramente e si eccita per un mio bacio. Adoro le tue mani ruvide, i tuoi modi bruschi, il tuo cazzo prepotente. Tremo ogni volta che mi guardi perché ho paura di deluderti.
Si alza e si allontana senza dirmi altro.
Sento scrosciare a lungo l'acqua, ma non odo la sua voce canticchiare come sempre quando si lava dopo l'amore. Oggi l'amore è stato troppo devastante perché lei possa conservare una parvenza di spensieratezza.
Quando torna, dal collo le pende la cintura, come un guinzaglio che scende tra i seni fino a lambirle il pube. È uno schianto. Attraversa la stanza con passi fieri e flessuosi, e viene ad accucciarsi vicino a me, con la grazia di un elegante levriero.
-Questa cintura adesso è mia. Ogni volta che entrerò in questa casa, la metterò al collo per ricordarti che ti appartengo.
La tiro a me per il guinzaglio e le lecco la faccia con lappate possessive. Lei mi risponde allo stesso modo, come si fa tra animali in cerca di contatto. La sua lingua è fresca e mi ripulisce la faccia con cura meticolosa. La passione dei suoi gesti mi stordisce. Mi vedo dentro con improvviso orrore.
-Piccolo fenicottero, vola lontano. Scappa via da questo vecchio bilioso che usa i modi più bizzarri aspri per dire ti amo. Per te sarà sempre peggio, un precipitare in un pozzo senza fondo.
Cris non risponde e continua a leccarmi con devozione.




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