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Racconto n° 5235
Autore: Fiordaliso Altri racconti di Fiordaliso
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La sottomessa
- In ginocchio schiava! - avvertivo il freddo del pavimento sotto le ginocchia, la febbre mi ardeva fin sulle labbra già rotte dall'herpes, ero genuflessa di fronte a Bartolomeo, la sua verga, gonfia di vene, sapeva di sudore, istintivamente mi ritrassi: quel cazzo scoperto era sporco e puzzava di sapone intriso tra le pieghe!
Mi venne da rimettere, - succhia schiava, mi ordinò spingendomi la testa e me lo ficcò in gola, non si curò, quel Cazzo, del mio vomito e delle lacrime che mi bagnavano gli occhi, finchè il desiderio mi tolse ogni volontà ed iniziai a ciucciare e, come se la bocca si fosse fatta pompa, aspirava quel turgido muscolo, e restituiva piacere fino alla schizzata oscena.
Ora chiedimi lettore se il sapore della sborra del Padrone è diverso da quello di mio marito, o di qualche altro mio amante: si lo è, perchè è intriso del sapore del sangue dell'herpes che si è rotto sulle labbra, della gola che brucia, delle ginocchia strusciate, del braccio piegato, di collo dolente, di seno palpato a far male e di capezzoli strizzati, sa di violenza e di pianto, ma soprattutto della lussuria che il padrone ti scaglia dentro l'anima nuda e droga di piacere la tua mente.
Ed esige, quella droga, essere bevuta tutta, fino all'ultima goccia, per placare la fame della sottomissione.
Faticai a rialzarmi, Bartolomeo, mi fece pulire il vomito senza usare stracci ma solo con fazzolettini di carta fine, e mentre lo facevo, con i collant lacerati, la testa senza capelli ed il culo esposto mi gettò addosso una cavigliera:
- per ora indossa questa, schiava, e la terrai fino a quanto non sarai pronta per il marchio! -
Mi chiusero il cancello alle spalle.
Mentre aspettavo mio marito alla stazione, ero a disagio, immaginavo tutti mi guardassero ed indagassero i motivi per cui ero senza capelli, corsi in macchina a prendere una sciarpa e la girai sul capo.
L'altoparlante annunciò tre quarti d'ora di ritardo. Seduta in sala d'attesa ebbi il tempo di ripensare in che casino la mia mente perversa mi aveva gettata.
Chiusi gli occhi ed il mio principe, quello dei sogni, mi venne in aiuto.
Lo stringevo a me in un volo tra le liane, come se le sue braccia possenti fossero ali di un guerriero omerico, e schiacciavo il mio ventre ancora dolorante sulla sua bocca e mi baciava e mordeva e leccava con la forza predatrice di una tigre, e
beveva tutto il mio burro, per non affogare tra i miei sussulti.
Era verde di vita la foresta, e lui ne era il re.
Il sogno, a tratti, diveniva incubo, poichè intuivo che, con la testa tra le mie cosce, non poteva vedere dove aggrapparsi e precipitammo giù, sempre più giù, ma il mio principe era signore dell'incubo, e mi pose lasciva e fradicia sul dorso di un elefante buono, ero appagata, salva, felice e salutai la proboscide che mi offriva schizzandomi la gioia ovunque.
Scimmietta mia, sussurrò il mio Tarzan, mi tremarono le gambe, alle sue parole:
Vuoi essere la mia sposa puttana? Forse urlai di felicità. Sii sii lo voglio!
Una mano mi scosse. Il treno sarebbe arrivato a momenti. Lasciai venti euro a quell'uomo che mi era vicino e non aveva una casa e corsi al binario.
Antefattto:
La Torre, questo era il suo nick name, lo avevo conosciuto in una chat, in un cassetto riservato al BDSM in cui ero andata a curiosare.
Gli dissi che mi sentivo umile ed apprezzavo il comando.
Mal sopportavo la violenza fisica, pur tollerando la cinghia e le corde ai polsi.
Avrei accettato l'umiliazione e la sua protezione, ma prima volevo conoscerlo di persona, approffitai del giorno che mio marito era assente.
Aiutata dal navigatore arrivai alla tenuta della Torre, in collina, isolata, ma con vista mare; mi aspettava, una signora anziana e grassa, il suo sorriso buono mi rincuorò, mi fece accomodare in un grande salone.
I soffitti erano alti e ben decorati, l'arredamento era sobrio, di gusto, i tendoni aperti delle finestre lasciavano intravedere le palme ed il mare.
Fuori soffiava un fastidioso libeccio ma nella sala filtrava un caldo tepore, sulla parete due tele, una bucolica, altra inquietante.
Nella prima vi erano contadine che potavano e legavano tralci e spampanavano le vigne prima della vendemmia, l'altro era un quadro buio che raffigurava un paesaggio brullo, roccioso, pieno di spine dove una donna, nuda, con le mani legate dietro la schiena bollata dalla sconfitta degli anni, si avvia verso l'antro di una grotta da cui è appena uscito un' orrido scheletro dai seni flaccidi e rinsecchiti, radi capelli bianchi e dal viso diabolico e nelle mani tiene una frusta dalla testa di medusa.
Il Padrone mi aveva raccontato che amava scrivere e dipingere, a lato della sala faceva bella mostra un confessionale antico.
La domestica mi chiese di inginocchiarmi a quel confessionale ed attendere, erano trent'anni che non facevo più quel gesto.
Avvertii, l'aprirsi dello sportellino, io ero in ginocchio, lui non so, lui vedeva me, io lui no.
Lui doveva condannarmi o assolvermi o infliggermi penitenza, io a prescindere ero peccatrice.
Il confessionale puzzava di umido, di pianti liberatori, di paure e di ingiurie.
La Torre aveva un tono di voce lento e cupo, mi chiese, delle mia passioni, dei miei legami familiari e delle mie debolezze.
Avvertivo i suo occhi scrutarmi, dentro e fuori.
Mi chiese quali peccati ritenevo di aver commesso, solo uno risposi , secondo la mia coscienza, anzi, forse due: sono avara del mio tempo libero e faccio poco per il mio prossimo. Secondo i confessori tradizionali, tutti tranne uccidere.
Mi chiese se avevo tabù nel sesso, risposi di no, nei limiti.
Mi chiese se ero disponibile, nel mio tempo libero, a dedicarmi alla Torre con obbedienza, fatica e rinunce, gli sbagli e le omissioni sarebbero stati oggetto di punizione, accettai.
Uscì dal confessionale: alto,brizzolato bianco, capelli raccolti con una coda, stivali di cuoio nero, vistosi tatuaggi alle braccia.
Io sono Bartolomeo, dunque benvenuta alla Torre, pedone Fiordaliso.
Mi porse casacca di nylon, e mi fece accomodare, in una adiacente camera da letto, con pochi arredi ma, al centro, un grande letto matrimoniale.
Mi ordinò di spogliarmi e rimanere scalza: mi tolsi gonna, maglia e maglione.
Mi guardai così nuda, vestita solo dei collant.
Hanno un pregio i collant, se hai le gambe ben depilate, quello di coprire le piccole imperfezioni della pelle e dare tono ed elasticità alla gamba e, indossati senza mutandine, la tengono premuta, la aprono e ci entrano dentro.
Il tepore che empiva la stanza mi invitava a fare con calma.
Mi voltai per specchiarmi il sedere, risistemai le calze facendole aderire bene, senza alcuna piega.
Indossai la casacca color ambra: arrivava appena a coprire l'inizio delle cosce, era di un tessuto che pur essendo impermeabile dava alla pelle un piacevole contatto.
Raggiunsi Bartolomeo nel confessionale, accanto c'era una poltrona, ed una bacinella, mi fece sedere, lui mi venne dietro ed io offrii il capo reclinato alle sue mani, sentivo le sue dita passarmi con leggero massaggio nei capelli e poi scorrere piano l'acqua fredda, e colare in un brivido sul collo.
Davanti c'era uno specchio orizzontale. Rilassata, con le gambe leggermente aperte, vidi specchiati i collant coprire i piedi nudi e poi su, oltre i disegni fino ad intravedere la nera peluria.
In inverno, quasi a farle più caldo, la lasciavo ricoprire dei miei ricci neri, per poi spogliarla in estate.
Il sole tiepido filtrato dai vetri mi cullava la mente, non riuscivo a capire cosa avrei voluto ma avvertivo l'eccitazione ed ebbi quasi vergogna di scoprirmi bagnata.
Lui, brandendo la forbice, come un giudice, recitò:
"I lunghi capelli sono il simbolo della seduzione femminile e contrassegno del pericolo rappresentato dalle donne, sempre lunghi capelli hanno le sirene ondine e lunghissimi capelli la Maddalena ai piedi della croce, ora li tagliamo come battesimo d'obbedienza, è inverno, ed ogni volta che sentirai freddo in questa testolina il tuo pensiero correrà alla Torre.
Poi ricresceranno, più forti e più belli, più puri e puliti."
Sapevo che se avessi aperto gli occhi ed avessi visto quelli che erano stati i miei capelli sparsi a terra avrei urlato di dolore.
Ma avevo deciso di obbedire, con le lacrime agli occhi, accettai, poi vidi nello specchio una testa calva, bianca, pulita, pur regolare e sempre bella.
Ora appartieni alla Torre, mi disse accarezzandomi il viso, aveva mani forti, protettive.
Mi venne di fronte, scese con lo sguardo tra cosce, io cercai istintivamente di
chiuderle, ma sentii le sue mani aprirmele perentorie, mi chiese di alzarmi e di
togliermi gli stivali.
Mentre cercavo di sfilarli, assumevo una posizione sbilanciata e buffa, non è facile sfilarrli, specie per una come me che ha i polpacci un po' grandi, e con il cuore in tumulto.
Bartolomeo mi venne dietro e mi spinse sul divano. La casacca, alzata sulla schiena piegata, scopriva i collant e gli mostrava il solco aperto della natiche.
Dallo specchio lo vidi dietro di me, rimasi immobile per la paura, mi aprì i collant con il rasoio, era rosso in viso, aveva il cazzo in mano e mi gettò a terra.
Persi conoscenza. Ho rimosso quello che è accaduto dopo, ora ho la testa rasata ma è stato perchè la parrucchiera ha sbagliato il colore.
Fu comprensivo mio marito che mi disse - hai un viso così carino, che sei bella pure senza capelli, anzi sembri proprio
uscita dalle sfumature di grigio...-
Che avesse intuito qualcosa?

Fiordaliso

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