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Racconto n° 4598
Autore: Morgause Altri racconti di Morgause
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Westminster
Il nostro rapporto è arrivato alla frutta, non ci resta che separarci. Dopo un anno trascorso insieme ora, nello stesso letto in cui abbiamo fatto l'amore fino a sfinirci, sembriamo due sculture su un sarcofago.
Il re e la regina.
Morti.
Marmo freddo da cattedrale.
Westminster.
Finalmente ti decidi:
-Io vado a dormire nello studio, è meglio-

Mi volto dandoti la schiena alzo le ginocchia fino ad abbracciarle strette al petto e mi accorgo che le labbra mi tremano, sto per piangere.
Dove è finito il nostro amore delle tempeste, quella passione che ci portava a toccarci appena possibile, a far l'amore fino allo sfinimento, a divorarci a vicenda come cannibali?
Eccoci qui a dormire separati sotto lo stesso tetto, incapaci di comunicare, di confortarci a vicenda.
Più soli che se non ci fossimo mai incontrati, perché non c'è desolazione che possa eguagliare quella di una passione morta per sempre e che credevamo se non eterna almeno un pochino più longeva.
Meglio essere in una caverna a vivere come un eremita oppure girare di pub in pub cercando un uomo da rimorchiare che starti vicino adesso.
Ora il letto condiviso diventa una zattera malsicura in un mare infestato da squali, un pianeta morto privo di atmosfera su cui siamo erroneamente atterrati.
Non c'è più spazio intorno a noi per sopravvivere, l'anima affonda come un sasso.

Io mi sono fatta confondere dal solito venditore di collanine e specchietti colorati, tu hai smesso di parlare dopo l'ultima litigata feroce.

Eppure in questa solitudine gelata, di pietra, la carne si risveglia...quasi a dimostrare che la resa non è completa, che forse il fuoco si può riaccendere.
Così mi alzo, intuendo confusamente che sto commettendo un inutile errore; camminando in punta di piedi lungo il corridoio mi avvio al tuo studio.
Stai lavorando, sento il ticchiettio della tua vecchia macchina da scrivere, quella da cui non ti separi mai, il tuo portafortuna.
Sei uno scrittore di successo e io una ragazzetta che ha cercato disperatamente di essere sempre al centro della tua attenzione.
Ho indossato la camicia da notte bianca ottocentesca, quella che abbiamo comprato a Londra, in Camden Hight, piena di pizzi, che ti eccitava tanto.
Apro lentamente la porta: nella luce della lampada da tavolo sei bellissimo e le tue mani , intente ad accendere una sigaretta, mi stordiscono in un lampo di desiderio.
Ti volti e mi guardi con aria interrogativa, curiosa.
La camicia sbottonata fino alla vita mostra i senti di donna fatta che paiono appesi per sbaglio sul torace magro.
Mi avvicino all'ampia scrivania, mi siedo sul bordo, poi rapidamente mi volto e salgo in piedi dietro la macchina da scrivere.
Silenzio assoluto, tu fumi e mi fissi negli occhi. Dall'alto le tue pupille sono ancor più chiare, color del ghiaccio.
Allargo le gambe e lentamente sollevo la lunga camicia, fino a mostrarti il sesso accuratamente depilato e resto lì, di fronte a te, in attesa.
Potremmo essere due estranei che si sono appena conosciuti in un bar o in una assordante discoteca, per l'assenza palpabile di intimità che c'è tra noi, eppure l'odore di sesso si avverte, insostenibile.
-Che cosa stai facendo?-
-Lo vedi, ti sto eccitando -
-Pensavo volessi castrarmi, o almeno così mi pareva d'aver capito nell'ultima lite-
-Lo voglio ancora-

Il tono della mia voce ti fa indurire di colpo, lo so.
La solita vecchia storia.
Io ammansita, ti cerco, tu sadico, con la solita crudeltà vera o falsa che sia, mi aspetti al varco della mia debolezza: il sesso.
E questo gioco perverso è per noi un potente afrodisiaco.
Eppure il tuo sguardo rimane assente, solo un piccolo sorriso ti muove le labbra.
Scendo e mi sistemo sul tuo grembo, strusciandomi su di te, sulla tua rigidità, la tua voglia.
Ti abbraccio stretto.
-Guarda, è inutile, lascia perdere.- ma la voce ti si fa roca, anche perché, aperti i pantaloni, con studiata lentezza ti prendo dentro di me. Affondi il viso tra i miei seni artigliandomi i fianchi e iniziamo la folle cavalcata, quella che ci fa urlare di piacere e di dolore: ti mordo un labbro a sangue.

E l'orgasmo arriva tumultuoso.
Grido: allora tu cominci a muoverti in cerca del tuo piacere, come se questo fosse nascosto dentro di me in profondità e dovessi pescarlo, tirarlo su dal fondo come faresti con un pesce che ti sfugge agitandosi.
Ecco.
Abbocca.
No, non proprio.
Adesso.
Io osservo lo spettacolo da molto lontano, quasi assistessi a un film ad alta tensione erotica in cui io stessa sono la protagonista.
E che quindi conosco a memoria.
Ecco, ce l'hai fatta, ecco, ecco, ecco....
Non ti muovi più resti immobile.
Senza parole.
Senza gemiti.
Pesce e pescatore ansimanti sulla riva del mare.
Ma che tipo di uomo è uno che non fa il minimo rumore quando viene?
Un uomo morto?
Forse siamo morti tutti e due.
All'improvviso mi sento sporca, vagamente necrofila.
Senza parlare mi alzo e ti lascio lì, con la tua sigaretta che si consuma nel portacenere.
E mentre ritorno in camera da letto penso:
-Come abbiamo fatto a stare insieme per un anno e all'improvviso diventare così estranei l'uno all'altro? Sembriamo due vagoni merci che hanno percorso un tratto di binari incatenati l'uno all'altro prima di venir staccati e spediti ai poli opposti della terra.
Però avresti anche potuto dirmi qualche parolina dolce di circostanza.
Lo dovresti sapere che le parole mi riscaldano sempre-

Ma noi non conosciamo più parole d'amore, anzi neppure parole.
Le parole sono l'unico linguaggio che non riusciamo più a parlare.

Morgause

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