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Racconto n° 4630
Autore: morgause Altri racconti di morgause
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La camicia a scacchi
All'interno dell'Appennino Ligure sorge un'antica abbazia benedettina risalente all'anno mille.
E' persa in mezzo a vallate di castagni enormi, raggiungibile con una mulattiera che solo un fuoristrada può percorrere.
Io ci arrivo a piedi dal paese vicino; un appuntamento annuale che mi è particolarmente caro.
Dopo una ripida salita all'improvviso appare l'alto e severo campanile romanico, un blocco di roccia grigia perfettamente squadrata, e vicino l'abbazia, con le eleganti fughe laterali di bifore accecate e il portone sovrastato da una architrave in arenaria piena di simboli mistici e magici.
Infatti ai lati della pietra millenaria, usurate dalle intemperie ma ancora ben riconoscibili, sporgono due mostruose maschere di animali rozzamente scolpite, antichi simulacri preposti a tenere lontani i demoni dagli umani.
Dietro sorge l'antichissimo cimitero, abbandonato da tempo immemorabile, ma con ancora qualche lapide visibile.
Le antiche lastre dalle incisioni disfatte dal tempo spuntano dall'erba come denti spezzati di una bocca nascosta ma pronta ad aprirsi per ingoiare l'incauto visitatore.
Eppure quel cimitero esercita da sempre un fascino irresistibile su di me; da bambina amavo perdermi nel suo silenzio magico, ora, da adulta, una volta arrivata all'abbazia, dopo la rituale visita e le foto che puntualmente scatto, diventa un letto verde dove sdraiarmi a pensare. E a volte mi pare, restando così immobile con gli occhi chiusi, di riuscire a volare, mentre confuse visioni in prospettive non umane si affollano alla mia mente.
Oggi fa caldo, sono le prime giornate di un'estate anticipata e arrivare a piedi fin quassù sotto il sole di mezzogiorno è stato faticoso. Nel piccolo piazzale di fronte all'abbazia sono in corso lavori di restauro.
Due giovani uomini trafficano vicino a una bettoniera.

Alzano insieme gli occhi per fissarli su di me e guardarmi incuriositi mentre avanzo verso di loro. Non devono essere in molti a salire fin quassù a piedi a quest' ora.
Sudo abbondantemente, la canotta e i jeans sono diventati una seconda pelle, le cinghie dello zaino contenente oggetti vari tra cui le vettovaglie e l'attrezzatura fotografica mi irritano la pelle.
Saluto e mi fermo per chiedere informazioni sui lavori di restauro decisi per l'abbazia; evito sempre di leggere eventuali cartelli esplicativi, se possibile.
Uno dei due, quello che sfacciatamente mi fissa il seno che traspare dalla stoffa bagnata, è davvero bello.
Non credo sia italiano: porta i capelli neri lunghi legati con un elastico, ha la pelle olivastra, e denti bianchissimi in una bocca dalle labbra sottili, atteggiate a un involontario sorriso ironico.
E' molto più alto dell'altro, biondastro e tozzo, con il torace nudo ricoperto di peli rossicci.
Anche lui mi guarda con interesse mentre parlo.
Ma è il moro, che mi risponde con proprietà di linguaggio pur in uno strano accento, a intrigarmi da subito.
Indossa una camicia a quadri bianchi e neri, sbottonata sul torace glabro, lustro e sudato, dai muscoli perfetti in evidenza.
Una corrente magnetica, onde di puro eros, si sprigiona da quel corpo di maschio tanto che provo l'impellente desiderio di trasformarmi in una pedina degli scacchi nel gioco della camicia che indossa, per percorrere tutto il petto, la schiena e più giù, fino al ventre piatto ed entrargli nei pantaloni per...
Ci siamo intesi, la sua lingua passa e ripassa sulle labbra, lo sguardo scende rapidamente fino al pube in evidenza sotto i pantaloni stretti e bagnati di sudore e io rabbrividisco, come se mi stesse toccando lì, tra le cosce sudate. L'altro ci guarda, incuriosito, penso abbia capito tutto, anche se ormai le nostre parole non hanno più un senso; parliamo con gli occhi e con le mani, la cui gestualità si fa esasperata.
All'improvviso ritorno in me, cercando inutilmente di darmi un contegno; saluto frettolosamente i due uomini e cerco l'angolatura giusta per scattare le prime foto.
Ma la luce intensa e il cielo lattiginoso per la calura mi suggeriscono che è meglio aspettare.
Nell'attesa di tempi migliori mi riposerò un poco all'ombra dell'enorme castagno nell'antico cimitero, mangiando qualche cosa, poi si vedrà. Mentre mi allontano sento sulle spalle e sul sedere gli sguardi dei due uomini: quello del bruno dai denti da lupo è molto più insistente, più caldo dei raggi del sole.
Sono sicura che non è solo un'impressione.
Mi inoltro tra le poche lapidi rovinate e all'ombra dell'albero mi libero dello zaino sdraiandomi sull'erba fresca.
Non posso fare a meno di pensare a che succederebbe se l'uomo degli scacchi arrivasse fin qui. Piano piano, la mente piena di visioni lussuriose, mi accorgo di scivolare nel sonno.

E' notte e io mi ritrovo in questo stesso cimitero con i denti di lapidi spezzate che fuoriescono dal suolo, mentre una luna enorme e bianchissima diffonde su tutto una fredda luce al neon.
Mi colpisce l'odore di terra bagnata, appena smossa.
Alla mia destra si alza una tomba in marmo rossastro, grande, lussuosa, che non riconosco in questo luogo.
Mi avvicino e noto che non ci sono iscrizioni sopra, solo un grande vaso di orchidee bianche orna la gelida lastra.
Faccio per allungare una mano e toccarle ( sono i miei fiori preferiti), quando noto la luce di una torcia poco distante dalla strana tomba. Mi pare anche di sentire un rumore ritmico, come il calpestare di foglie cadute e un leggero parlottare.
Sono spaventata ma anche incuriosita e mi avvicino alla luce che intanto si fà sempre più grande per confondersi con quella della luna enorme in cielo.
Allora li vedo, i due uomini che ho incontrato sul piazzale dell'abbazia, il bruno e il biondastro.
Uno dei due, il secondo, sta scavando una fossa, mentre l'altro gli parla a bassa voce appena piegato su di lui.
Paiono non sentirmi, nonostante io mi stia avvicinando per chiedere:
-Ma che cosa state facendo? chi siete?-
Ora la camicia a scacchi dell'uomo bruno che mi ha rimescolato il sangue si apre sul petto, come se ci fosse vento, e i quadri bianchi e neri appaiono molto più grandi.
E' lui a rivolgere la torcia verso di me per rispondermi:
-Signorina, questo non è posto per lei, è notte e noi dobbiamo scavare una fossa per domani, ci sarà un funerale e non possiamo aprire la tomba grande, quella è già prenotata-
Il biondo sghignazza e io rabbrividisco per la paura e l'eccitazione, perché i miei occhi sono catturati da quelli dell'uomo dai denti da lupo: sento che qualche cosa di molto particolare sta per succedermi.
Il mio sguardo scende sui suoi pantaloni gonfi e tesi come calamitato, mentre lui mormora, fissandomi:
-Il desiderio di un uomo non ha rispetto neppure di un posto come questo-
e intanto inizia a perlustrarmi attentamente dalla bocca fino ai piedi.
Mi accorgo di indossare abiti che non mi appartengono: una gonna sottile, nera e lunga, una maglietta scura aderente con il collo alto e senza maniche, i piedi nudi.
Alle braccia innumerevoli bracciali sottili d'argento tininnano ad ogni movimento.
Sotto il suo sguardo i capezzoli si induriscono, i seni si gonfiano, mentre oro liquido inizia a bagnarmi le cosce.
Il respiro accellera e so che i due uomini lo possono sentire.
L'odore di terra fradicia mi riempie le narici.
Ad un tratto, mentre la mia attesa diventa quasi dolorosa, il bruno si avvicina, mi accarezza i capelli sfiorandomi il viso con dolcezza e gentilmente mi sposta con le spalle rivolte al suo compagno che ha smesso di scavare.
Poi mi infila due dita tra le labbra e:
-Succhiamele- sussurra.
Obbedisco pensando al suo sesso che vorrei avere ora in bocca per berlo fino all'ultima goccia in una specie di rito di purificazione.
E questo mi appare perfettamente naturale, sento che il mio desiderio per quest'uomo è antico come il mondo: brucia con lo stesso ardore del primo fuoco acceso per onorare un dio dimenticato.
Mentre tra le cosce la mia arsura si fa insostenibile, il biondo mi strappa via la gonna e gli slip inconsistenti.
Sento mani sporche di fango accarezzarmi il sedere, con movimenti lenti, quasi a disegnare sulla pelle degli otto, il simbolo dell'infinito.
Poi una di loro si intrufola tra le cosce e ripete le sue carezze tra le mie labbra di donna, sul piccolo monticello di carne pronto a esplodere e le dita mi penetrano riempiendomi come un fallo.
Mi contorco, mugolo, mentre continuo a leccare e succhiare le dita, cercando contemporaneamente di trovare il rigonfio dei pantaloni dell'uomo degli scacchi.
Ma la mia ansiosa ricerca è inutile, di fronte a me c'è il vuoto.
Ora mi accorgo che il biondo, mentre con una mano ricopre di attenzioni il mio sesso , con l'altra si masturba con frenesia: e questo non fa altro che eccitarmi ancor più.
E' come se fossi posseduta da una strana febbre, sento odore di sesso e di morte.

Ci muoviamo tutti e tre come burattini, spettrali sotto questa luna enorme dalla luce gelida.
Improvvisamente mi trovo sdraiata, le mani legate, la testa sopra la fossa che i due stavano scavando; le dita del bruno non sono più nella mia bocca.
Ruotando il capo all'indietro posso vedere il fallo del biondo pronto ad aprirsi come un frutto maturo; spalanco la bocca e un getto caldo e denso mi bagna il viso: lecco con avidità le gocce dalle labbra, mentre apro le cosce in una muta offerta.
Allora si leva uno strano vento caldo e umido che passa sulle mie labbra vermiglie di femmina come una carezza; simile a un umano respiro sibilando si infila nei miei più nascosti recessi, su, fino al ventre, in una carezza estenuante.
E finalmente arriva il piacere, come aghi di pioggia troppo a lungo attesa su un terreno arido.
Grido per l'orgasmo improvviso, mentre i fianchi si agitano sulla terra bagnata e l'odore di foglie marce mi riempie le narici.
Il bruno in piedi davanti a me mi punta addosso la torcia e :
- Stanotte è la tua notte, bellezza, domani chissà-
Si inginocchia tra le mie gambe ed entra in me con dolcezza, lentamente: a ogni sua spinta davanti agli occhi aperti nel vuoto della fossa mi compare il volto del biondo che ride sempre più forte.
Fino a che non si abbassa a baciarmi: la sua lingua sa di acqua di mare, di molluschi appena pescati, mentre sento nel ventre un calore liquido che sale su, fino al petto e al viso lasciandomi esausta immersa in uno strano abbandono.
Poi le voci all'improvviso tacciono, resto sola, tra le gambe il vuoto.
La luce della luna o della torcia si fa violenta e tutto all'improvviso sfuma, l'ultima immagine di sogno che resta impressa nella mia retina è la tomba di marmo rosso che ora è aperta con il vaso di orchidee bianche rovesciato vicino a me.
Un'orchidea è posata di traverso sui miei seni nudi.

Mi sveglio sotto il grande castagno con una indescrivibile sensazione di piacere soddisfatto tra le cosce e la bocca che sa di mare.
Eppure qualche cosa di oscuro si agita in fondo alla mia mente e mi trasmette un vago senso di inquietudine.
Ho dormito più di due ora: laggiù, sul piazzale dell'abbazia, vedo il mio uomo degli scacchi parlottare con il suo amico, vicino alla bettoniera.
Finita la pausa pranzo hanno ripreso a lavorare.



morgause

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