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Racconto n° 4716
Autore: Eva Blu Altri racconti di Eva Blu
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Dal primo momento all'ultimo
Ti amo. Ti ho sempre amato, dal primo momento che ti ho visto.

Lo scrivo e lo riscrivo, lo straccio e lo ristraccio. Non ho il coraggio. Cerco una ragazza, un'altra ragazza, disposta a scriverlo per me, con una calligrafia più accurata, più tonda, più dolce della mia, sempre troppo appuntita e traditrice, perché rivela tutto di me. Ma non ce la faccio, non so come si fa, come si chiede - senti, scusa scriveresti una lettera d'amore al posto mio? - .



Dal primo momento che ti ho visto.

Un momento scolpito nella mia memoria, martello pneumatico indelebile che spacca i gangli e le fibre cerebrali e i tessuti cardiaci e ci pianta dentro un'immagine, la sua immagine.

- Allora, ragazzi! Silenzio, ragazzi! Siete al vostro primo giorno qui, è il momento di presentarvi fra di voi. Sì, proprio come fanno i grandi. Avanti!

Come si presentano, i grandi? Brusio, risatine, imbarazzo. Fino a quando...

- Piacere, io sono Giovanni.

La mano tesa, un casco di capelli fulvi, occhiali da intellettuale, gli occhi verdi, un sorriso dolce e un po' triste, la pelle rosea. E io in silenzio, senza nemmeno riuscire ad alzare gli occhi per l'emozione e l'imbarazzo e la dolcezza che sentii subito dentro di me.

Ecco, quello fu il primo momento.

Il primo momento che l'ho visto.



La scuola è finita, ci siamo maturati. È ora di partire. Sto ancora lì, con il mio bigliettino. Dopo ore ho a mia volta maturato che l'incipit giusto è quello lì: Ti amo. Ti ho sempre amato... Non so come andare avanti ma è quel che sento dentro di me e che gli voglio comunicare. Ma lui lo sa, ne ho la certezza. Difficile che ci si riveda. Le mie scelte mi porteranno lontano da qui, lontano da lui. Devo dirglielo, non posso essere così incapace, ancora oggi, dopo cinque anni di tormenti.

Cinque anni.



Turbamento, tristezza, mal di pancia, stomaco sempre in subbuglio. Sarà questo l'amore? Sarà quella mano dolce che scivola sotto le mutandine, sotto la maglia, quel piacere fuggevole e solitario che mi invade caldo mentre penso a lui? Sarà il mio capezzolo inturgidito e desideroso di baci - i suoi baci, solo i suoi - sarà il mio corpo che si tende e si inarca, che cede alle contrazioni del godimento, sarà il mio ombelico che liscio con la mano impaziente di andare più giù, che si sforza di pensare che quella mano non sia la mia ma la sua?

No, questo non è amore. È autoerotismo, è masturbazione, è frustrazione, è senso di colpa alla fine. Chiamiamo le cose col loro nome e cognome, anche se è triste, è tristissimo doverlo ammettere.

Voglio lui. Lo voglio. Lo desidero.

Lo vorrei, Dio quanto lo vorrei.



Cinque anni di angoscia, paura che si sappia in giro. Qui le regole sono rigide, chi sbaglia è fuori e non c'è salvezza. Vedo i suoi sorrisi, i suoi ammiccamenti, le sue battute. Ogni tanto un fugace bacetto di saluto, qualche carezza affettuosa, una mano che sfiora il mio petto, che si poggia su una mia spalla, che mi dà una pacca gentile sul sedere. Nulla di più. Io so, io sento che lui mi vuole come io voglio lui. Ma rimane fermo, immobile, prigioniero di se stesso e dei pregiudizi di questa società orribile. Gli stessi che patisco io. Eppure, come l'assassino che uccide convinto sente un insopprimibile bisogno di essere scoperto, anche io ho necessità di sfogarmi, di parlare, di farmi scoprire, di scoprire le mie carte. Soffro, la colite è un effetto perverso di un corpo perverso, o che non riesce ad esserlo quanto vorrebbe, o forse dovrebbe.

Non riesco a parlare.

Fino a quando però non c'è l'occasione.
La festa in maschera.
Finalmente posso fare cadere la mia.



Lui compie diciotto anni, io li ho già fatti. Festa in maschera, guai a presentarsi senza, ci si veste come si vuole. Io non ho il minimo dubbio. Non faccio troppi sforzi. Dentro sono già così. La forma esteriore si piega facilmente a quel che sento di essere. Io sono così. E in più io amo. Lo amo. Ed eccomi, entrare alla festa e lasciare tutti di stucco, attorno a me si fa il vuoto, è un silenzio ammirato che si tramuta in brusio compiaciuto ma soprattutto ironico, è un darsi di gomito e abbandonarsi a battute taglienti, in qualche caso selvagge, quello che allarga la platea degli invitati fino a consentirmi di raggiungere lui, il mio Principe, mio di me che indosso un abito enorme, ridondante, rosa e azzurro, con un diadema che incornicia i miei capelli corti, con un trucco deciso sul visetto già efebico, con il vitino di vespa del costume da Bella Addormentata nel bosco, pronta all'inchino verso colui che vorrebbe suo signore e padrone per sempre.



Che modo stupido, kitsch, di fare outing. Potevo trovarne uno meno idiota. E infatti lo chocco, prendo i complimenti di tutti meno che i suoi. Lui è vestito da ammiraglio, non da Principe Azzurro, capisco subito che non è solo una questione di costume, se non mi sveglierà col bacio al termine di questa serata che si mette subito male, fra di noi, anche se sto benissimo, vestito così, e mi sento addosso gli occhi lascivi e incerti dei maschi e quelli invidiosi delle ragazze, quelle che pure mi hanno aiutato nella mia incredibile trasformazione.

Un po' per scherzo, un po' sul serio, sono corteggiata da tanti, forse troppi ragazzi, conosciuti e sconosciuti. Non sono l'unico maschio vestito da femmina, ma a me parlano al femminile, proprio come io parlo da sempre con me stessa. Mi sento finalmente libera come donna, ma forse sono solo ridicolo come uomo. Lo avvicino, cerco di parlargli, riesco a ottenere un ballo con lui e attorno a noi si fa il vuoto, qualcuno mette un vorticoso valzer da vertigine, balliamo al ritmo dei battimano degli altri, cerco di parlargli, non stacco gli occhi dai suoi nemmeno un attimo, lui mi ricambia gli occhi, mentre siamo tanto vicini, vicinissimi, e vorrei, vorrei, Dio quanto lo vorrei, chiudo gli occhi e forse, forse sto per superare tutti gli steccati in una volta sola, davanti a tutti, sì forse ce l'avrei fatta, ma una mano energica lo stacca da me e un'altra mi stacca da lui. Non so se è suo padre, o sua madre, o tutt'e due che lo richiamano all'ordine, sta di fatto che lo vedo letteralmente strappato da me e portato ad appiccicarsi alle labbra di una ragazza, una ragazza vera, bionda, capelli lunghi, occhi azzurri, con tutti gli attributi necessari per essere una ragazza, con tutte le caratteristiche necessarie per essere la sua ragazza. Parte un applauso, anch'io batto le mani, ma sono l'unica che non rido e sento pure qualcosa che somiglia a una lacrima inumidirmi il rimmel.



Lo voglio felice, si dice così quando si ama, lo voglio felice e che importa se non sarò felice con lui? Sì, si dice così ma è assurdo, non ci credo, non ci ho mai creduto, è un ragionamento fatto con i piedi e a proposito di piedi non sono abituata ai tacchi, sono letteralmente distrutta e mi accascio su un divano.

- Posso, Cenerentola?

È un tizio con un costume settecentesco. Porta una mascherina, se la toglie un attimo e si fa riconoscere: è un prof di educazione fisica, un supplente giovanissimo e piuttosto belloccio, avvenente, l'avevo notato, a scuola. Non mi dà nemmeno il tempo di rispondergli che sono la Bella Addormentata e non Cenerentola, che è già incollato a me, con la scusa che il divano è stretto mi pianta un omero sotto l'ascella, mi preme col braccio sul piccolo seno naturale che stasera ho messo in bella evidenza col push up e col decolté, l'ho sempre avuto e forse è solo un po' di ciccia, ma in realtà si tratta degli ormoni femminili che sono nati con me e ne sono sempre andata orgogliosa, ci ho fantasticato su mille volte, mi hanno fatto godere da sola, nella mia odiosa, mortale, lunghissima solitudine sessuale.

- Il Principe se l'è filata, eh?

Ridacchia sotto la maschera, lo odio: allude a Giovanni, che sta ballando con la bionda di prima. Aggiunge qualcosa come pazienza, mi chiede quanti anni ho, sostiene che sono carina vestita da femmina e intanto infila il braccio dietro la mia schiena, sennò stiamo scomodi, si giustifica, mi cinge e mi mette la mano sulle spalle, la lascia scivolare sulle tette, struscia un po' le dita sul mio corpo ansioso, sente il reggiseno, mi chiede che misura è e se ho avuto bisogno di imbottirlo, insomma ci sta provando senza ritegno e la cosa più incredibile è che la cosa mi intriga tantissimo.



Beviamo qualcosa, è andato a prendere due bicchieri ma mentre era via si sono seduti in due al suo posto, un lui e una lei, si sono messi a limonare in maniera forsennata e non c'è più spazio, allora mi tira via e tenendomi per mano mi porta su per le scale, la villa dei genitori di Giovanni è enorme, andiamo non so dove, entriamo in una stanza dove ci sono tutti i cappotti sul letto, non gli piace e opta per una specie di soggiorno ma ci sono altri due che si strofinano mezzi nudi, finiamo in una veranda con poltroncine e sofà, mi fa sedere e pianta la bocca sulla mia, non riesco ad oppormi, col primo bacio mi succhia via il rossetto, apro le labbra come per protestare e mi ritrovo la sua lingua allacciata in maniera un po' curiosa alla mia, che saetta e si contorce morbida, assaggiando il suo sapore di dentifricio alla menta e gin.

Non realizzo subito che è il primo bacio della mia vita, e che sto baciando – così come avevo sempre desiderato – un ragazzo e non una ragazza. Realizzo invece che lui non è Giovanni e (cosa incredibile) che in realtà neanche so come si chiama.

- Cenerentola, sei un po' porca e baci come una dea - sussurra continuando a slinguettare con me, e mi rendo conto che nemmeno lui sa come mi chiamo io, ma a questo punto non lo so io stessa, mi sarebbe sempre piaciuto chiamarmi Cristina ma non mi chiamo così, ho un odioso nome da maschio.

Il prof non perde tempo, mi crede Cenerentola e mi tira via una scarpina, mi denuda il piede fasciato dall'autoreggente bianca e se lo porta lì sotto, dev'essere feticista e mi fa sentire che è già gonfio, in un attimo è nudo dalla vita in giù e mi ritrovo una specie di proboscide sotto il naso, apro la bocca e assaggio la sua carne massiccia, mi prende la testa con entrambe le mani e mi detta il ritmo, mi arriva fin quasi in gola, mi induce a un mezzo conato, poi diventa meno ruvido, si addolcisce, capisce l'inesperienza, allarga il decolté del vestito, infila una mano sotto e sente il capezzolo turgido turgido, lo pizzica, massaggia teneramente la mammellina.

Mi stacco e torna a baciarmi, mi abbassa le spalline e rimango mezza nuda, le tettine appena visibili ma spinte in su dal vestito, me le limona un po', le bacia, le lecca, insinua una mano sotto il vestito, trova la mia piccola carne sotto lo slip da femmina, mi insulta, troia, mi dice, che bisogno avevi di mettere intimo femminile se non avevi voglia di rimorchiare, mi lascio ciucciare e toccare di sotto, è bellissimo, poi mi ribalta, mi sbatte in ginocchio e a faccia in giù sul divanetto, mi solleva il vestito e sento che giocherella col mio orifizio, vuole violare il mio corpo, mi inumidisce, forse persino mi lecca, non capisco più niente, a un tratto sento qualcosa di grosso, di enorme, premere alla porta della mia carne, insinuarsi tra i glutei, sento le mani che si piantano sui miei fianchi e lui che spinge, mi strappa un urlo, un gridolino troiesco in falsetto per ogni centimetro che guadagna, facendo avanti e indietro dentro di me, finché non mi sento letteralmente impalata da un coso enorme che lui muove a suo piacimento su per le mie viscere, fin quasi alle budella, sempre tenendomi energicamente per i fianchi e le contrazioni mi danno la sensazione di essere spaccata in due, ma anche di stare godendo come mai prima era avvenuto, col culetto e col pisello contemporaneamente e proprio mentre avverto l'incombere del piacere e sento un fiotto caldo dentro di me, mentre sento lui che ansima e mugola, urla e anch'io grido... Non so se è per il casino che abbiamo combinato, non so se è per caso o se perché mi cercava apposta, ma quando stremata alzo gli occhi vedo gli occhi di Giovanni che quasi - lo sento - vorrebbero conficcarsi, forse addentare i miei.



Ho stracciato l'ennesimo biglietto. Ci avevo scritto scusa amore, perdonami, ma non ho avuto la capacità, il coraggio, la forza neppure di rileggerlo, l'ho subito inondato di lacrime, l'ho appallottolato e mandato a fare compagnia agli altri cento che hanno già fatto la stessa fine, dentro il cestino.

Giovanni ha preso la sua roba, è con i trolley vicino all'uscita del collegio che abbiamo frequentato per cinque anni insieme. C'è la ragazza bionda, ci sono suo padre e sua madre, lui si volta un attimo verso di me.

Sono vestita in maniera più sobria, né da Cenerentola né da Bella Addormentata, il supplente belloccio non l'ho più visto, mi concedo solo un cerchietto ambiguo tra i capelli, un'ombra di phard, di rimmel e un filo di rossetto, sotto i jeans la mia scelta è definitiva, porto intimo femminile e autoreggenti, ma non conta più, non conta più niente, perché Giovanni mi rivolge per un istante uno sguardo che somiglia a rabbia e rancore, poi prende per mano la sua ragazza e si allontana, lontano da me per sempre, da me che lo amo e l'ho sempre amato dal primo momento che l'ho visto, ma che fino all'ultimo non sono mai stata capace di dirglielo.

Eva Blu

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